giovane critica - n. 7 - feb.-mar. 1965

7 Febbraio Marzo 1965 direttore responsabile Pietro Battiato GIOVANE ■ CRITICA ■■■· ■■■ :A.C ■■-~:~~:; Il■ sitario cinema ■ ~ograf ICO comitato direttivo Gaetano Leo, Paolo Manganaro, Gaetano Marcellino, Giampiero Mu,e:hini, Antonino Recupero direzione, redazione e amministrazione copertina, tema gra6co Giampiero Mughini, via F. Cilea 119, Catania e disegni Roberto Laganà foto Fernando Scianna L'abbonamento alla rivista - che dà diritto a qnattro numeri - è 6ssato in L. 1 400 da vcr8arc all'indirizzo redazionale. Un numero separato: L 400 - on numero doppio: L 500. Stampe semestrali in ahbooameoto poetale - Gruppo IV. Autorizr:azionc 3 gennaio 1964 n. 292 del Registro Periodici del Tribunale di Catania. Stampato nella tipogra6a della Università di Catania. Zinchi di Pietro Ciffo. Distribuzione nelle librerie: Cienne, via dei Fiordalisi 6/3. Milano.

I retroscena di una collana Cari amici, mi chiedete uno scritto sulla collana cinematografica Dal soggetto al film, clie dirigo, presso l'editore Cappelli, ormai da una decina d'anni. E io me la prendo sUbito co11, Giuseppe Ferrara ( ormai, a for:a di discutere, con Ferrara stiamo diventando amic..issimi) il quale, nella sua rela::io11e sull'editoria cinematografica tenuta al convegno di Porrella di due anni fa ( quindi pubblicala sul n. 1-2 di Giovane critica) 'ambie11wva' il suo discorso sulle collane in questo modo: « nel periodo del boom del nostro cinema bastava e/te un. editore al:asse la mano con /'i11len:ione e/i pubblicare una ,ceneggiatura di un fifoi e s1ibi10 trovava modo di finan:iare il libra». Ebbene, poic/ré Ferrara con- ,iderava Cappelli un pioniere cli tali opera:ioni ( aggiungendo, tuttavia, elogi graditissimi per la nostra ini:iativa), debbo dire che /p cose. agli ini:i, non andarono proprio cosi. In quel periodo - ercr il 1953 - la pubblica:ione di ,ceneggiature non dava alc,m risultato economico ( ne seppero qualco,a la scomparsa Poligono e le edizioni di Bianco e Nero). Insomma, essa poteva ben considerarsi una operazione in perdita. Allora mi venne l'iclea di fare dei libri che raccog/ie55ero, oltre la sceneggiatura, tullo il materiale che poteva documentare le intenzioni degli autori e i pre• parativi, anche tecnici, per la reali::za::ione del film, come una rivelazione dei 'segreti' del cinematografo. Inoltre, tali libri, dovevano accompagnare l'uscita del film, trovando nella contemporaneità di tale uscita un altro incentivo commerciale. I libri, del re,10, avevano un duplice ,copo: fare una pubblicità pregiata alle opere del nostro cinema migliore ( evidentemente ho l'anima del pubblicitario se è vero - come è vero - che, fin dal '38 mi occupai di que,ti interventi diretti pre5So il pubblico, ,io appoggiando le « 11rime visioni » di film ritenuti particolarmente intere.ssanti; sia organi::ando cicli di « mattinate» di classici: un'at. tività pubblicitaria che continuo ancor oggi pres.so la commis.sione cinema del comune di Bologna, dopo ,-?ssere passato attraverso le e,perierue - egualmente pubblicitarie - dei circoli del cinema, delle mattinate popolari con referendum, ecc.); e fornire, in. pari tempo, una serie di documenJi utili ai critici e agli appassionati di cinema, intorno ai film italiani che, a mio parere, andavano epistola1--io difesi e propagandati. L'i<lea nacque in me arre/re per ba55e ragioni personali: arrotondare i miei introiti e affermare la mia personalità, conquistando una qualifica di direttore, al pari di Ari- .storco. che avevo sempre odiato come mio direttore di Cinema ruovo. Insomma, ero deciso a tutto: anche a sporcarmi .sartria11omente le mani con produttori e noleggiatori. Fu. /orse, perché intuiva queste basse ragioni che il mio editore ci mise pili di un anno ad accettare la mia proposta (il primo t:olume è del gennaio '55). Naturalmente, io gli aceeo promesso, non tanto un guadagno certo quanto un certo rientro delle spese. qualora i produttori si fossero impegnati all"acqui.sto - a prezzo di costo - di due o trecento copie dei volumi stessi. per gli omaggi. Ciò e/re avvenne, ma rron ,en:a ini:iale difficoltà e/a parte dei produttori ( i quali, del resto, inten;e11go110 in questo modo. talvolta ma non sempre ancor oggi e solo dopo e/re il film lo abbiamo scelto noi: quindi il loro 'fi,wn;;iamento' è tutto qui. almeno per quanto riguarda la mia collana, se non per alcune di quelle che. poi, l'hanno imitata). Simili volumi. del re.sto, nou hanno certo una grande tiratura, anche se accompagnano i nostri film persino all'estero ( in tutto il mondo, nell'edizione italiana; presso grossi editori francesi. tedeschi. spagnoli, nelle traduzioni). A questo proposito na,ce, dunque, il problema della scelta dei film. che ho .sempre fatto io. Ora. è vero, è t:erissimo. che ho commesso qualche errore di scelta. ,.,a. mi sia concesso di giu• stificarmi, chiarendo quello e/re è un limite indubbio delrini::iativa: cioè la necessità di scegliere i film. sulla carta, .spe3.so ancor prima della sceneggiatura, allo scopo di poter compilare poi slam. pare il volume in tempo utile. 111/atti il limite - ma anche la novità - di tali libri sia nel fallo e/re essi ,ono libri d'accompagnamento a scadenza lissa. Allora succede che, talvollo, le mie pro/e:ie non si avverino: cioè gli errori sono tutte pro/e:ie mancate, capaci di rivelare la mia pochez:a nel leggere le carte. In somma. sono un cattivo mago di Napoli. Cosi mi dico: La legge, ur, pregevole romanzo di Roger Vailland; un regi-$ta - allora - altrellanto pregevole come Ju/e, Da,sin, che Ira appena reali::ato Colui che deve morire: c/ue stranieri che giudicano una difficile situo:ione italiana. Cecilia Mangini, perché non lo facciamo? La Mangini è dello sles,o parere, ,i impegna o/tre ogni e/ire: fa un ollimo lavoro. Poi vediamo il film completo, quando il libro -1

