• giovane • • cr1t1ca 6 GIOVANE ■ CRITICA ■■■ ■■■ 3-C ■■■ ce~tro un1ver Il■ s!tario cinema Dicembre - Gennaio 1964 -65 ■ ~ograf ICO direttore responsabile: comitato direttivo: redazione: copertina, tema grafico e disegni: foto: Pietro Battiato Gaetano Leo, Paolo Manganaro, Gaetano Marcellino, Giampiero Mu,!!hini, Antonino Recupero c/o Giampiero Mugbini, via F. Cilea 119, Catania Roberto Laganà Fernando Scianna L'abbonamento alla rivi■ta - che dà diritto a quattro numeri - è fissato in L. 1.400 da versare all'indirizzo redazionale. Un numero separato: L 400 - un numero doppio: L 500. Stampe semestrali in abbonamento postale - Groppo IV. Autorizzazione 3 gennaio 1964 n. 292 del Registro Periodici del T ribonale di Catania. Stampato nella tipografia della Università di Catania. Zinchi di Pietro Ciffo.
zibaldone Malinconia di s artre finita la guerra, voleva scrivere soltanto di se stesso, Scrivere la propria autobiografia non è come cadere nella trappola del proprio io? Come si può stabilire un discorso su noi stessi senza renderci detestabili? E' vero che si ritorna a giocare la propria vita nel mondo, ma chi lo ha fatto tante volte, chi ha ottenuto, oltre se stesso, un personaggio e un volto a cui aveva affidato la propria affettività, non rischia di voler sostituire alla somma di una realtà possibile il resto di un'illusione calcolata? Qui non è solo la e ripetizione> che si mette in dubbio. Si può parlare di noi stessi scoprendoci di nuovo e inventando la nostra vita. Ma l'autobiografia ha una modalità propria: si può parlare di se stessi in un solo modo, con un peso, una gravità, che scende in fondo a noi e resta irreversibile. Le Parole di Sartre rappresentano una giustificata lotta contro i vizi di un tale discorso, tentando un assorbimento di quei limiti che sempre comporta l'atto di rivolgersi al passato. Sono i e limiti > interni che Sartre riesce a dominare: egli saprà bene, infatti, che Roquentin non esprimeva lui solo, ma tutti; che il Sartre dell'autobiografia può rispecchiare il Roquentin della Nausea quanto una lastra opaca; che la propria infanzia ha un senso non certo nel e ricordo>, ma nella sua distruzione al presente: ma per quanto riguarda il senso problematico della sua autobiografia, quell'apertura al presente che essa necessariamente comporta, ci troviamo di fronte ad un vero e problema Sartre>. Egli ha esitato a lungo prima di parlare di se stesso. Simone de Beauvoir già nei Mandartnt ci narra che Henry (Sartre), appena ma il rinnovato dovere politico glielo impediva, perché ciò sarebbe stato come arrestarsi. Da allora fino ad oggi una cosa è rimasta a Sartre, il desiderio di fermarsi. Non a caso tale desiderio si è espresso dopo un rinnovato impegno politico, ma questa volta dopo un lungo silenzioso esaurimento letterario. Diciamo subito, e non ci è parso inaspettato, che questo libro è interamente percorso da quel sentimento non certo tranquillo che ci porta a parlare di noi stessi e che concerne il mondo esteriore da cui non ci si può liberare: la malinconia. Questo sentimento ci porta indietro in quanto riguarda noi esclusivamente, ma ciò non avviene indefinitamente, perché ci offre scoperto ed immediato quel momento di verità che abbiamo acquisito con il mondo. Un'autobiografia dovrebbe cosi risultare come un e passo indietro>, ma solo per andare avanti. Ciò è necessario nella nostra vita, come è necessario al torero indietreggiare d'un passo per infilzare il toro con la spada. Tuttavia per parlare di se stessi qualcosa deve essersi arrestato, c'è una forza contraria alla ncstra direzione che prende il sopravvento, nasce un dissidio. Non c'è dubbio che Sartre vi si trova nel mezzo e il senso di questo dissidio gli rimane ancora incerto. Non molto tempo prima di questo libro, parlando dell'amico Merleau-Ponty, cosi riflesse interamente su quest'ultimo il suo problema: e Egli interrogava la storia universale come se si trattasse della sua stessa vita: tempo perduto? Tempo ritrovato? Scarto, deviazione, deriva, tante volte riscritte, queste parole testimoniano che non si vince senza perdere, che l'avvenire, anche il pili vicino, anche il pili docile, tradisce le nostre speranze e i nostri cal- -1
coli. Ma la maggior parte delle volte li tradisce realizzandoli: i nostri atti passati ritornano a noi, irriconoscibili e nostri, dal fondo degli anni futuri; bisognava disperare o trovare in essi la ragione mutevole del mutamento e nell'impossibilità di far rivivere i fatti antichi crearli almeno nel cuore dell'evento che li rinnega>. Si preannuncia quella che sarà una vera dialettica del rimorso ne Le Parole. Già l'oggetto nuovo che emerge da questo saggio su Merleau-Ponty, cosi come nella prefazione ad Aden Arabia di Nizan, è un nuovo Sartre, tutto scissure, in cui sono poste in rilievo le proprie contraddizioni, e non sembra per semplice autoproduzione: si fa vivo, infatti, con ciò il problema di recuperare interi i termini di se stesso come storia. In questo senso la Critica della ragione dialettica rappresenta e dovrebbe rappresentare il miglior terreno di prova di questa e totalizzazione» dell'individuo, e proprio in una nuova concezione della storia ancorata al marxismo, il quale avrebbe questa volta riscattato l'esistenzialismo da quello stato che, per dirla con Hegel, era un vero e essere in preda al nascere e al perire>. Su questa nuova oggettività conquistata ci attendevamo certamente di pili: che innanzitutto Sartre ritrovasse i nuovi elementi per riprendere il suo discorso narrativo già da lungo tempo interrotto; ci attendevamo che ritrovasse entro la letteratura il senso del suo