giovane critica - n. 6 - dic.-gen. 1964-65

Il Vangelo di Matteo: una sceneggiatura? 36tezza casuale e precipitosa della situazione (in una prima sceneggiatura, il regista aveva invece impostata la scena completamente sul primo piano, a contrasto, di Pilato e di Cristo secondo un modulo di tradizione teatrale); Il pianto di Pietro (che il testo si limitatava a indicare sommariamente: eE uscito fuori, pianse amaramente>); l'adorazione del Magi (senza cielo trapunto di stelle, senza cometa e presepio, In uno spazio angusto, polveroso, in un atteggiarsi castissimo delle figure); suicidio di Giuda (anch'esso appena accennato nel testo: « Gettate le trenta monete nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi >); e Infine, parte della sequenza della crocifissione che recupera una tensione tragica proprio nella sua dimensione e normale>, antioratoria. Ad un certo punto, la struttura del testo letterario comincia a resistere, rifiutando le contaminazioni del regista. La parte centrale ristagna o si accavalla, l'eccesso di parole disturba (le parole se sono commentate, come nel testo, hanno un significato, In caso contrario non sempre sono capite). La divaricazione tra parole e immagini produce una frantumazione del racconto, che procede a sbalzi. Nella parte statica l'impatto tra la parola del testo e l'immagine cinematografica avveniva sulla base unitaria di una circostanza «lirica>, bloccata in quadri singoli, e tagli di plani come monadi figurative: insomma il correlativo di un gruppo di versi. Ma l'opera di Matteo, dal momento in cui diventa perentoria, assoluta - sia dalla parte della figura protagonista, che dalla parte dell'ideologia religiosa - sopporta male le riduzioni e gli scarti su misure ad essa non omogenee. Al regista manca spazio, quel primo urto interno da cui proviene Il resto, l'Intuizione lirica, la prepotenza di un nucleo creativo originale. Invece di una creazione, hai una illustrazione, anche se intelligente e colta, che si aggiunge ad un testo che occorre aver letto per comprendere appieno i motivi illustrati (mentre con la creazione nasce un'opera autonoma, da intendere anche senza il riferimento al testo di partenza). Matteo passa da un argomento all'altro senza incertezze e senza mezzi termini: sicché, argomenta Pasolini, non occorre altra sceneggiatura: l'evangelista aveva prefigurato, come dire?, una visione cinematografica. Probabilmente l'ipotesi di questa osmosi tra testo del Vangelo e sceneggiatura discende dalla circostanza per cui Pasolini, natura Urica, venuto alle prese con un Impianto di racconto In prosa tende a costruire la narrazione come una serie di impeti (frammenti) lirici, collegati sopra una registra-

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