;_. già /atto .. lbbiamo preso uno cantonata. Solo, ci consolo il pen• siero cl,e il libro. egualmente, non è affatto i11utile ( e perclui no11 dorrei dire cl,e. talora, i libri sono stati migliori dei film ai quali erano dedicati?). Potrei continuare, elencane/o qualche altro errore che è sotto gli occhi di tutti ( certi « colossi», come Guerra e pace e Barabba - dia/08/,i di Sa/calore Quasimodo - ,ono ,tali scelti per documentare un poco anche quel filone del nostro cinema). Potrei reclamare le difficoltà che talvolta si incontrano nel far parlare autori che non vogliono parlare; oppure la mancan:a di certi titoli, a causa dei boicottaggi che provegono da altri editori, proprietari dei titoli sie si. perché editori dei roman:i dai quali i film sono traili: potrei dire. infine, dei regiJti che non si rendono conto che un libro non si fa in un giorno e rispondono alle nostre richieste. magari tempestandoci, quando il libro non si può pili fare. impedendoci, che so?, di conoscere il retro.scena di Le mani sulla rittà; ma sarebbe un pi'agnisteo inutile per la cronac·a1 perrhé i libri sono là e debbono euere ,olo imparzialmente giudicati ( e severamente giudicati: altrimenti che ci ,tarebbe a fare la critica? a manifestare una corruttrice pietà?). l.:n altro limite - questo si, editoriale, sta nel numero dei volumi da fare in un armo. Potessi sceglierne molti, pescherei il cattivo ma anche tutto il buono (concorrenza permettendolo). lita /"editore non è solo appassionato di cinema: ha altri interessi ,,er la testa: e una sola casa editrice e una ,ola tipografia. lo tento di corromperlo, di farlo piangere ,ui fotogrammi: è inutile. Non ci sta. Allora, anch'io, debbo convincermi che i sogni sono una cosa e il mondo della pratica è fatto apposta per contraslarli. Amara constata:ione, tuttavia capace di tenerci legati al reale. La realtà di tura certa società e dei suoi canali di cultura. Capisco, a quello p1111toc, he, preso dal furore dell'autodifesa ( ma cl,i mi aveva accus,,to? incombe, forse, s1t di me l'ombra di Jo,ef K.?) /,o finito per ccidere in una posi:ione autolesionistica, giacché non ho mes.so racce11to sullo aspetto po,itivo cl,e pure l'iniziativa della collana potrebbe avere nel quadro degli ultimi dieci anni di cinema ita- /in110. Ma, effettivamente, non ,ta a me fare simili bilanci: né potrei farli col necessario di,tacco. Quindi mi accontento di avere fornito, dopo quelli dei film, alcuni elementi del retro,cena della collana. La realtà va ,empre cono,ciuta da piu parti. E questa è una parte. Vostro Renzo Reozi Qucsla lcllcra ( « Immagino che sia scarsa, ai vostri fini. Ma ho dovuto rubare il tempo ad altri lavori urgenti, per farla. Né, d'altra parte, mi era possibile un discorso diverso, :dacché è sempre imbarazzante parlare de11e cose proprie») era originariamente destinata ad apparir,• sul n. 4 elci Quaderni di cinema del Circolo « Mondo Nuovo» di Cosenza. Purtroppo. a causa cli gravissime difficoltà finanziarie e ambientali (elevate al cubo quelle hcn noie aJle nostre consorelle meglio 'esposte' geograficamente), tali « quaderni » non usciranno pili. A partire da questo numero il gruppo redazionale della pubblicazione cosentina si è fuso ron quello di Giovane critica. L'esistenza di un comune terreno di scelte ideo• logiche e metodologiche ci ha indo11i a questo passo, da intendere nella prospettiva della futura creazione di una redazione intercittadina di Giovane critica. Una prima, recente, 1iunione in tal senso ha sortito cffe11i positivi, addirittura lusinghieri: dandoci modo di-con• statare sul vivo l'esistenza, fra numerosi gruppi e organizzatori di cultura operanti nel sud, di un comune dialello politico e culturale. Solo nella misura in cui coagula tali forze r fenuenti Giovane critica giustifica la sua presenza nel quadro della cultura italiana, gio- ,1anile e non. 2Ai nostri lellori ricordiamo infine che a partire da questo numero la rivista gode della lanto agognato distribuzione nazionale; saremo loro grati se inviteranno i propri amici e conoscenti a fare una capatina in libreria, a scorrerne le pagine. ( Quanti vantassero dei crediti presso l'amministrazione dei Quaderni cosentini possono rivolgersi alla nostra reda• ~ione; ricrvcranno numeri di Giovane critica per una somma corrispondente a quella da loro già versata.)

zibaldone Ragioni di un emigrato Una sera cosi. Una sera cosi. Improvvisa l'eventualità: partire, rompere Il guscio ossessivo delle abitudini, trovarsi In una situazione diversa, sradicarsi - non vedrai plu le strettole fangose i cieli di polvere i muri gonfiati dalle visclche d'aria ... - non sentirai plu I vuoti di stabilità che lavorano dentro la tua falsa giovinezza... Forse un dubbio, si capisce: qualche fitta di uno sgomento anticipato. Ma è l'altro elemento a premere piu forte - la libertà, come un cavallo lanciato al galoppo, 1l lungo collo lucido, eretto, implacabile sulla mobile sequenza della sabbia e della folla. Poi la decisione. E tu appendi a tracolla la speranza, pizzichi le corde della vecchia chitarra - Il vagabondo non si saprà mai come possa mutare in perfetta letizia uno stato di non. Certo, 1 progetti... tutti abbiamo un abbozzo di programma quando si parte. Ma non si pensi a qualcosa di veramente specifico - si va a lume di naso, per assaggi di conoscenze; in effetti si rinuncia alla ulteriore precisazione. Per chi parte non ha importanza il definito; importante è solo il gesto del partire: la raggiunta libertà nel momento che decide - la gioia di una ferita cosi sanguigna e improvvisa che rompe finalmente la corposa quiete della servltu alla storia: a questa storia cosi grigia e compatta, cosi ferma e assurda nella consuetudine con l'assenza o con la morte. Il segno della metamorfosi. Qui sullo stretto l'estenuarsi, a un tratto, degli affetti. La luna è già un segno della metamorfosi - troppo Inquieto e struggente 11 suo oscillare nella Infinita maglia delle acque, troppo delicato Il suo sfiorare la linea della costa - I monti di turchese, I lunghi palmizi, le città bianchissime, gli ultimi guizzi delle luci umane ... La fitta ti resterà come un marchio nell'anima: tu lo sai ormai in anticipo. Ma forse era questa l'esperienza che volevi. Amare la tua terra di là dell'ottusa abitudine. Scoprirla davvero nella tua ferita nuova e irrepetibile (le sue verità nascoste, le sue necessarie parole, le limpide radici disserrate dal viluppo del tempo). Averla finalmente, per averla definitivamente perduta. -3