engagement, il quale, cosi com'è posto verso di essa, in semplice situazione di negazione, rappresenta in definitiva una rinuncia alla lotta contro l'attuale letteratura francese. Invece egli compie solo un e passo indietro > per ritrovare la propria gravità. Ma ciò è solo rimasto un passo indietro. Sartre infatti è rimasto fermo ai propri valori: s'intende che non ha cercato in essi la propria identità o armonia naturale, ma si è posto ancora il problema di un'acquisizione permanente di questi valori. Con l'estremismo proprio della sua dialettica Sartre è riuscito a trovarli fino al livello della sensazione, nel 2consumo quotidiano delle sue azioni, nel complesso percorso delle sue emozioni. Ma in definitiva ci ha offerto solo quello che già da tempo lui stesso vi aveva messo. Ritroviamo infatti nelle Parole una chiara conferma di quelli che si possono considerare i punti fermi della sua opera: l'ateismo spesso passato come scontato, ma su cui egli ha tante volte insistito e sul quale ancora c'invita a riflettere, l'intero problema dei rapporti individuali della psicanalisi esistenziale, ma soprattutto, e questa volta fortemente accentuata fino a costituire un nuovo centro focale, la sua presa di posizione nei confronti della famiglia. Fin dalle prime pagine delle Parole ci viene incontro con questo problema: eUn buon padre non esiste, è la norma: non si accusino gli uomini, bensì il legame di paternità che è marcio. Fare figli, non c'è cosa migliore; averne, che cosa iniqua! Se fosse vissuto, mio padre si sarebbe steso lungo sopra di me e m'avrebbe schiacciato. Per fortuna è morto prematuramente [ ... 7-Fu un male o un bene? Non lo so; ma sottoscrivo volentieri il verdetto d'un eminente psicanalista: io non ho un Super-io>. E pili avanti: e Ho venduto i suoi libri: cosi poco mi concerneva questo defunto>. Non c'è dubbio, Sartre vorrebbe che ognuno dicesse del proprio padre, vivo o morto: quest'uomo non m'interessa. I nostri rapporti naturali hanno un senso solo se si rivelano dei rapporti storici, a partire dai quall noi scegliamo la nostra vita. Cosi la famiglia esige di essere internamente superata nel suo sistema. Ma il piccolo Paulou ha sempre a chi obbedire, e nella casa di nonno Schweitzer trascorre la disavventura di una genialità malamente impostagli. Sartre è spietato con se stesso, non ammette che egli abbia vissuto la sua infanzia passando da una menzogna all'altra, da un'impostura all'altra; finché arriverà a quella specie d'apparente e salvezza> che è lo scrivere: scrittore per essenza. E questo gli resterà per tutta la vita: scrivere, il sostituto della dialettica,
il voler rlsolYere l'inferno nella possibilità della parola. Sartre sarà in ciò un surreallsta e un razionalista insieme. Ma non gll sarà mal abbastanza sufficiente strappare dalla propria carne tutto quanto ha ricevuto dalla sua famlglla: e Protestante e cattollco, la mia doppia appartenenza confessionale ml tratteneva dal credere al Santi, alla Vergine, e alla fine a Dio, finché 11si chiamava col loro nome. Ma un'enorme potenza collettiva mi aveva penetrato; stab111tas1 nel mio cuore, essa stava all'erta; era la fede degli altri>. E non basta, una mattina: e non seppi pili cosa inventare per distrarmi: decisi di pensare all'Onnipotente. Immediatamente ruzzolò nel cielo, e spari senza dare spiegazioni: non esiste, mi dissi con uno stupore di cortesia, e credetti risolto il problema. E in un certo modo era risolto, dato che mai In seguito ho avuto la minima tentazione di riaprirlo. Ma l'Altro rimaneva, l'Invisibile, lo Spirito Santo>. e Scrivere fu per molto tempo un chiedere alla Morte, alla Religione, in forma mascherata, di strappare la mia vita al caso>. Invero per Sartre è difficile conquistare l'ateismo: esso è veramente la e critica dei cielo> che si trasforma nella critica di questo mondo; esso è difficile quanto conquistarvi se stesso. Se per Camus l'ateismo restò una maschera, per Sartre esso ha invece un solo volto: realizzare la vita di un uomo senza Dio. La sua opera ne è percorsa da parte a parte, ma vediamo anche la sua vita: e martirio, salvezza, immortalità, tutto si deteriora, l'edificio cade In rovina, ho acchiappato lo Spirito Santo nelle cantine e l'ho discacciato; l'ateismo è un'impresa crudele e di lungo respiro: io credo di averla condotta in porto. Vedo chiaramente, sono disingannato, conosco i miei veri còmpiti, merito certamente un premio di civismo>. e [ ... J i miei vecchi sogni, potrebbe essere che ancora li nutro segretamente? Non è esattamente cosi: li ho, credo, adattati [ ...] >. e Non dipendo che da loro i quali dipendono solo da Dio, e io non credo in Dio. Andate a raccapezzarvici. Per parte mia io non mi ci raccapezzo, e mi chiedo a volte se non gioco a vinciperdi e non mi studio di calpestare le mie speranze d'un tempo sol perché tutto mi sia reso centuplicato>. Come Filottete; ma in tutto ciò c'è una speranza, questo gioco non è gratuito: la possibilità per l'intellettuale di rinnovare la propria posizione di lotta contro questa difficile realtà storica. Proprio questo Sartre suggerisce indirettamente, mentre senza esitazione ci rivela dove è arrivato ed ha dovuto arrestarsi: «Ho smesso d'investire, ma non ml sono spretato: scrivo sempre. Che c'è da fare di diverso? Nulla dies sine linea. E' la mia abitudine e poi è il mio mestiere. Per molto tempo ho preso la penna come una spada: ora conosco la nostra impotenza>. Ma dopotutto e senza equipaggiamento, senza attrezzatura, ml sono messo tutto per intero all'opera per salvarmi tutto intero. Se ripongo l'impossibile Salvezza nel ripostiglio degll