soggetto d'un libro: l'inautenticità non è romanzesca, questo è il fatto. I ro• manzieri invece cercano di persuaderci che il mondo è formato da individui insostituibili, tutti squisiti, anche quelli malvagi, tutti appassionati, tutti unici. Nathalie Sarraute ci mette innanzi il muro della inautenticità; ce lo fa vedere ovunque. E dietro questo muro? Cosa può esserci? Ebbene proprio, esattamente, nulla. Nulla o press'a poco ». Una cosa tuttavia è « il nulla», un'altra la sua rappresentazione: cosa che mi pare Robbe Grlllet non abbia tenuto presente nel suo film. • CEsARE CASES, Autore· e lettore, L'Europa Letteraria n. 15-16, giugnoagosto 1962. 5 GYORGY LUKACS, Scritti di Sociologia della letteratura, Milano, Sugar, 1964. ses in una nota aguzza come tutte le cose sue scriveva: e E resta poi da vedere se sia davvero modesto il preteso atteggiamento democratico dello scrittore contemporaneo. Secondo Castellet egli richiederebbe la collaborazione del lettore dicendogli pressapoco: 'Questo è quel che vedo, ma non cl capisco niente: e tu, fratello mio?'. Ma è proprio sicuro che il discorso sia questo? Il non capire è sovente un'ideologia piu arrogante del capire, ed a leggere molte opere contemporanee si ha l'impressione che l'autore dica piuttosto: 'Io non ci capisco niente, ed è proprio questa la prova che sono intelligente. Tu, candido lettore, non tentare di capirci qualcosa se non vuoi dimostrare di essere, qual sei, un miserabile filisteo'>•. 1 e cinema viene oggi inteso ora come strumento utile per un insegnamento di carattere intuitivo, ora come un nuovo elemento I a buon mercato di concorrenza del teatro: lo si intende, cioè, sotto il profilo pedagogico o sotto quello economico. Soltanto pochissimi pensano che la definizione e la valutazione di una nuova forma del Bello, quale è il cinema, spetti, appunto, all'estetica>. Cosi scriveva Gyorgy Lukacs nel lontano 1913 in un saggio, Riflessioni per una estetica del cinema, di cui ci aveva dato notizie a suo tempo Umberto Barbaro, e che costituisce adesso, assieme alla prefazione di Peter Lundz, una delle maggiori ghiottonerie della recente antologia di scritti lukacsiani apparsa per i tipi d1 Sugar •. Il saggio, scritto in quella prosa difficile che è caratteristica del primo Lukacs, ha qualcosa di piu che un valore semplicemente archeologico. Se da un canto difatti il filosofo ungherese applica al cinema una problematica decisamente astratta (il cinema come perfetta coincidenza di possibilità e di realtà, come arte propizia alla « piu spinta e sfrenata dinamicità delle forme>, quale la propugnarono i romantici e a cui è inadeguato il teatro) dall'altro dimostra di avere coscienza della peculiarità del cinema rispetto al teatro, dell'antinaturalismo di base del cinema, di come - contro le opinioni togate dei « dotti di Salamanca> di ieri e di oggi - alla origine del linguaggio cinematografico ci sia un principium stilisationis. Il futuro del cinema, afferma energicamente Lukacs, non è, una volta inventato il sonoro, la sostituzione del teatro, un teatro a grandissima tiratura in cui e reciteranno soltanto gli attori piu bravi e la loro recitazione sarà senz'altro ottima perché le scene malriuscite non saranno neppure filmate> (il - 21
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