L'osservatorio ideale. « Cosi è necessario giungere a Milano per rimirare la Sicilia, da quassù, con lo sguardo rasserenato, reso nuovo e quasi estraneo da tanta lontananza, per poter penetrare interamente il senso [ ...]. E' questo l'osservatorio ideale, dal quale riesce facile guardare alla Sicilia con la mente sgombra da ogni pregiudizio o luogo comune [ ...] ». Forse ha ragione il mio amico, il mio caro Mario (Farinella), quando scrive queste parole nella sua inchiesta su I siciliani a Milano per L'Ora di Palermo. Forse è cosi e forse no, bisognerebbe in ogni caso precisare il valore di quel guardare «rasserenato>, rilevarne insomma il 'costo'. E tuttavia sono parole sagge, tanto più accettabili se sposti l'angolazione e ti trovi (come è il mio caso) in Firenze. Dove, per l'urgenza stessa di una lunga esperienza di civiltà, hai una misura di perfezione tale (parlo della sensibilità intellettuale, dell'es stilistico) che, al contatto, tu puoi mortificarti rapidamente e da qui trovare il modo di scarnirti fino a trarre da te stesso le schegge della tua verità: che è in definitiva la verità della tua gente, di quella tua isola cosi chiusa dal cielo e dal mare, cosi disponibile anche agli esiti delle apparenze. A meno che tu non ti pacifichi prima del dovuto, e non ti stenda felicemente sulle abitudini acquisite. Avrai variato allora soltanto il tuo videris, ecco tutto. E avrai bruciato. irrimediabilmente l'unica tua giustificazione. La distrazione piccolo-borghese. Il rischio di una distrazione (piccolo-borghese, ovviamente) dai primi impulsi libertari è sempre a portata di mano. E' questo che Intristisce, questo che 4soprattutto preoccupa. Tu lo vedi del resto dagli e altri tuoi miglior » - Quasimodo è già avviato, tra delusione e disgusto, a chiudersi in un suo stuporoso stato di torpore dentro le fasce egizie dell'ufficialità - Vittorini trascina ormai a stento, tra iniziative sempre plu stanche e sofismi ideologici sempre più scoperti, la sua bella intelligenza cosi premuta dai violenti reclami di un padronato industriale sempre più vigile e furbo - Il vecchio Villaroel che sfarfalleggia la sua ultima vitalità tra gli avvilenti caroselli dei premi - Il giovane Cattafi che potrebbe rischiare di fissare in una maschera-standard, un occhio al coltello un occhio al giochello, la sua originaria e autentica vocazione di rottura ... Perciò devi diffidare fortemente di te stesso e usare il tuo «dubbio» come strumento prezioso per non perderti; perciò devi proporti di resistere, almeno con la coscienza, al fascino delle felici pause. Puoi cosi costruire la tua casa «fiorentina, - lf c'è Fiesole con la torre di luce e l'occhio verde della collina che illumina il silenzio tra le curve e le ville. E ad est c'è l'Incontro o Pratomagno e la curva della luna che già colora il tuo diniego e scivola fino al fondo dell'occhio al tuo consenso ... - e però [Inserivi il dubbio del rapporto fra i due sposi-amanti (o forse due dannati costretti dal sogno all'inazione?). Puoi dire anche cosi: - La casa è tutta nostra, c'è perfino una veranda sui tetti, l'erba americana che sfiora il fianco al Salviatino, la tettoia tre per quattro in ondolùx e c'è l'odore della vernice che passammo insieme

sut leggeri sostegni... - E tuttavia aggiungere come Il sangue non basti - che sta fatto ptetra e cemento mattone o colore o questo aereo guardare su Firenze tra sera e luna - e che In fondo vale poco - cara, il tuo quieto rifugio a mezza costa tra t mirti e l'abetaia ... il tuo fingere mite sopra il filo della rinuncia, il tuo costrutre tra l'argilla e il piu saldo la tua casa di lisce ptetre dalla pietra assidua ... - Quel che vale è misurarti, sempre, sulle ragioni della tua terra e del mondo; trarre Il respiro dal confronto o perderti. Condanna e libertà. Che e noi siciliani slamo condannati a scrivere della Sicilia, come dice Leonardo Sciascia (v. In Giovane critica n. 3, p. 55) è un fatto che dipende dalla nostra volontà di resistere all'affascinante distrazione del placamento e del benessere. n siciliano che emlgrlzza la sua esistenza di uomo e di scrittore non lo fa per dimenticarsi, al contrario lo fa, piu e meno consapevolmente, per ritrovarsi, attraverso uno choc autentico qual è quello appunto del contatto scottante col 'diverso'. Da qui la sua 'condanna' a scrivere della Sicilia: che è poi la sua vocazione medesima; che è addirittura la sua medesima 'libertà'. Ha piena ragione Leonardo a inserire, a proposito del termine che appartiene al Trombatore, Il suo Inciso limitativo (e ma per la verità, dentro questa 'condanna' lo ml sento libero,): dovrebbe anzi andare plu In là e dire decisamente che è proprio quella 'condanna' la condizione necessaria del 'sentirsi liberi' ossia del sentirsi sempre pili realizzati nell'assidua ricerca di un rapporto tra noi stessi e la nostra cosi difficile e complessa verità. Rapporto come adeguamento. Certo il contatto con il 'diverso' provoca il fenomeno opposto dell'adeguamento. E la situazione si fa di colpo delicata, difficile, spesso drammatica. E' facile a questo punto che tu ti perda, se ti abbandoni a lavorare di cesello e bulino sul guscio che ti sta davanti - a un tratto ti troverai sbattuto in un oceano di silenzi, fuori di ogni possibilità di approdo, la memoria legata all'altra costa, il futuro lucidamente aperto all'angoscia della inutilità. Il segreto, ma si tratta di una difficile pratica, sta appunto nel rifiutarsi di lavorare sul guscio, nel respingere la situazione memoriale, nel rendersi ragione del proprio essersi seminato tra il vecchio humus e il nuovo. Rapporto come contributo. E' un fatto che il rapporto dell'emigrato siciliano con quella che potremmo dire la 'civiltà' nazionale non ha mal significato una semplice ricezione di valori da parte sua, bensi una ricerca appassionata: che può volta a volta farsi adesione urto ripensamento, in ogni caso è da intendersi come 'contributo'. Non è affermazione di orgoglio questa, ma una ipotesi critica che si può verificare in sede storica - per esempio Verga, il quale percorse tutte quante le esperienze della civiltà culturale continentale (quella foscoliana e quella secondoromantlca, quella della scapigliatura e quella veristica), ma tutte le esperimentò per adeguarle alla sua ricerca: la quale rimase in de- -5