attrezzi, cosa resta? Tutto un uomo, fatto di tutti gll uomini: li vale tutti, chiunque lo vale>. Oltre la sua umanità, oltre l'umanità di tutti, Sartre non rinnova le sue speranze. La via reale della Storia, che egll aveva visto nel marxismo, non riesce a dargli direttamente la ragione di questa infelicità; essa gli resta da prima, ormai è un privilegio. Tuttavia e esigere la rinuncia alle Illusioni concernenti la propria situazione, è esigere che si sia rinunciato ad una situazione che ha bisogno d'lllusioni >. In una società rimasta immobile contro ogni speranza, che non ritrova 11 senso della propria alternativa, l'intellettuale europeo ripercorre con Il marxismo la propria strada solo come sacralltà della storia. Egll non conosce pili da tempo lo sforzo di chiedersi ogm volta: che cos'è Il comunismo? Nell'esperienza di problemi nuovi, solo sospettati fino ad ora, slamo ancora agll inizi. Ma già è stata altra cosa la via di Brecht. Paolo Manganaro -3
Rivoluzione politica e avanguardia artistica 4- [Quello che segue è il pezzo centrale d'un intervento di Vladimir Majakovskij a una discussione che il 9 febbraio 1925 si tenne al Teatro sperimentale di Mosca. La relazione che fu al centro del dibattito s'intitolava Le prime pietre della nuova cultura ed apparteneva ad Anatolij Vasilevic Lunaciarskij, Commissario del popolo per l'istruzione. Per commentare veramente queste poche pagine se ne richiederebbero molte altre, perché in quel dibattito, dove apertamente si manifestarono posizioni diversissime all'interno della comune problematica socialista, confluivano esperienze complesse e sgorgavano linee nuove di lavoro artistico e culturale. Ma anche nella loro immediatezza le parole di Majakovskij, qui tradotte per la prima volta in italiano, sono chiare e attuali. Al di là di certe posizioni ormai datate, cioè legate con tendenze che appartengono a una precisa fase della dialettica artistica sovietica e europea, nell'intervento di Majakovskii piace non soltanto la responsabile libertà della sua polemica con Lunaciarskij (allora il punto di vista d'un ministro, d'un alto dirigente era ancora un punto di vista, non la verità rivelata!), ma anche e soprattutto la fiduciosa volontà di costruire un'arte socialista, un'arte moderna in un'ininterrotta ricerca formale, in un impegno reale e rischioso dell'artista. Per Majakovskii l'artista socialista non è chi dipinge funzionari sovietici con lo stesso spirito con cui prima si ritraevano dignitari zaristi, ma chi nel suo operare tiene conto, sia nella pittura sia nella letteratura, di tutte le trasformazioni globali in atto nel mondo: dalla rivoluzione della società alla rivoluzione delle forme, dalla rivoluzione della tecnologia alla rivoluzione dell'ideologia. La via che Majakovskii sceglieva era la via ditficile. Oggi amare e capire Majakovskij significa prima di tutto decanonizzare Majakovskij, vederlo cioè non solo nei suoi « prodotti finiti>, ma in tutto il processo che a quei prodotti ha portato. E si scoprirà forse che quei processi, quei problemi sono ancora i nostri, nella sostanza. v. 8, N. B. Si tenga presente che il testo riproduce un intervento parlato di Majakovskij e che esso non è stato rivisto e corretto dall'autore. J
• Sigla di Assotsiatsija chudozhnikov revoljutsionnoj Rossii (Associazione degli artisti della Russia Rivoluzionarla). L'AChRR fu il focolaio della pittura naturalistica e pompleristlca poi universalmente diffusa. 2 Sono i bambini abbandonati, una delle plaghe sociali del primi anni postrivoluzionari. • Isaak Izrallevic Brodskij 0883-1939) fu uno degli esponenti maggiori dell'AChRR. Il titolo esatto del quadro al quale si riferisce Majr.- kovsklj è L'apertura solenne del Il congresso del Komintern. Questa monumentale tela sollevò In quegli anni molte discussioni. • Anatollj Borisovic Marlengo!, al quale MaJakovskij, rispondendo alla provocatoria domanda, dice d'aver venduto « la blusa gialla e Il cilindro » del periodo cubofuturlsttco, fu un poeta del gruppo degli « immaglnlstl ». ' Allusione a una grande tela di Repln La seduta solenne del ConslgUo di stato del 7 maggio 1901 nel giorno del centenario della sua fsUtuzlone. [... J Il compagno Lunaclarsklj passando ai problemi della forma li tratta con straordinaria leggerezza. Ogni scrittore proletario, dice, od ogni rappresentante della nuova arte cerca dapprima di impadronirsi dell'alfabeto, di trovare la forma, di trovare la maniera. Scusate, compagni, anche la maniera verrà da sé. Prendete un violino, un buon vecchio violino borghese. Nel giorni in cui s'andava all'attacco abbiamo pur preso li fucile borghese e abbiamo dimostrato ciò che volevamo dimostrare. Ma il fatto è che né li fucile, né il violino sono forma. Sono, nel migliore dei casi, arsenale tecnico. Il problema della forma è li problema dell'organizzazione dell'Armata rossa, nella quale deve trovarsi Il fucile. Senza fucile essa non può Ingaggiare un combattimento. E il contenuto è dato da chi essa deve colpire, da chi essa deve battere. Senza questa organizzazione della forma nel campo dell'arte noi non avremo un'armata attaccante [ ... ]. Il compagno Lunaclarskij cl ha letto una relazione, per me profondamente Interessante, sul nuovo della nostra cultura. Io adesso ho paura delle parole sulla cultura artistica, perché restringono la sfera del discorso. Egli ha detto che alla mostra dell'AChRR' c'è un quadro di Bogorodsklj che ritrae del volti di besprizornye 2 , un quadro che Il compagno Lunaclarskij ha potuto osservare e raccomandarvi. E questo è li risultato del nostro lavoro settennale. Un quadretto! Quest'anno non