stema, che perciò si pone nella posizione (e apocalittica>) della denuncia ovverossia della rottura. E tu forse che non es tale? Forse che ti trovi davvero in Sicilia quando ti realizzi nella rabbiosa impotenza di un capitano Bellodi (un estraneo in Sicilia). quando ti trovi a e convivere~ nel sacrificio di un Di Blasi o di un fra' Diego La Matina (due siciliani violentemente estraneati dal sistema), quando soprattutto ti esalti nella malinconia del tuo (non siciliano) Caracciolo? Non vedi, caro Nanà, che tu sei con lui, con quel tuo ministro saggissimo che sta col corpo in Sicilia (può darsi), ma con l'animo quanto è lontano da essa, tra le rues parigine, vicino alla intelligenza dei suoi d' Alembert, Diderot ecc. - E allora? - Allora bisognerà dire che la «fuga> intesa come strumento protestario (di ripulsa verso le pesanti feudali arretratezze del paese e di ricerca del 'diverso') diventa a un certo punto un fenomeno necessario che finisce con il giustificare, e mi pare allo stesso livello etico-ideologico, entrambe le esperienze: la mia di emigrato-fuori-del!' Isola, la tua di emigrato -nell'Isola. Leonardo ha chiuso gli occhi e non risponde. Forse è convinto e forse no. Forse non vuole insistere a ferirmi. Appunto ... la sua nascosta fraterna pietà. Eppure se. Eppure se... Quante volte questo acuto senso di colpa: e il lungo rigurgito, dall'abisso della coscienza, dell'enorme errore ... Non dico di certi furiosi assalti delle sensazioni piu pungenti...: questo riguarda le mie radici fisiologiche, perciò mi adopero a controllarlo o addirittura a respingerlo se può minacciare di deformarmi l'autentica realtà umana storica della Sicilia, di trasfor8marmi nella misura dolciastra di un'arcadia felice quello che è invece un purgatorio di colpe e di pene (se non si vuole dire inferno). No, quello che a volte mi tormenta è il dubbio di essermi sottratto (per rabbia o per rassegnazione?) alla responsabilità di un contributo piu diretto nella lotta verso il sistema. L'esaltante immagine di un primo maggio (il 1945) - un corteo infinito di creature umane e di bandiere cosi accese in quella giornata di sole - la sequenza straordinaria di quei volti segnati da una violenta smorfia di dolore e di gioia - tutta la coscienza dell'umanità in attesa, pronta disponibile a ogni sacrificio, anche alla morte ... Forse perché mi sono fermato a quella immagine della Sicilia, a quel me stesso che era pronto perfino a morire, forse per questo mi pare di essermi ridotto, a volte, a creatura immiserita, inutile, vile. Forse per questo tuttavia (sarà bene suggerirlo alla coscienza offesa), per il violento contrasto tra quella immagine e il dopo, si giustifica il tuo strappo improvviso, la tua fuga precipitosa, il tuo lacerante disancorarti dalla urlata passione. Per prepararti ad altro, piu lucido, piu razionale, piu pacato disegno dell'uomo ... La nausea. La nausea della Sicilia, certo: guai se non ci fosse questo termine, che fa da contrappeso al centripetismo del richiamo. È dopotutto l'unico strumento di difesa per chi non vuol fare dell'Isola un tema di 'distrazione' astorica, il mito favoloso del si o quello altrettanto favoloso del no (mi riferisco, si capisce all'Isola-Eden di Quasimodo o alla Sicilia-Paupasia di Vittorini). Nausea anzitutto del sistema: quel dittismo sociale cosi crudo e spaccante, che taglia nettamente
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