finitiva quella del Verga, figlio della sua Isola e in Ragione e Firenze. questo senso dell'Italia e dell'umanità - o anche Quasimodo, il cui 'ermetismo' degli anni '30-40 è anch'esso una esperienza di adeguamento ad quem, ma per un adeguamento a quo: un adeguamento dunque condotto su misure autonome e per una sintesi diversa rispetto a quella proposta dalla civiltà autenticamente ermetica. La verità è che il contatto accelera il processo centripeto della piu risolta civiltà continentale, ma tale processo centripeto avvenendo su un fenomeno cosi doloroso e drammatico qual è l'emigrazione, finisce con il risolversi anch'esso nel fenomeno stesso. Allora il poeta siciliano appare come una strana figura di emigrante, un esule sui generis che porta In giro la sua 'smorfia' ora dolorante, ora amara, ora sprezzante, cioè il suo carico di esperienze secolari fattesi ontologia e Individualità: e Individualità che perciò difficilmente si fa gruppo o tendenza, intesa com'è a risolvere in senso autonomo (si potrebbe dire 'dostoievskiano') la misura di ogni incontro con I segni della civiltà plu generale del paese. La mia esperienza di contatti col mondo poetico fiorentino rientra, penso, In questa costante. Lo stesso gruppo di lavoro con cui opero strettamente (gli amici Inisero Cremaschi, Gino Gerola, Franco Manescalchi, Gianni Tot! che lavorano con me In Quartiere) non è per me un gruppo vincolante ovverossia limitativo della mia libertà: al contrario è un gruppo di libera ricerca,_ che nello scambio delle reciproche esperienze (sulla base, si capisce, di una comune Ideologia dell'uomo e del mondo) può - e in questo senso lo lo accetto - essere di vitale conforto a stimolare, ad accelerare, a fissare Insomma, In termini rigorosi e fattuali, il processo della nostra reciproca libertà e pertanto del nostro individuale 'contributo'. 6- -- Prefazione a un gruppo di poesie dal titolo Ragione e Firenze (apparso In Quartiere n. 13/14, poi come sezione conclusiva nel volume Tra il dubbio e la ragione per I quaderni dello Sciascia). Ritengo utile al discorso sul ' rapporto ' riportare le ragioni del titolo che sono poi, si capisce, le ragioni del lavoro. - Le ragioni dell'Indicazione denominativa si suggeriscono nel bisogno che ho sentito ad un certo punto di proporre a me stesso la misura del rapporto, dapprima affatto fortuito o incidentale, con la città che mi ospita da piu di un decennio. È un'esperienza in fieri e come tale avrà se le avrà chi sa quali conclusioni; tuttavia qualche soluzione appare già chiara ed effettuale alla mia coscienza non so poi se nella traduzione di essa in espressione (poetica o critica). Anzitutto il senso della «storia>, che prima era Intesa da me in una accezione confusa tra l'engagement piu propriamente politico o partitico e lo sfogo emozionale diretto (rapportato se mal alla misura di una visione libertaria, del resto augurativa, aprioristicamente fissata e immobile); poi via via è emersa come disteso impegno etico operante sincronicamente e insieme diacronicamente sull'uomo e sulla cronaca dei suoi fatti vitali, pubblici e privati. Da qui il senso della «inquietudine> critica (o che è lo stesso il senso del «dubbio> etico-ideologico) per ogni apparente stabilità, ma insieme ad esso anche il senso della verità, cioè della «stabilità> medesima. Il tendere a una sintesi del segni (storici e perciò anche linguistici), il cercare la loro composizione rigorosa dai dati puramente empirici e strumentali, l'appassionarsi per una comprensione sempre phl approfondita di ogni dato effettuale fino alla conquista di una legge (morale e ideologica, cioè anche politica, e linguistica, cioè anche estetica), non conformi-

sta né compromittibile con i dati empirici necessariamente ingenui e inespressivi: questo è il segno di nobiltà che ho inteso nella e ragione> (morale e filologica) di questa città straordinaria che è Firenze. Dove quello che potrebbe sembrare apparentemente e staticità> è, in verità, composizione di tutte le curve e quella che potrebbe essere detta e assenza> è invece la testimonianza di una resistenza (attiva appunto perché morale, non reazionaria voglio dire o di destra) alla dissoluzione, oggi usa dire alienazione, In cui la strumentazione economica del vecchio e del nuovo capitalismo tende a precipitare ogni operazione umana dell'Io e della società, della coscienza e della polis, della volontà e della storia. Una e ragione > che a sua volta ml pare possa verificare e chiarire quell'altra che costituisce il fondo phi segreto della mia e isola> e, per me, del mio essere siciliano. Come dire Antonello e, per chiarire di phi le cose, dire anche Piero della Francesca e ancora o soprattutto Masaccio. È questo 11mondo (e il modo) in cui mi trovo a dibattermi tra desiderio e timore di uscirne a una qualche conclusione. Del resto sarebbe sciocca presunzione pretendere di fare il punto esatto anche se interlocutorio di se stessi. E' già molto se si traccia una seppure vaga linea di poetica e sarebbe meglio dire di direzione operativa o di lavoro. Le due emigrazioni. Rispondere alla domanda-accusa o alla domanda-difesa di Leonardo, che ora mi guarda dal suo volto moresco fatto di malinconia asciutta e severa, dal suol occhi miti e violenti carichi di una antica rabbia, filtrata tuttavia attraverso una vigilata ragione del perché: - e Perché dunque sradicarsene, col rischio di farne memoria e nostalgia, favola e mito? Senza dire che, in senso pili generale, è assolutamente ragionevole che Io scrittore risieda ne.i luoghi umani che meglio conosce, che dia testimonianza di una realtà di cui, per vincoli di sentimento di linguaggio di consuetudini, non gli sfugge nessun movimento nessuna piega nessuna sfumatura> (v. in Giovane critica, n. 3) -. Col suo modo pacato e arguto ha già parlato cosi poco fa al ' Circolo ', risposto cosi alla nostra presentazione, alle nostre domande sulle ' imposture ' e sulle 'verità' del suoi personaggi. Ora è li, seduto al tavolo della mia cucina, mentre la mia Pina sferraglia tra le tazzine di caffè; e mi fa l'effetto di un giudice, fraterno ma giudice, cosi chiuso nel suo severo senso di limite che ti pare inutile tentare la via degli affetti... Tento perciò il ragionamento: - Perché? perché, caro Nanà, può succedere all'Intellettuale quello che succede al contadino siciliano, né pili né meno: da un vuoto di civiltà (la nostra arretrata civiltà agraria) il bisogno di emigrare verso il pieno di operosità (la civiltà industriale del nord o dell'Europa centro-occidentale). Come dire 11bisogno di passare da un vuoto a un pieno di strutture e di strumentazioni, attraverso le quali realizzare una progettazione (dal minimo al massimo) della propria dignità, della propria nobiltà di essere homo costruens. - C'è tuttavia la mia esperienza di e siciliano che resta>! - Bene, allora ti dirò che 11concetto di e emigrazione > non può riferirsi solo ai !imiti della biografia fisica; deve implicare soprattutto I limiti dell'Impegno morale e ideologico. Il siciliano e emigrato > (parlo del •contadino' come dell' 'intellettuale'; escludo invece da questa accezione la caterva del burocrati, che sono in definitiva il prolungamento di una Sicilia •ufficiale') è colui che rifiuta di integrarsi col si- -7