ho visto l'AChRR. Ma possiamo porre il problema in generale: è forse cultura, questa? Io ho la mia opinione personale. Prendete, ad esempio, un quadro classico, del quale si è già scritto non poco, Il quadro di Brodsklj La seduta del Komintern •, e guardate fino a che strazio, fino a che volgarità, fino a che orrore può giungere un pittore comunista. Lo posso dimostrare. [Una voce dalla galleria: e Dove sono la blusa gialla e il ctlindro?, J Li ho venduti a un tale dieci anni fa. [Una voce: e A cht? > J A Mariengof •. Scusate compagni, ma io non riesco a trovare alcuna differenza tra un ritratto dettagliato del membri del Consiglio di Stato' e un ritratto dettagliato del funzionari del nostro Komintern. Non riesco a trovare alcuna differenza pur con tutto li desiderio di vedere davanti a me costantemente o, in ogni caso, spesso del compagni che stimo in modo profondo. Phi avanti vi dirò, compagni, che nel fissare per noi la figura, Il volto, tutti gli atteggiamenti del corpo -5
• l\lajakovsklj allude al quadro di Serov Pietro I 0907). 7 V. F. Pletnev, presidente del Proletkult, nel suo intervento aveva detto: « Anatolij Vasilevic [Lunac1arskij. N. d. T.J dice allo scrittore proletario: prendi i classici, impara da loro a scrivere. Ma 10 voglio ricordare Puschkin. Da chi Pusckin preferiva imparare la lingua? Dalle donne addette a preparare le ostie [cioè dalle semplici donne del popolo. N. d. T.J. Andava per le chiese, comperava il pane sacro e si metteva a chl&.cchierare con le donnette. E al nostro scrittore proletario non farebbe male (se egli legge le preziose opere classiche che possono suggerirgli come si deve scrivere, e lui scrive come esse sono scritte) andare spesso in questi stessi luoghi, tra il popolo semplice, e là ascoltare questa parlata meravigliosa, a noi ancora completamente sconosciuta». • Alla I conferenza degli scrittori proletari, 9 gennaio 1925, Majakovskij aveva detto: « Non basta che Tolstoj deve avere una quantità colossale di tempo per scrivere Guerra e pace, bisogna anche stabilire quante ore lavorative deve spendere un operaio per leggere Guerra e pace. Riflettere su questo problema è necessario». 6di Vladimlr Ilic il lavoro degli artisti è uguale a zero, anche se ho visto come essi, che mi sedevano accanto in molte sedute pubbliche nel corso delle quali Interveniva Lenin, facevano cigolare le loro matite. Ma se noi facciamo attenzione a dove troviamo Lenin come egli è, dobbiamo dire che lo ritroviamo nella fotografia fatta dal cinematografo: è il cinematografo cne ha colto tutti i movimenti di Vladimir Ilic, ed è il cinematografo che ci dà Vladimir Ilic vivo con tutti i suoi tratti caratteristici. Guardate invece il quadro di Brodskij dove Vladimir Ilic è in piedi sullo sfondo del Cremlino: Brodskij lascia accuratamente tutta quanta la siluetta fotografica e tutti i dettagli fotografici, aggiungendo soltanto lo sfondo: in un quadro lo sfondo è la Moscova, in un altro lo sfondo è il mare in tempesta preso da Serov •, e il massimo al quale sia giunto il pensiero inventivo dell'artista l'ho visto ieri nello studio « Dvigatel >: un ritratto di Vladimir Ilic ricopiato attraverso la carta carbone e soltanto voltato verso un'altra parte. Questo dimostra in modo chiaro e categorico che il tempo del disegno, il tempo del lavoro a matita là dove c'è la splendida figurazione fotografica appartiene a un remoto passato [ ... J. Lo stesso vale per la letteratura. Parlando della letteratura il compagno Lunaciarskij ha messo in rilievo lo sviluppo degli scrittori proletari e della cosiddetta letteratura di sinistra dei compagni di strada. Il compagno Lunaciarskij ha ricordato un'opera eminente: I tassi di Leonov, e i racconti della Sejfullina. Se al compagno Lunaciarskij fosse per caso capitata sotto gli occhi una cosa mia, egli forse l'avrebbe ricordata, ma non è in questi racconti, non è in questi poemi la vita della nostra prosa e della nostra poesia. Giustamente ha osservato il compagno Pletnev che non ai vecchi modelli classici bisogna accostarsi per ascoltare in essi ciò che cl è necessario per l'attualità, ma è ai bagni pubblici, al mercato, ecc. che bisogna andare 7 • Non soltanto per il suo contenuto, per I giri del suo discorso, ma anche per la sua stessa forma, per il modo d'affrontare il lavoro letterario l'opera di Tolstoj non dev'essere presa a modello. Nel corso d'una discussione ho già fatto osservare che per leggere adesso Guerra e pace un operalo deve impiegare plu di settanta ore lavorative•. Anche per quel che riguarda la forma, la scrittura di queste cose va mutata perché sia possibile leggerle,
• Sigla di rabocij korrespondent (corrispondente operaio). Movimento di massa di collaborazione volontaria da parte degli operai ai giornali. 10 Lidija Nikolaevna Sejfullina (1889-1954), scrittrice sovietica. Ricordiamo il suo racconto Pravonarusciteli (I violatori della legge), sulla rieducazione dei bespriwrnye, e il romanzo Virineja, sulla lotta di classe nelle campagne sovietiche subito dopo la rivoluzione. li Osip Maksimovlc Brlk (1888-1945)fu uno degli organizzatori del gruppo del critici « formalisti » OPOJ aZ e del Le/ (Levyj front, Fronte di sinistra), Il gruppo e la rivista majakovsklanl. A Majakovsk.lJ fu legato da vincoli d'amicizia. 