' e La « tragedia » indispensabile ? Renzo Renzi ha aperto, di recente, sulle pagine della rivista Cinema Nuovo, un interessante dibattito sui rapporti intercorrenti tra il «socialismo» e la e tragedia> (entrambi i termini, naturalmente, sono riassuntivi ed indicativi di una problematica più vasta e sopportano, perciò, un maggior peso di significati). Nella Mezza età del socialismo (Cinema Nuovo n. 162, p. 112), prendendo spunto dal film di Fellini, 8½, Renzi interroga il problema della nevrosi e della crisi nella società contemporanea, che la psicoanalisi tenta di interpretare insufficientemente con esclusive spiegazioni psicologiche, rilevando in conclusione che e forse, anche il socialismo è giunto alla sua mezza età. La mezza età è quella dei bilanci; essa induce a vedere più le sconfitte che le vittorie; porta a constatare la permanenza della tragedia e del dolore; è una prima grande preparazione all'idea della solitudine e della morte; propone la necessità di modificare certe prospettive in base ad una iniziale grande esperienza di vita (quella della giovinezza), ma, appunto, introduce In uno stato di incertezza e di crisi per via della ricerca; mette sotto gli occhi, tra tutti, il grande dilemma: lotta o rassegnazione?>. Nel n. 166 della medesima rivista Giuseppe Fer12 - rara obbietta che « la tragedia non la vuole il fato, o il mistero, ma si forma per precise ragioni storiche, che possono essere comprese ed eliminate. Beninteso, anche la tragedia individuale, come può essere un suicidio, non è fatale, ma dipende da infinite ragioni e fatti storici, su cui c'è, o ci sarebbe stata, possibilità di intervento. Insomma i socialisti si battono perché la tragedia non sia. Ma non perché vogliono vivere come nei film stalinisti, in un mondo senza dialettica, bensi perché credono che questo sia il còmpito dell'uomo>. Nello stesso numero Renzi replica, ribadendo che « insomma, a un socialismo che, in parte, si illude, io preferisco un socialismo che sa. Quando, nel mio articolo, ho scritto: 'Se la tragedia deve essere, che sia', l'ho fatto perché mi è parso di sentire fermentare nell'opera dei nostri maggiori registi, elementi di tragedia che invece non vengono a galla completamente: mentre il nostro sviluppo culturale ha bisogno di esplicite catarsi liberatorie. Hegel, credo, ha detto che le nuove sintesi sono sempre precedute dalla tragedia. Se ciò è vero, affrontiamo dunque la tragedia>. Sono intervenuti, successivamente, Roberto Roversi, Vittorio Boarini (sul n. 168 di Cinema Nuovo) e Mino Argentieri su Cinema 60. Le loro obiezioni sono soprattutto indirizzate verso la precisazione che la «tragedia>, anche se deve entrare a far parte del marxismo, è intesa e spiegata dallo stesso in senso opposto a quello borghese e che tale distinzione non deve essere persa di vista. Nella sua acuta e pungente lettera Roversl, dopo avere chiarito i contenuti opposti della tragedia e dell'epica, osserva che « la tragedia dell'uomo contemporaneo non è un fatto privato da distillare ontologicamente, ma è determinata dalla mancanza di •felicità' della società> e conclude che e forse l'errore è proprio qui, e tutta la
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