stema, che perciò si pone nella posizione (e apocalittica>) della denuncia ovverossia della rottura. E tu forse che non es tale? Forse che ti trovi davvero in Sicilia quando ti realizzi nella rabbiosa impotenza di un capitano Bellodi (un estraneo in Sicilia). quando ti trovi a e convivere~ nel sacrificio di un Di Blasi o di un fra' Diego La Matina (due siciliani violentemente estraneati dal sistema), quando soprattutto ti esalti nella malinconia del tuo (non siciliano) Caracciolo? Non vedi, caro Nanà, che tu sei con lui, con quel tuo ministro saggissimo che sta col corpo in Sicilia (può darsi), ma con l'animo quanto è lontano da essa, tra le rues parigine, vicino alla intelligenza dei suoi d' Alembert, Diderot ecc. - E allora? - Allora bisognerà dire che la «fuga> intesa come strumento protestario (di ripulsa verso le pesanti feudali arretratezze del paese e di ricerca del 'diverso') diventa a un certo punto un fenomeno necessario che finisce con il giustificare, e mi pare allo stesso livello etico-ideologico, entrambe le esperienze: la mia di emigrato-fuori-del!' Isola, la tua di emigrato -nell'Isola. Leonardo ha chiuso gli occhi e non risponde. Forse è convinto e forse no. Forse non vuole insistere a ferirmi. Appunto ... la sua nascosta fraterna pietà. Eppure se. Eppure se... Quante volte questo acuto senso di colpa: e il lungo rigurgito, dall'abisso della coscienza, dell'enorme errore ... Non dico di certi furiosi assalti delle sensazioni piu pungenti...: questo riguarda le mie radici fisiologiche, perciò mi adopero a controllarlo o addirittura a respingerlo se può minacciare di deformarmi l'autentica realtà umana storica della Sicilia, di trasfor8marmi nella misura dolciastra di un'arcadia felice quello che è invece un purgatorio di colpe e di pene (se non si vuole dire inferno). No, quello che a volte mi tormenta è il dubbio di essermi sottratto (per rabbia o per rassegnazione?) alla responsabilità di un contributo piu diretto nella lotta verso il sistema. L'esaltante immagine di un primo maggio (il 1945) - un corteo infinito di creature umane e di bandiere cosi accese in quella giornata di sole - la sequenza straordinaria di quei volti segnati da una violenta smorfia di dolore e di gioia - tutta la coscienza dell'umanità in attesa, pronta disponibile a ogni sacrificio, anche alla morte ... Forse perché mi sono fermato a quella immagine della Sicilia, a quel me stesso che era pronto perfino a morire, forse per questo mi pare di essermi ridotto, a volte, a creatura immiserita, inutile, vile. Forse per questo tuttavia (sarà bene suggerirlo alla coscienza offesa), per il violento contrasto tra quella immagine e il dopo, si giustifica il tuo strappo improvviso, la tua fuga precipitosa, il tuo lacerante disancorarti dalla urlata passione. Per prepararti ad altro, piu lucido, piu razionale, piu pacato disegno dell'uomo ... La nausea. La nausea della Sicilia, certo: guai se non ci fosse questo termine, che fa da contrappeso al centripetismo del richiamo. È dopotutto l'unico strumento di difesa per chi non vuol fare dell'Isola un tema di 'distrazione' astorica, il mito favoloso del si o quello altrettanto favoloso del no (mi riferisco, si capisce all'Isola-Eden di Quasimodo o alla Sicilia-Paupasia di Vittorini). Nausea anzitutto del sistema: quel dittismo sociale cosi crudo e spaccante, che taglia nettamente

tra una classe direzionale conservatrice e paternalistica, accompagnata da una sottoclasse ibrida operante sul piano del ricatto mafioso o dell'asservimento interessato, e una classe di sottoproletariato, urbano e campagnolo, immobilizzato da sempre dentro una agghiacciante miserabilità di comportamenti morali e biologici. E poi nausea del e provincialismo> che è in fondo la proiezione psichica e culturale del sistema ... Il provincialismo dell'onore. Il sicilianismo viscerale dei siciliani medesimi: quello che costruisce un muro d'orgoglio attorno alla Isola e lo rileva sempre pili dal fondo dei propri complessi. È offesa e insieme difesa di remote e non morte radici separatistiche: misura In fondo vittimistica, che, per durare nel tempo, Inventa ingenuamente una nobiltà di resistenza se non addirittura di origine contro le supposte o reali Incomprensioni del continente. La cultura si fa a questo punto voce isolazionistica ovviamente di protesta ma anche di narcisismo, come •onore • della propria chiusura, che tramuta continuamente la incomprensione In autoesaltazione, l'esclusione in verifica di merito, la rinuncia In mito di se stessi. È Il provincialismo della grandeur slcilianistlca: quella che può dare a livello minore Il narcisismo di un Cesareo, di un De Maria ecc., al livello massimo l'orgoglio malinconico di un Lampedusa. È Il provincialismo del • gattopardismo ' nelle sue diverse tonalità e accezioni. Il provincialismo della distrazione. - È un medio proporzionale tra l'operazione gattopardistlca e quella sperimentalistica - dico lo e faccio l'esempio di Milazzo e di Danilo Dolci - Ma è un medio ibrido, non può pretendere alla sintesi - aggiungo; e diversi tra gli amici, riuniti in casa H. per festeggiare l'amico P. M. di Partinico, sono ormai costretti a consentire. La casa di due giovani sposi, lui un pittore svizzero, lei un dolce volto fiorentino, e un bel pupo tra loro che fa di tanto in tanto la sua comparsa: gente che adora la Sicilia, che ha dato tutta se stessa all'operazione Dolci; gente che ora si professa costernata, accoratamente delusa, forse anche si sente nell'intimo della coscienza tradita. - Danilo Dolci - aggiungo, e sono volutamente crudele - lo hanno lasciato fare. Salvatore Carnevale lo hanno ucciso. È questa la differenza tra una autenticità e una e distrazione>. Poi si attacca a lungo su Milazzo. Ma ormai in tutti si concorda che è stata anche quella una e distrazione >: un provincialismo politico, che doveva scontare il suo limite trascinando all'esaurimento un partito irrazionale e, quel che è pili grave, ferendo a sangue un partito cosi eroico di sacrifici e di proposte come quello comunista. - Un provincialismo - cosi qualcuno conclude - che provoca ancora e sempre ingorghi e ritardi o addirittura ci precipita, ancora una volta, nella situazione dell'assenza, della perfetta impotenza ... Il neoprovincialismo. Da un istruttivo carteggio con un giovane poeta siciliano. E lascio inalterate le stesse cosi commoventi improprietà: - 1 ° tempo, slamo nel '62: e ( ... ) Ho letto il Suo articolo-panorama • Sicilia e poesia del dopoguerra • e le sono molto grato d'avermi ricordato. Questa è la prima occasione positiva, s'intende giustificata, per scriverle, per pregarla, quando crederd piu opportuno -9