12 Sigla di Moskovskoe obedinenie predprijatij po pererabotke produktov selskochczjaistvennoj promysclennosti <Unione moscovita delle imprese per la lavorazione dei prodotti dell'industria agricola). Nel 1923-1925Majakovsk.lJ svolse un ricco lavoro reclamistico per alcune organizzazioni sovietiche dell'industria leggera e del commercio, tra cui il Mosselprom. Majakovsk.lJ di solito scriveva le parole dei manifesti e la parte grafica era affidata a Rodcenko, alla Stepanova, a Levln. perché diventino cose del giorno d'oggi. E naturalmente nell'enorme e rozza quantità di corrispondenza dei rabkory •, nonostante tutta la loro cattiva rifinitura letteraria, noi troviamo più cose nuove che non In opere letterarie come quelle della Sejfullina 10 • Il compagno Lunaciarskij nelle conversazioni di corridoio ha detto che il compagno Brik li ci ha messo su questo piano inclinato, ma non ci dà il minimo motivo d'ispirazione, e se io, Majakovskij, a volte scrivo delle cose più o meno riuscite, ciò avviene solo perché supero le remore tenaci dell'arte produttivistica. Compagni, le nostre tesi d'un'arte produttivistica non escludono affatto un lavoro d'ingegneria superiore, un ulteriore lavoro applicato derivante da tutte le sue scoperte. Ma hanno il diritto d'esistere soltanto quel lavoro, soltanto quelle scoperte che possono portare in futuro a conclusioni pratiche. S'intende da sé che tutto il lavoro mio o dei miei compagni per il Mosselprom 12 può parere tale da sminuire gli alti ingegni poetici dalla lunga capigliatura e dalla giacca di velluto. Per me invece, compagni, per la loro impostazione poetica, per la loro organizzazione del materiale verbale questi lavori sono la diretta conclusione di tutto il precedente lavoro d'ingegneria poetica. Compagni, soltanto incorrendo in questi errori, soltanto non rivolgendo l'attenzione ai problemi della forma, ai problemi della produzione il compagno LunaciarskiJ ha potuto tacere di tutto ciò, in vero scusandosi alla fine di non avere toccato un problema come quello del Lef. Il Lef naturalmente non è un gruppo e non è una banda: è il Lef. Al compagno Lunaciarskij ho già detto che il Lef vivo è meglio di Lev Tolstoj morto. Soltanto in queste circostanze, dicevo, si è potuto tacere del Lef. n Lef non è un gruppo, non è una corrente. Il Lef è la tendenza di sempre, la lotta di sempre delle forme condizionate, s'intende, dal mutamento di tutta la loro base economica, la lotta costante delle forme nuove con le forme che hanno fatto il loro tempo, con le forme che muoiono. Vlodimir Mojakovskij -7
e Direzione politica libertà intellettuale Si può ritenere a) che nell'Unione Sovietica non si abbia una realtà socialista, oppure b) che quel socialismo porti le stimmate dell'esser russo (assenza d'un tirocinio democratico-borghese, ecc.). Sarà lieve fatica allora il progettare l'armonioso sistema d'un futuro post-moderno, e in una nicchia del bell'edifizio troverà posto la soluzione del < problema degli intellettuali>. Ma se si pensa a) che nell'Unione Sovietica si verifichi un'esperienza socialista (se d'un socialismo in costruzione, o d'un socialismo che trapassa in comunismo è una questione che, almeno ora, possiamo abbandonare ai manipolatori occulti dell'ideologia) e b) che la e russicità > non sia, naturalmente, una quantité négligeable, ma neppure l' « apriti sesamo> del mysterium, allora il nostro lavoro politico-teorico sarà men lieve perché dovremo fare i conti con le cose reali. La nostra tesi è la seconda: non fantasticheremo quindi utopisticamente, né ci atteggeremo et paladini della e libertà > (benché il problema delle libertà ci stia ben a cuore dentro e fuori il socialismo). A questo punto una strada maestra si apre: quella del biasimo dello stalinismo e della lode del leninismo. (Qualcuno batte beato e tranquillo la via laterale del trotskismo.) Stalin è il guastafeste, e ci si chiede anche se ce n'era poi proprio bisogno (prima ancora di interrogarsi sulla e svolta > staliniana si dovrebbe 8chiarire il concetto di inevitabilità storica). Di qui il disappunto, di qui lo stupore: il «cattivo> non c'è più e le vecchie buone « norme » tardano tanto a fare ritorno! C'è poi un altro atteggiamento, quello tra scettico e stoico di chi sembra dire: « La storia s'è fatta sempre ad un modo, e il socialismo è una cosa difficile: 'La storia è pazienza grande come la Siberia. Non far mostra di passione, non seminare il panico. La strada della felicità è più lunga dello Ensej' (da una poesia di Boris Slutskij) >. S'intende da sé, entrambe le posizioni hanno una loro verità. E' vero che al tempo di Lenin e certe cose non succedevano > e che i primi due lustri postrivoluzionari, che pure non furono rosei, non registrarono i delitti dell'età staliniana. E' quindi doveroso stabilire le esatte differenze e ripulire il pensiero e l'azione di Lenin dalle incrostature successive (si pensi, per addurre un solo esempio, alla falsificazione, dura a morire, che Stalin fece della nozione di « partitarietà > della letteratura). E ai candidi ottimisti (ma ne esistono ancora?) è parimenti opportuno rammentare che la Storia dopo uno zig fa uno zag e spesso per fare un passo avanti ne deve fare prima qualcuno indietro. Ma queste sono verità ausiliarie, se cosi si può dire, non verità risolutrici. Il socialismo non ha ancora chiuso i problemi di ieri che già ne apre di nuovi oggi. Non ci offrono scampo né un falso stoicismo, né un superficiale utopismo, né uno sterile negativismo. Vale soltanto l'ininterrotta volontà di capire e verificare, di conoscere e di agire. E' questa la soluzione che riesce più avversa ad ogni carismatico autoritarismo, il quale vorrebbe imporsi non soltanto come l'unico dispensatore di soluzioni, ma anche come l'unico banditore di problemi. E' questo il còmpito dell'intellettuale fedele alle idealità del socialismo e del comunismo in Italia come nell'URSS, a Cuba come in Cina. Un còmpito intrinsecamente difficile.
