• Il divario nasce dal caso specifico di un trapianto letterale, non funzionale, di parole e discorsi fissati in un'opera (il primo Vangelo) in un contesto diverso. Non si tratta, dunque, di un contrasto Irriducibile tra la parola « che si ferma e dice » (letteratura) e l'immagine ccche scorre e si mostra » (cinema), come da tempo viene sostenendo A. MORAVIcAhe ora, sull'Espresso (4/10/64), scrive: cc abbiamo sempre pensato che la parola nel cinema ha un carattere veristico, cioè, in fondo, superfluo, come dimostra se non altro il fatto che per molto tempo Il cinema fu muto e tuttavia lo stesso completamente espressivo ». Per cui I difetti del film derivano - secondo Moravia - da questa Incompatibilità (ccmentre I silenzi sono di Pasolini, le parole, ovviamente, sono del Vangelo »). zione filologica di gesti, gergo, ambienti. In tale direzione il cinema ha ormai preso il posto del romanzo. La trascrizione cinematografica allaccia i segmenti della linea orizzontale del testo, Interrompe la pausa della meditazione e, agganciando un brano sopra l'altro, diminuisce l'apertura solenne cresciuta sulle misure familiari di ogni episodio: lo spettatore non si trova in grado di mantenere (come invece succedeva al lettore) la spaziatura tra pezzo e pezzo: qui la vicenda giunge sempre di seguito, di corsa, senza fermarsi mai, proprio come l' <azione, cinematografica imbastita sopra una sceneggiatura tradizionale. Ad un certo punto, pesa quel saltellare e procedere ininterrotto, toglie aria e ampiezza (anche religiosa) al racconto, livella i rilievi e I tempi narrativi. D'altra parte, all'interno del singolo episodio, si verifica l'appiattimento della linea verticale. Il cinema trasferisce pari pari la materia dell'episodio nel suo linguaggio canonico: separa quella concrezione di cui parlavamo in precedenza, e giustappone materialmente la significazione dei fatti all'apparenza fenomenica dei fatti stessi. Alla lettura avverti simultaneamente i vari livelli e i diversi valori per cui l'evento fisico perde di peso, ha un'evidenza lontana, integrato nella misura della fede, del simbolo, del mito: mai come illustrazione del verosimile. In altre parole, l'evento fisico rimane chiuso nell'immaginazione del lettore oppure viene ritagliato nella statica di un'iconografia che, mediante l'immagine immobilizzata in quadro, distrugge la traccia di verosimiglianza naturalistica. Ma se all'evento imprimiamo la cadenza verosimile della dinamica cinematografica, pur mantenendo ferma la parola del testo letterario, finisce che l'immagine si ingorga e lo spettatore ha di fronte un fatto normale: un uomo che cammina sulle acque, una grossa bozza che sparisce dalla faccia di un infermo, dei pani che si moltiplicano, ecc. La parte miracolosa acquista talora una pesantezza, un'evidenza materiale che sfiora la caricatura: il momento della fede o quello del mito diventano poco significanti, ancorati a siffatta grammatica del cinema•. E' quanto accade per il tradimento di Giuda. Si sa che nel testo evangelico la parte di Giuda non ha un significato veristico, come di elemento necessario all'intreccio: i sacerdoti preferiscono catturare di nascosto Cristo, allora Giuda li guida, ecc. Parlando dal punto di vista della verosimiglianza, il sinedrio conosceva le mosse di Cristo e gli Informatori sapevano riconoscere la figura dell'antagonista con cui avevano parlato e altercato in parecchie occasioni. La figura di Giuda diventa, dunque, un elemento rituale, necessario al simboli, alla sacra rappresentazione: il tradimento - 37
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==