di inserirmi qualche verso nella sua rivista, s'intende sempre se Lei crede opportuno, di presentarmi Lei, come di solito fa con altri [ ...) >; e [ ... ] nella speranza che si ricordi di me [---1 quale Isolano isolato>. - 2° tempo, siamo nel '63: e (---1 Ora te ne vieni con vocaboli fessi (accademici), 'coacervo', 'consuntivi ' moraleggiandomi (fradicia retorica) su cose sapute, e, se avresti capito bene, avresti arrivato nd'. afferrare il mio intento di rinnovamento [ ...] Inoltre ti prego di non pubblicare un solo verso senza il mio permesso. L'Editrice, che sono in trattazione potrebbe darvi noia >. Di mezzo c'era, si capisce, una mia mezza e motivata riserva su un dattiloscritto di poesie. Ma si noti in cauda venenum. Il mio giovane amico-nemico fa ormai l'occhio di triglia all'c Editrice> {altro che e isolano isolato>!); quella che nel frattempo (si ricordi che siamo a spalla del convegno avanguardistico di Palermo) ha avuto modo di lanciare nel mondo degli scandaletti letterari I giovani (sono appunto gli amici del mio giovane Interlocutore) della e Scuola di Palermo>, i Di Marco, i Testa, i Ferriera ... Morale: è nata, appunto in Palermo, una nuova generazione di siciliani: quelli e avanguardistici >, che si fanno dolcemente scoprire e si dispongono a fare da graziose cavie agli esperimenti del neocapitalismo (milanese) ... Il provincialismo allora dell'ant!provincialismo? Forse, e forse di più e peggio: li provincialismo che si appresta a qualunquistizzare li progetto, la volontà di un rinnovamento sociale e socioculturale se mai c'era, e certo c'era, nel contributo di tanti e tanti siciliani (onesti), operanti, tra fatica e speranza, fuori e dentro l'Isola. 10La Sicilia-Universo. Per fortuna stasera un autentico lavacro di commozione purificatrice. Alla ' Casa del Popolo ' di via Andrea del Sarto un recital di Ignazio Buttltta e di Cicciu Busacca. Contatto diretto con l'anima popolare, con le remote radici della nostra terra, tanto remote da sembrare quelle stesse dell'infinito universo. E tu cali dentro gli abissi, allucinato viaggiatore tra dolori laceranti e laceranti speranze, per riemergere dalle tue schegge di sangue, pacificato nel pianto. - Ignazio: un formidabile orchestratore di sentimenti, che dalla sua eccezionale mimesi del mondo siciliano trae pregnanze fulminee di verità. - Cicciu: un cantastorie che nella sua eccezionale • smorfia ' mimica e vocalica costringe la verità stessa a farsi personaggio ed espressione. L'umiltà della verità, la sua potenza d'urto, li suo messaggio autentico: che rompe ogni limite provinclalistico; e brucia i gattopardismi cosi come brucia i neoavanguardisml; e ripresenta allo stato zero (e massimo) la Sicilia-Universo, la Sicilia cosmica che amiamo e soffriamo: quella Sicilia che è infine, perché terra singolare e terra generale, la ragione giustificativa del nostro più dignitoso esistere e operare. Giuseppe Zngarrio

No tizie siciliane Attendevamo col massimo interesse che Giuseppe Zagarrio, autore di un recente lzbro su Sicllla e poesia contemporanea (apparso per i tipi dello Sciascia), fornisse le sue « ra• gioni » di emigrato-fuori dell'isola a noi emigrati-nell'isola. Definizione quest'ultima che ci qualifica in parte e che invece non crediamo attagliarsi a Leonardo Sciascia. Proprio per• ché, a differenza di Sciascia, no11 ci sentiamo aderire pienamente, colla ragione e coi senti• menti, al ceppo della 'sicilianità'; non abbiamo la pazienza - che ha Leonardo - di scovare in essa, nella sua storia, situazioni e personaggi dalla allarmante 'modernità'. Conosciamo Labriola assai meglio che Pitrè; e nell'ultimo romanzo di Roversi ci ritroviamo assai pizi che non in tanta letteratura e poesia siciliana d'oggi (eccezion fatta per quel prodigioso libriccino di Mario Farinella che rimane, sono parole di Zagarrio, « tra le poche cose vera• mente belle di tutto il dopoguerra poetico siciliano»). Senza che questo ci sposti di un met.ro verso 'Roma' o altrove, verso i centri del benessere editoriale; preferiamo, almeno tendenzialmente, rimanere, a fare i conti con questa dannata realtà: ma rifiutiamo la condanna di cui parla il Trombatore. Esistono difatti nella cultura italiana tendenze di svi• luppo tali da consentire di lavorare in periferia con la stessa lunghezza d'onda adoperata al centro. Proprio allo scopo di evitare quella duplice « distrazione » in cui incappa la cultura di origine o collocazione siciliana, e di cui parla Zagarrio nel suo libro. Da un canto una cultura - da certi aspetti di Vittorini all'opera pur cosi nobile di Dolci al Lampedusa al cinema meridionalizzante: questo al grado pizi deteriore e pizi colpevolmente evasivo - che tende a fare della Sicilia una voce « consumata»: schivando cioè la progettazione etico-politica dei rimedi, la organizzazione della rabbia secolare. Dall'altro il « provincialismo » tronfio di sé, la chiusura e l'orgoglio separatistici, la difesa acritica e feti· cizzante delle proprie caratteristiche e individualità: rifiutando di misurarsi con la storia che modifica e innova atteggiamenti e coscienze. «[ ... ] cerco di far passare il cammello dell'Italia (e conseguentemente dell'Europa: non mi piace dire Occidente) per la cruna della idea che ho della Sicilia [ ... ] ». Questo è il punto nevralgico. E lo stesso Sciascia ce ne dà un esempio magistrale col suo ultimo testo, Una candela al santo una al serpente. che funge da introduzione, nel volume Feste religiose in Slcllla (Leonardo da Vinci, 1965) a 120 fotografie, del nostro collaboratore Fer• nando Scianna, in cui una Sicilia apparentemente tradizionale penetrata da un occhio modernissimo acquista un volume e una ricchezza di gradazioni dain;ero inconsuete. In un tempo in cui qualche venerando del movimento operaio mette in cornice i « santi » del marxismo e - mentre numerose circostanze oggettive gli fanno eco - vorrebbe che quest'ultimo oscillasse (paurosamente) tra Iliciòv e se stesso, Sciascia scopre (o meglio, come spesso accade nella storia della cultura, ri-scopre; ché altri lo avevano preceduto su questa strada), da illuminista recidivo e impenitente, che persino noi siciliani, ufficialmente cattolicissimi (e di quel cattolicesimo di marca spagnola), non abbiamo tutte le carte della metafisica in regola. Come quel « burgisi » onestissimo e sommamente devoto cui bastava però che andasse a male il raccolto o gli piombasse in casa una malattia « perché si scatenasse contro san Benedetto e gli altri suoi patroni, e con un rito bestemmiatorio assolutamente originale: si cavava il berretto, e stringendolo tra le mani in modo da lasciarvi una stretta imboccatura, in questa so/fiava i nomi di san Benedetto e di altri santi di cui era devoto; dopo di che, chiudendolo ermeticamente, per suggellar dentro il soffio di quei nomi, se lo poneva sotto i piedi, a pestarlo: e intanto sputava e bestemmiava ». E sono pa. gine in cui l'illuminismo rivela tutta la sua carica liberatoria, la sua attualitll amara ma non del tutto disarmata. [g. m.J. -11