I còmplti storici complementari che si propongono, sul piano della vita interna, alla società sovietica sono essenzialmente due: a) incremento produttivo e b) ridistribuzione del potere. A questi còmpiti interni sono complementari, a loro volta, due còmpiti sul piano dei rapporti esterni: A) equilibrio pacifico e B) diffusione rivoluzionaria. E' possibile una preponderanza di a e A sopra b e B? Certamente, e questa sarebbe la via d'un neostalinismo illuminato e ammodernato, all'altezza dei tempi insomma, Il quale del vecchio stalinismo godrebbe i vantaggi: la coesione sociale e la tecnologia direzionale da esso duramente create. Il senso dello stalinismo è stato Infatti, per parafrasare un'espressione gramsciana, che il protagonista del nuovo e Principe> è stato ancora un e eroe personale>, non il partito politico (e la formula di Trotskij per cui l'apparato creò Stalin non è vera: Stalin rimodellò l'apparato e si fece <creare> da esso). Il partito politico, che succede ora ali' e eroe>, potrebbe però continuarne i sistemi e e mutare per conservare>. In fondo è questo Il .destino d'ogni riforma dall'alto, ed è già un segno positivo che l'esigenza d'una riforma profonda e Irreversibile sia stata sentita dagli eredi di Stalin. I punti b e B, che noi riteniamo complementari ad a e A, costituiscono le condizioni della possibilità d'un passaggio qualitativo, ad una fase pili alta (la si chiami, questa fase, e comunismo >, o <socialismo compiuto >). Gli educatori non tanto devono essere educati, quanto lasciare il posto agli educandi che la sanno pili lunga. Questa rotazione può realizzarsi pacificamente e gradatamente ( e rlformlsticamente >), e se si realizzerà, se un nuovo sistema di controlli sociali e di selezioni direzionali si attuerà nel senso di un'attenuazione delle differenze e verticali> di reddito e di prestigio, l'Unione Sovietica darà la prova piu alta della superiorità del socialismo. Questa seconda possib111tà (la complementarità di a-A e b-B) è quella che sembra essere stata aperta dal XX Congresso. Il problema della cultura e degli intellettuali è un sottoproblema, se non addirittura un corollario delle sullodate soluzioni globali. Nella soluzione di e unilateralità > avremo un incremento di tolleranza e di tutela di quei settori intellettuali che Io sviluppo industriale richiede necessariamente. Nella soluzione di e complementarità> gli intellettuali - dallo scrittore al sociologo, dallo scienziato allo storiografo - realizzeranno una facoltà non subalterna di decisione nel quadro di una pili ampia e pili d.iretta attività direzionale delle masse. Nella prospettiva d'un autentico comunismo gli intellettuali svolgeranno un'opera essenziale, ed è dall' e alto> (centri scientifico-culturali) pili che dal e basso> (unità tecnico-produttive) che può nascere una rinnovata energia sociale (comunque senza alcuna contraddizione tra e alto> e e basso>). E' storicamente matura l'intellettualità sovietica per questa nuova fase? Tutte le questioni vitali si pongono ormai in modo tale nell'URSS che la loro risoluzione conduce necessariamente a una ricostruzione degli istituti sociali. La società sovietica per l'intervento stesso del suo ceto dirigente, ma sotto la segreta spinta di tutto il paese, da tempo è uscita dalla paralisi staliniana, e soltanto per entro Il complicato movimento in cui è entrata può trovare una sua soluzione il problema degli intellettuali e delle loro libertà, una soluzione che, a sua volta, stimoli quel movimento. L'alternativa che si avanza è universale, cioè valevole non soltanto per l'Unione Sovietica: amministrazione totale o razionalità socialista. L'antitesi e liberale> (oppressione o libertà) tenderà sempre pili ad appartenere al passato veteroindustrlale della società umana, e I problemi della democrazia in una società d'alto sviluppo tecnologico-produttivo si pongono già in un modo nuovo. Se una volta a definire -9
la democrazia concorrevano il consenso che il dominio riscuoteva e il dissenso che esso permetteva, oggi dissentendo consenti e per consentire è necessario dissentire. Il fenomeno più cospicuo che caratterizza la posizione dell'artista nei paesi capitalistici altamente sviluppati è l'istituzionalizzazione e la neutralizzazione della sua tradizionale (nell'età industriale appunto) potestà contestatrice. All'artista non viene negata la parola: contraddicendo la società l'artista (e in genere l'intellettuale) s'immette armoniosamente in essa, né la società ha più paura dell'immagine critica che le va costruendo l'artista. La razionalizzazione e la totalizzazione della macchina produttivodirezionale tende a ridurre l'opposizione intellettuale al rango d'una sorta d'opposizione di Sua Maestà. L'artista in quanto tale non ha compiuto un « tradimento>: è il sistema che lo ha fatto prigioniero nella sua gabbia grande quanto il proprio mondo. L'eslege romantico non col suo « ravvedimento > ma con la rivolta e l'opposizione oggi collabora col filisteo tecnologico e manageriale a mandare avanti la baracca. A Occidente come a Oriente la mente e l'azione sociale s'incontrano con problemi nuovi e, nella sostanza, unitari (ciò dicendo non si nega minimamente la radicale differenza dei due «sistemi>). Il socialismo e il marxismo sono, si, la « giusta soluzione>. Ma quest'affermazione è vuota, se socialismo e marxismo non « contraddiranno se stessi>, se di essi cioè non s'impadronirà il senso d'una mancanza universale, insomma se non si rifaranno pensiero, linguaggio, attività. Vittorio S1rodo 10 -
