giovane critica - n. 6 - dic.-gen. 1964-65

coli. Ma la maggior parte delle volte li tradisce realizzandoli: i nostri atti passati ritornano a noi, irriconoscibili e nostri, dal fondo degli anni futuri; bisognava disperare o trovare in essi la ragione mutevole del mutamento e nell'impossibilità di far rivivere i fatti antichi crearli almeno nel cuore dell'evento che li rinnega>. Si preannuncia quella che sarà una vera dialettica del rimorso ne Le Parole. Già l'oggetto nuovo che emerge da questo saggio su Merleau-Ponty, cosi come nella prefazione ad Aden Arabia di Nizan, è un nuovo Sartre, tutto scissure, in cui sono poste in rilievo le proprie contraddizioni, e non sembra per semplice autoproduzione: si fa vivo, infatti, con ciò il problema di recuperare interi i termini di se stesso come storia. In questo senso la Critica della ragione dialettica rappresenta e dovrebbe rappresentare il miglior terreno di prova di questa e totalizzazione» dell'individuo, e proprio in una nuova concezione della storia ancorata al marxismo, il quale avrebbe questa volta riscattato l'esistenzialismo da quello stato che, per dirla con Hegel, era un vero e essere in preda al nascere e al perire>. Su questa nuova oggettività conquistata ci attendevamo certamente di pili: che innanzitutto Sartre ritrovasse i nuovi elementi per riprendere il suo discorso narrativo già da lungo tempo interrotto; ci attendevamo che ritrovasse entro la letteratura il senso del suo engagement, il quale, cosi com'è posto verso di essa, in semplice situazione di negazione, rappresenta in definitiva una rinuncia alla lotta contro l'attuale letteratura francese. Invece egli compie solo un e passo indietro > per ritrovare la propria gravità. Ma ciò è solo rimasto un passo indietro. Sartre infatti è rimasto fermo ai propri valori: s'intende che non ha cercato in essi la propria identità o armonia naturale, ma si è posto ancora il problema di un'acquisizione permanente di questi valori. Con l'estremismo proprio della sua dialettica Sartre è riuscito a trovarli fino al livello della sensazione, nel 2consumo quotidiano delle sue azioni, nel complesso percorso delle sue emozioni. Ma in definitiva ci ha offerto solo quello che già da tempo lui stesso vi aveva messo. Ritroviamo infatti nelle Parole una chiara conferma di quelli che si possono considerare i punti fermi della sua opera: l'ateismo spesso passato come scontato, ma su cui egli ha tante volte insistito e sul quale ancora c'invita a riflettere, l'intero problema dei rapporti individuali della psicanalisi esistenziale, ma soprattutto, e questa volta fortemente accentuata fino a costituire un nuovo centro focale, la sua presa di posizione nei confronti della famiglia. Fin dalle prime pagine delle Parole ci viene incontro con questo problema: eUn buon padre non esiste, è la norma: non si accusino gli uomini, bensì il legame di paternità che è marcio. Fare figli, non c'è cosa migliore; averne, che cosa iniqua! Se fosse vissuto, mio padre si sarebbe steso lungo sopra di me e m'avrebbe schiacciato. Per fortuna è morto prematuramente [ ... 7-Fu un male o un bene? Non lo so; ma sottoscrivo volentieri il verdetto d'un eminente psicanalista: io non ho un Super-io>. E pili avanti: e Ho venduto i suoi libri: cosi poco mi concerneva questo defunto>. Non c'è dubbio, Sartre vorrebbe che ognuno dicesse del proprio padre, vivo o morto: quest'uomo non m'interessa. I nostri rapporti naturali hanno un senso solo se si rivelano dei rapporti storici, a partire dai quall noi scegliamo la nostra vita. Cosi la famiglia esige di essere internamente superata nel suo sistema. Ma il piccolo Paulou ha sempre a chi obbedire, e nella casa di nonno Schweitzer trascorre la disavventura di una genialità malamente impostagli. Sartre è spietato con se stesso, non ammette che egli abbia vissuto la sua infanzia passando da una menzogna all'altra, da un'impostura all'altra; finché arriverà a quella specie d'apparente e salvezza> che è lo scrivere: scrittore per essenza. E questo gli resterà per tutta la vita: scrivere, il sostituto della dialettica,

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