' e La « tragedia » indispensabile ? Renzo Renzi ha aperto, di recente, sulle pagine della rivista Cinema Nuovo, un interessante dibattito sui rapporti intercorrenti tra il «socialismo» e la e tragedia> (entrambi i termini, naturalmente, sono riassuntivi ed indicativi di una problematica più vasta e sopportano, perciò, un maggior peso di significati). Nella Mezza età del socialismo (Cinema Nuovo n. 162, p. 112), prendendo spunto dal film di Fellini, 8½, Renzi interroga il problema della nevrosi e della crisi nella società contemporanea, che la psicoanalisi tenta di interpretare insufficientemente con esclusive spiegazioni psicologiche, rilevando in conclusione che e forse, anche il socialismo è giunto alla sua mezza età. La mezza età è quella dei bilanci; essa induce a vedere più le sconfitte che le vittorie; porta a constatare la permanenza della tragedia e del dolore; è una prima grande preparazione all'idea della solitudine e della morte; propone la necessità di modificare certe prospettive in base ad una iniziale grande esperienza di vita (quella della giovinezza), ma, appunto, introduce In uno stato di incertezza e di crisi per via della ricerca; mette sotto gli occhi, tra tutti, il grande dilemma: lotta o rassegnazione?>. Nel n. 166 della medesima rivista Giuseppe Fer12 - rara obbietta che « la tragedia non la vuole il fato, o il mistero, ma si forma per precise ragioni storiche, che possono essere comprese ed eliminate. Beninteso, anche la tragedia individuale, come può essere un suicidio, non è fatale, ma dipende da infinite ragioni e fatti storici, su cui c'è, o ci sarebbe stata, possibilità di intervento. Insomma i socialisti si battono perché la tragedia non sia. Ma non perché vogliono vivere come nei film stalinisti, in un mondo senza dialettica, bensi perché credono che questo sia il còmpito dell'uomo>. Nello stesso numero Renzi replica, ribadendo che « insomma, a un socialismo che, in parte, si illude, io preferisco un socialismo che sa. Quando, nel mio articolo, ho scritto: 'Se la tragedia deve essere, che sia', l'ho fatto perché mi è parso di sentire fermentare nell'opera dei nostri maggiori registi, elementi di tragedia che invece non vengono a galla completamente: mentre il nostro sviluppo culturale ha bisogno di esplicite catarsi liberatorie. Hegel, credo, ha detto che le nuove sintesi sono sempre precedute dalla tragedia. Se ciò è vero, affrontiamo dunque la tragedia>. Sono intervenuti, successivamente, Roberto Roversi, Vittorio Boarini (sul n. 168 di Cinema Nuovo) e Mino Argentieri su Cinema 60. Le loro obiezioni sono soprattutto indirizzate verso la precisazione che la «tragedia>, anche se deve entrare a far parte del marxismo, è intesa e spiegata dallo stesso in senso opposto a quello borghese e che tale distinzione non deve essere persa di vista. Nella sua acuta e pungente lettera Roversl, dopo avere chiarito i contenuti opposti della tragedia e dell'epica, osserva che « la tragedia dell'uomo contemporaneo non è un fatto privato da distillare ontologicamente, ma è determinata dalla mancanza di •felicità' della società> e conclude che e forse l'errore è proprio qui, e tutta la

causa dei mali: che l'adesione di un tempo, al socialismo, o al marxismo, fu e rimase sentimentale, come dire un sollievo del cuore più che un convinto appagamento della mente. Oggi è diverso, e il cuore non basta più (forse non è mai bastato). Oggi 'pagano' anche i morti e sono rovesciati nelle tombe e sono chiamati in causa; figuriamoci i vivi. I vivi hanno il duro ordine dei problemi che li attende, in un contrasto feroce, sottile, eccitante>. Il discorso è stato condotto, pertanto, sulla necessità o meno che il marxismo dovrebbe avvertire di tenere presenti il dolore, le sofferenze, la morte, le malattie, cioè la fenomenologia della e tragedia>. A mio giudizio, l'ignoranza e il rifiuto aprioristici di tali problemi può costringere, infatti, alla costruzione mistificata di vuote difese, dove i predetti problemi vengono allontanati e soffocati, come non facenti parte della realtà oggettiva. In questa maniera si cancella dalla realtà, abbastanza meccanicamente, una parte di essa, che anche sovrastrutturalmente dovrebbe essere, invece, presa in considerazione. Il marxismo, che è un sistema di conoscenza globale del mondo, avrebbe il dovere di spiegare e discutere le ossessioni dell'uomo, il timore delle malattie, l'angoscia, per esempio, senza peraltro utilizzare un vocabolario di esorcismi, che tutt'al più modificano le etichette e collocano quella sezione di realtà in una categoria innocua e senza autentici significati. Invece di respingere come • decadenti > questi problemi e di lasciarli sospesi, dobbiamo avere il coraggio di parlarne, di ammetterli come esistenti, come presenti tra noi, e dentro di noi (è, per me, ripugnante rassicurare se stessi con il ricorrere alle spiegazioni metafisiche o con la formazione inconsapevole di un nuovo misticismo, quello del razionalismo, nel quale ogni altra diversa istanza si consuma nella indifferenza), e dobbiamo esaminarli con strumenti scientifici. Quest'apertura e questa dialettica, preparata ad assorbire ogni esigenza che costituisca parte Integrante dell'uomo, non dovrà assumere mai il vizio della meschina solitudine piccolo-borghese, la quale vive chiusa in pseudo-problemi esistenziali artificiosamente creati per giustificarsi con un illustre alibi, ma contenere in sé la consapevolezza che anche il dolore, l'angoscia, le malattie, la morte, la tragedia sono concetti in gran parte legati alla propria storia pubblica e la cui risoluzione positiva dipende anche dalla trasformazione, in un possibile futuro, del nostro sistema sociale. La condizione dell'intellettuale marxista, che è più vicina alle mie esperienze, quella del sud, è ancora più ossessiva e responsabile di quella dell'intellettuale del nord, perché il primo deve fare i conti non solo con tali questioni, ma anche con la maggiore diffidenza e ostilità dell'ambiente sociale ed economico in cui svolge la sua attività, abituato conformisticamente a riporre la sua fiducia solo nel e vecchio>, nel e passato> e, per lo più, critico reazionario del proprio tempo presente, aprioristicamente giudicato irrimediabilmente corrotto, perché ogni oggetto e ogni situazione si mostrerebbe e si manifesterebbe attraverso i segni del caos e del disordine. I sogni feudali e le nostalgie di questi cavalieri dell'apocalisse non sono, però, tanto astratti e limitati (che, anzi, la loro diffusione è consentita dal qualunquismo sostanziale dell'industria culturale: televisione, quotidiani di informazione, cinema in parte, si trasformano in cinghie bianche e mute di segnali autentici, in precedenza disinfettati o diminuiti in base a studi di sociologia e di psicologia di massa), da non risultare estremamente fastidiosi per l'intellettuale e lo studioso marxista intenzionato a muoversi attivamente in una ricerca culturale ed epistemologica, priva di condizionamenti dogmatici e aperta a ricevere tutte le domande che l'accelerazione confusa delle idee cl conduce con maggiore inquietudine e più consape- -13