dibattito problemi • SUI della • • cr1t1ca Chaplin e il suo tempo 1 Pio BALDELLI, Sociologia del cinema, Roma, 1963, pp. 80-81. Sul valore emblematico della contrapposizione chiariniana tra autore e personaggio (Lu1c1 CHIARINI, Parabola di Charlol e di Chaplin, io Il film nei problemi dell'arle, Roma, 1949, pp. 171-87) ho posto anch'io altra volta l'ncceoto (cfr. Ferrania, luglio• ottobre 1960). Lo scritto di Chiarini è a giusta ragione inserito ncll1imporlante antologie di Guuco Vuzz1 (Chaplin e la critica, Bari, 1955, pp. 191-203), che trascura però di sottolioearne le vaste implicazioni e cooaegueoze storiche. Si può ancor oggi dar credito all'asserzione di Luigi Chiarini che « la nascita di Charlot è molto piu importante di quella di Chaplin », piu importante l'incontro con la «maschera», col personaggio, che non quello col suo autore? O non appartiene invece piuttosto questa asserzione, come del resto tulio il contesto del discorso critico che essa sintetizza e riflette, a uno stadio superato, anacronistico della letteratura chapliniana? Riprendendo in esame di recente « il problema critico dei film di Chaplin », Pio Ba1delli addita proprio nella tesi di Chiarini - e mi pare giustamente - un esempio tipico del vizio forse piu grave e sintomatico ehe infirma questa letteratura: la tendenza cioè, tramite l'identificazione de). l'« autore con il proprio personaggio », alla « destoricizzazione dell'opera di Chaplin ». « Non si parla piu di Chaplin », dice Baldelli, << ma di Charlot, di cui si tesse la biografia; non dell'autore ci si occupa ma del personaggio 'nato vivo' nella mente dell'autore; esso seguita a vivere per conto suo anche quando chi l'ha pensato lo scaccia dal proprio spirito; ad ogni minimo gesto di Charlot si allribuiscono vasti significati [ ... ). Si deve in parte a queste gonfiature psicologistiche, a questi sottilizzamenti [ ... ] e piu ancora al vacuo congetturare dei cacciatori di allegorie se poi si fa tanta fatica a tracciare la linea di svolgimento dell'opera chapliniana » 1 • Ci si scontra qui in realtà con difficoltà e contraddizioni estremamente generalizzabili nell'àmbito della letteratura critica su Chaplin. Manca in essa ( nella piu gran parte di essa) il tentativo di inserire l'indagine nel vivo dell'arte, della cultura, della civiltà del nostro tempo; vi dominano al contrario preferenze didascaliche e informative, o descrizioni capziosamente liriche o mitologiche o mistiche, o anche accenni nella direzione dello storicismo, ma di uno storicismo quanto mai rarefatto e ambiguo. La fisionomia della personalità chapliniana, assolutizzata in certe sue componenti soltanto, smarrisce cosi i suoi contorni -11
2 Curno AR1~TA1tCO, Un re a New.York, in Cinema Nuovo, Milano, n. 117, 10 nov. 1957: Charlot se11:a bastoncino (/), io Mondo Nuovo, Roma, o. 51, 25 dic. 1960. 12 - up1c1; si configura come casualmente emer~a all'interno di un dato patrimonio culturale, senza un'origine e una formazione ben definibile, senza collegamenti e rapporti con questo patrimonio. Ci sono invero motivi anche piti profondi aJle radici della posizione ricordata, e alcune ragioni giustificatrici. La cerchia degli interessi estetici e ideologici entro cui si iscrive la tematica chapliniana sembra modellarsi secondo una conformazione tale da escludere ogni accostamento a esperienze precedenti, concomitanti o ulteriori, e da sussistere e valere quindi effettivamente come a sé stante: sia perché il concatenarsi dei temi testimonia, salvo che per cedimenti di scarso conto, « di una precisione e una coerenza rara, quasi solitaria, nella storia dell'arte del film » 2 , sia perché quei temi stessi prendono origine e si sdipanano, senza soluzione di continuità, da un periodo che è anteriore alla prima catastrofe mondiale, e quindi in parte ancora affondato nelle diverse matrici della tradizione ottocentesca. Di qui le singolarità contenutistiche e formali attraverso cui si attua il « miracolo » dell'arte di Chaplin, che sconvolge i canoni di ogni metodologia formalistica e mette del resto in imbarazzo ogni ricerca non ancorata a un saldo fondo storico; e anche la necessità di comprendere e giustificare, con opportuni criteri di valutazione, tali singolarità, tale solitudine e isolamento: ciò insomma che la critica di ogni rango ( ultimo in ordine di tempo lo stesso Baldelli) presenta come individualismo, egocentrismo, anarchismo, come le « sfasatur,:) storiche >> di Chaplin artista. Il contesto della tematica chapliniana si dispone in prosecuzione diretta dei problemi del secolo decimonono; appartiene, o meglio sembra appartenere, all'800 piu che al '900, cosi come ricche di sfumature ottocentesche appaiono le forme espressive della sua articolazione, lo stile e il linguaggio deJle singole opere: quel tanto di trascurato e antico e ingiallito, quella patina romantica, tipica di tutte le composizioni ottocentesche a grande respiro, che esse indubbiamente posseggono. Si tratta di un'eredità che a Chaplin perviene forse attraverso l'insegnamento e la forte influenza di Griffith, e che in lui si congiunge inoltre con una scrittura limpida e agevole, popolare nel senso migliore del termine: donde un ulteriore elemento di analogia, sia pure di natura estrinseca, con l'ottocento del grande realismo romantico, notoriamente rivolto ancora, a differenza dell'arte del novecento, a strati assai vasti di pubblico. L'opera di Chaplin viene cosi a trovarsi bilanciata, nel suo nucleo dinamico, tra il corso di due epoche storiche diverse, che si scavalcano e si urtano per l'antagonismo sempre piu profondo tra le condizioni sociali di relativa sicurezza e stabilità durante il trionfo delle monarchie borghesi e la crisi del moderno capitalismo, quando la sicurezza e la stabilità si eclissano, e l'individuo, reso ormai pro-
3 ARNOLD HAUSER, Storia ,ociale dell'arte, IV, Torino, 1956, p. 359. • ARNOLD HAuSER, Storia ,ociale dell'arte, cit., p. 363 sgg.; JosEPH WARBEN BEACH, Tecnica del romanz.o novecentesco, Milano, 1948, p. 395 sgg. blematico a se stesso, assiste a un processo sempre piu intenso cli disgregazione della propria unità personale. « Il nuovo secolo è pieno di contrasti cosi profondi e l'unità della sua visione cosi minacciata », scrive l'Hauser, « che il principale, spesso l'unico tema dell'arte diventa la congiunzione degli estremi, la sintesi delle massime contraddizioni » '. L'esatta comprensione dei contrasti e delle contTaddizioni storiche del secolo ventesimo, nonché del loro diverso grado di ripercussione e reazione sul corpo della tematica chapliniana, è assolutamente pregiudiziale all'analisi sistematica di quest'ultima. Non è qui possibile far ricorso a un'esemplificazione molto circostanziata; basti sottolineare, a un livello estremo cli astrazione e generalizzazione, come le direttive