giovane critica - n. 6 - dic.-gen. 1964-65

zibaldone Malinconia di s artre finita la guerra, voleva scrivere soltanto di se stesso, Scrivere la propria autobiografia non è come cadere nella trappola del proprio io? Come si può stabilire un discorso su noi stessi senza renderci detestabili? E' vero che si ritorna a giocare la propria vita nel mondo, ma chi lo ha fatto tante volte, chi ha ottenuto, oltre se stesso, un personaggio e un volto a cui aveva affidato la propria affettività, non rischia di voler sostituire alla somma di una realtà possibile il resto di un'illusione calcolata? Qui non è solo la e ripetizione> che si mette in dubbio. Si può parlare di noi stessi scoprendoci di nuovo e inventando la nostra vita. Ma l'autobiografia ha una modalità propria: si può parlare di se stessi in un solo modo, con un peso, una gravità, che scende in fondo a noi e resta irreversibile. Le Parole di Sartre rappresentano una giustificata lotta contro i vizi di un tale discorso, tentando un assorbimento di quei limiti che sempre comporta l'atto di rivolgersi al passato. Sono i e limiti > interni che Sartre riesce a dominare: egli saprà bene, infatti, che Roquentin non esprimeva lui solo, ma tutti; che il Sartre dell'autobiografia può rispecchiare il Roquentin della Nausea quanto una lastra opaca; che la propria infanzia ha un senso non certo nel e ricordo>, ma nella sua distruzione al presente: ma per quanto riguarda il senso problematico della sua autobiografia, quell'apertura al presente che essa necessariamente comporta, ci troviamo di fronte ad un vero e problema Sartre>. Egli ha esitato a lungo prima di parlare di se stesso. Simone de Beauvoir già nei Mandartnt ci narra che Henry (Sartre), appena ma il rinnovato dovere politico glielo impediva, perché ciò sarebbe stato come arrestarsi. Da allora fino ad oggi una cosa è rimasta a Sartre, il desiderio di fermarsi. Non a caso tale desiderio si è espresso dopo un rinnovato impegno politico, ma questa volta dopo un lungo silenzioso esaurimento letterario. Diciamo subito, e non ci è parso inaspettato, che questo libro è interamente percorso da quel sentimento non certo tranquillo che ci porta a parlare di noi stessi e che concerne il mondo esteriore da cui non ci si può liberare: la malinconia. Questo sentimento ci porta indietro in quanto riguarda noi esclusivamente, ma ciò non avviene indefinitamente, perché ci offre scoperto ed immediato quel momento di verità che abbiamo acquisito con il mondo. Un'autobiografia dovrebbe cosi risultare come un e passo indietro>, ma solo per andare avanti. Ciò è necessario nella nostra vita, come è necessario al torero indietreggiare d'un passo per infilzare il toro con la spada. Tuttavia per parlare di se stessi qualcosa deve essersi arrestato, c'è una forza contraria alla ncstra direzione che prende il sopravvento, nasce un dissidio. Non c'è dubbio che Sartre vi si trova nel mezzo e il senso di questo dissidio gli rimane ancora incerto. Non molto tempo prima di questo libro, parlando dell'amico Merleau-Ponty, cosi riflesse interamente su quest'ultimo il suo problema: e Egli interrogava la storia universale come se si trattasse della sua stessa vita: tempo perduto? Tempo ritrovato? Scarto, deviazione, deriva, tante volte riscritte, queste parole testimoniano che non si vince senza perdere, che l'avvenire, anche il pili vicino, anche il pili docile, tradisce le nostre speranze e i nostri cal- -1

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