vole partecipazione. L'assedio viene anche da una parte dei suoi stessi compagni, i quali ritengono (anche se esplicitamente non lo dichiarano) che la e cultura> e la e tragedia> ·stano un argomento di élite, una situazione prevalentemente privata, uno strumento non adatto per il colloquio con gli altri. Naturalmente questo atteggiamento è tipico della persona che esorcizza i fenomeni non compresi nel suo vocabolario e li rifiuta ostacolandoli quando altri, magari anche sbagliando, tentano di affrontare in modo nuovo il proprio lavoro; come rifiuta i e mostri> (cioè l'angoscia, la solitudine, la difficoltà di comunicazione, Il dissidio soggetto-oggetto, ecc.), cosi allontana da sé la e cultura > diffidando di essa come in prevalenza prodotta ideologicamente dalla borghesia. Non dobbiamo però crearci sempre ragioni di infelicità, motivi di angoscia, prendendo a piene mani dalle numerose occasioni oggettive che il mondo ci presenta, perché dovremmo, invece, mantenere un vigile scetticismo verso le ripetizioni dell'angoscia, le quali, giudicate nel contesto storico, perdono 11loro valore privato e assumono il volto della violenza economica di classe che si rinnova di continuo in forme diverse e contrastanti. Anche se 11socialismo, questa mitica parola che richiamava immediatamente e semplicisticamente parecchia speranza e felicità sociale, ha in parte deluso, ha deluso soprattutto chi si era avvicinato alla sua ideologia con e sentimento> (da questo punto di vista la delusione è stata giovevole, perché la fiducia nel socialismo come nel e paradiso terrestre> contiene una notevole quantità di automistificazione, che si scontra poi con la realtà oggettiva, la quale non è mai mitica, e si brucia corrompendosi), non chi lo ha acquistato con razionalità e consapevolezza storica. Se l'ottimismo è un atteggiamento morale che, da solo, rischia di non farci comprendere sufficientemente le tragedie che si svolgono intorno a noi, il 14pessimismo, da solo, può condurre inevitabilmente al vuoto piU sconfortante e banale. Considero, perciò, queste due presentazioni dimidiate di noi stessi negative e false per una conoscenza intera dell'uomo, che voglia abbracciare tutte le sezioni della nostra esistenza, mentre mi riesce piU congeniale un atteggiamento rigorosamente razionale nei nostri riguardi, che sia preparato a distinguere le nostre reazioni agli avvenimenti esterni nella loro composizione anche influenzata da personali esperienze private e che riesca ad acquistare una notevole qualità di equ111brio e di giudizio obbiettivo. E" in questo senso che sono d'accordo con Roversl, quando scrive che e per favore, non si può perdere ancora tempo vagheggiando dentro all'acqua di un catino la propria faccia devastata e le occhiaie consunte>, perché demistifica l'assurdità della prigionia nel proprio dolore privato, che ci può far collocare in una dimensione astratta gli svolgimenti della vita pubblica e i dolori collettivi, i quali hanno sempre un'importanza notevolissima e servono, poi, ad attribuire una spiegazione e.un significato alle nostre medesime brevi esistenze, perdute altrimenti nel deserto della solitudine e dell'abbrutimento. La voce Inutile e meccanica dei personaggi di Samuel Beckett (cosi esemplarmente paradigmi della condizione esistenziale negativa), che attendono ormai completamente svuotati non si sa bene quale metafisica e metastorica speranza o illusione, può esserci di insegnamento positivo, come allucinante fenomenologia della propria vita quando ci si allontani dal mondo storico, paralizzando i propri sensi nel confronto sbagliato con l'universo il quale, guardato sentimentalmente, sgomenta e affascina come mondo desolatamente e catastroficamente vuoto e conduce all'angoscia, che senza scampo si riproduce e prolifera come una cellula impazzita. Alfonso Pozzi

in MiAntonioni Poetica e stile chelangelo Se un merito ha la raccolta delle sceneggiature degli ultimi sei film di Michelangelo Antonlonl (Michelangelo Antonlonl, Set film, Einaudi, 1964), è quello di aver contribuito, in misura almeno pari alla visione de Il deserto rosso, ad una piU compiuta definizione del regista ferrarese .che, misconosciuto o incompreso - salvo le eccezioni del caso - dopo i suoi primi lavori, è oggi al centro dell'interesse critico come a pochi accade. Coglieremo l'occasione, perciò, dalla lettura dei suoi film, che percorrono l'arco creativo del regista dalle Amiche fino al Deserto, cioè pressoché i suoi risultati maggiori, per una sommari~ indicazione di alcuni aspetti del suo stile e del suo modo di far cinema: un cinema dalla apparenza cosi complessa per 11convergere in esso di varie suggestioni e richiami, ma, nel fondo, riconducibile ad alcuni moduli e ad una sensibilità che collocano i film di Antonioni nel momento di conf~uenza ultima del gusto decadentistico. E quando accenniamo al decadentismo de L'avventura o de La notte non intendiamo tanto quella atmosfera, tipicamente mitteleuropea, di sofferta coscienza della crisi come condizione ontologica dell"uomo, quanto la particolare versione che di alcuni motivi decadentistici, tardo-romantici, elaborò la nostra cultura, ed in particolare la nostra narrativa immediatamente anteriore al neorealismo. i: noto, invece, che oggi si è piuttosto inclini a designare l'opera di Antonioni come il punto di incontro di molteplici esperienze - dal nouveau roman alla fenomenologia - con una operazione critica di cui non sottovaluteremo l'acutezza e, in parte, la corrispondenza al vero, ma nei confronti della quale non nasconderemo 1 nostri dubbi, quando in essa scopriamo 11tentativo di affidare ai film del nostro registra significati che talvolta non gli competono. E, particolarmente, ci sembra che essa sottovaluti o trascuri le premesse sul cui terreno matura l'opera maggiore di Antoniani (pili o meno da L'avventura). La quale, invece, almeno al suo primo manifestarsi, fino all'importante, chiarificatore incontro col Pavese di Tra donne sole, affonda le radici nel periodo di crisi pili acuta del neorealismo. Antonioni appartiene cosi a quella generazione, nutrita di diverse suggestioni, che passa attraverso l'importante esperienza del cinema italiano del dopoguerra, senza recepirne la poetica, ma ponendosi nei suoi confronti in una posizione che, se non fu polemica, non fu certo di accettazione incondizionata. e Nel dopoguerra - egli afferma nella prefazione alle sei sceneggiature - c'è stato un gran bisogno di verità e sembrava possibile fotografarla dagli angoli delle strade. Oggi il neorealismo è superato in questo senso: che si tende sempre pili a creare una realtà propria [ ...]. Non Il cinema al servizio della realtà, ma la realtà al servizio del cinema>. In effetti il rapporto di Antonioni con la realtà - rapporto che nel cinema postbellico era diretto, si che essa pareva offrirsi quasi senza mediazioni - fu sempre filtrato come da un diaframma. Vi fu sempre in lui, cioé, la spinta a fissare nell'immagine 11momento essenziale di e una > sensibilità, piuttosto che rivestire le cose della loro concretezza. Non· a caso, egli, parlando di Marcel Carné, alla cui scuola aveva svolto 11proprio apprendistato artistico, dirà che e ogni accostamento fra l'arte e i suoi tempi, fra cinema e politica, presuppone non già una ricerca di corrispondenza diretta tra immagini ed eventi, bensi un sondaggio nell'animo degli Individui, dove è dato Incontrare quelli che sono 1 richiami pili intimi e pressanti > 1 • Questa pro- - 15

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