fondamentali di lavoro non coincidano, in Chaplin, con le tendenze prevalenti nell'àmbito della letteratura, della pittura, della musica, del teatro e dello stesso cinematografo nel primo novecento. Il cinema, appena da poco padrone delle proprie forze, già insegue le piu esasperate deformazioni soggettivistiche del futurismo ( 1916), dell'espressionismo ( 1919), del dadaismo ( 1923), del surrealismo ( 1926); la musica si incammina decisamente nel senso dell'impiego coerente e totale del materiale cromatico, cancellando la differenza tra armonie consonanti e dissonanti, e perseguendo una proporzionale rarefazione della concretezza sonora, una progressiva elisione dei legami discorsivi tra i suoni; in pittura, di contro alla spazialità definita e concreta dell'espressione figurativa tradizionale, emerge l'aspetto soggettivo della nozione di spazio, una spazialità cioè entro la quale le forme della natura non hanno piu peso né spessore, e perdono in organicità, in consistenza, in coesione di nessi reciproci. Nel frattempo anche il problema dell'impostazione del romanzo subisce un completo rimaneggiamento. Al rapporto tra l'autore e la realtà, che l'ottocento mantiene sempre costante, al racconto costruito in terza persona, succedono altri tipi di racconto e di tecniche narrative, l'io autobiografico, il flusso delle associazioni mentali lasciate scorrere liberamente ( « monologo interiore »), o la narrazione « oggettiva », caratterizzata sia dalla scomparsa totale di un punto di vista estraneo agli avvenimenti narrati, e perciò di ogni realtà diversa da quella soggettiva della coscienza dei personaggi, sia dalla soppressione dell'identità tra tempo sintattico ( oggettivo) e tempo semantico ( o psichico). Se già con Proust ha inizio il processo di disintegrazione della psiche, in quanto « l'ordine cronologico delle esperienze cede alla commutabilità dei contenuti della coscienza », Joyce oltrepassa lo stesso Proust nella spazializzazione del tempo, e presenta gli avvenimenti interiori non solo in sezione longitudinale, ma anche trasversale: immagini, idee, fantasie, ricordi, si riversano improvvisi e in contiguità immediata gli uni con gli altri •. Joyce riduce l'universo ad espre~sione della coscienza, e nel pro- -13
14cesso stesso di tale riduzione lo distrugge. Egli dà cosi la dimostrazione nel campo del romanzo, come Eliot in quello della poesia, che i valori della società che rappresenta sono in uno stato decisivo di decadimento; che il mondo dell'uomo, in quanto mondo dell'individuo singolo, è privo di ogni significato sociale; e che perciò il problema del destino umano, della « prospettiva ii, deve necessariamente scomparire dall'orizzonte degli interessi decisivi dell'artista. Ora il lungo arco compreso tra gli esordi artistici di Chaplin e il compimento della sua maturità espressiva si colloca in un periodo in cui l'isolamento dell'artista moderno è un fatto compiuto: quando cioè in letteratura si dibattono, esasperate, le eredità proustiane e joyciane, e nell'arte musicale e in quella figurativa - con l'emancipazione rispettiva dall'armonia consonante e dalla formulazione oggettiva della nozione di spazio - il rivolgimento di stampo soggettivistico assume fisionomie sconcertanti. Quale atteggiamento tiene Chaplin in proposito? Egli non si rinserra nell'espediente accorto, ma assai comodo, di respingerne le semplici affinità formali, ignorando il problema della loro genesi; se cosi fosse, la sua opera non renderebbe giustizia alle determinazioni sociali di cui è materiata, e finirebbe con lo scomparire tra la massa delle produzioni mediocri, scarsamente significative o anacronistiche. Il punto di vista soggettivo come misura regolatrice dei rapporti oggettivi della società del nostro tempo occupa in Chaplin un posto di un certo rilievo; numerosi elementi di deformazione consapevole del reale si infiltrano nella sua opera; e, specialmente nella piti recente, vi divengono visibili alcune delle tendenze sociali che sfigurano la personalità dell'uomo e ne alterano il rapporto col mondo oggettivo. Pur tuttavia il principio generale della rappresentazione, di stampo saldamente umanistico, media l'antagonismo soggettivo del contenuto e si contrappone cosi decisamente al principio stilistico da cui muove la narrativa novecentesca. Chaplin non pretende, affinandosi, di spersonalizzarsi, invisibile e indifferente al proprio lavoro ( secondo l'ideale joyciano dell'artista), ma questo lavoro via via definisce e controlla, non solo stilisticamente, in tutta quanta la sua strutturazione prospettica. Tant'è vero che egli tenta il passaggio dalla short-story alla narrazione distesa, al romanzo, proprio negli anni in cui Joyce, impegnato a fondere nella complicata orchestrazione polifonica dell'Ulysses le escogitazioni del futurismo e quelle del vorticismo di un Windham Lewis, di Ezra Pound e del loro gruppo, si accinge alla dissoluzione conclusiva della forma del romanzo. ( Valga il confronto delle comiche chapliniane realizzate per la Keystone, l'Essanay o la Mutua}, con The Kid, The Pilgrim, A Woman of Paris, o meglio ancora con la grande epopea di The Gold Rush.) In qual senso si può quindi individuare in Chaplin la coesistenza entro lo stesso principio artistico di forme che si presentano come antitetiche nella loro
5 GBORC Luucs, Tlu,,,.,.. Mann e la lra~edia delrarte moderna, Milano, 1956, p. 121. • Cfr. AucuSTo Gu101, Il primo Joyce, Roma, 1954, p. 92. sostanza di fondo? E piu particolarmente: quale tratto specifico giustifica il saldarsi della duplice forma in una struttura organica unitaria? La saldatura può avvenire e avviene soltanto nella misura in cui la visione del mondo ispirata dalla totale assenza di prospettive circa gli accadimenti sociali e il destino dell'umanità non viene anche perseguita attraverso la deformazione delle determinazioni della realtà oggettiva adattata a questa assenza di prospettive. Proprio come nell'opera di un altro grande artista del nostro secolo, di Thomas Mano, alla soggettività come tale viene qui « contrapposto un mondo esteriore indipendente, che si muove secondo leggi oggettive autonome, provoca continue interazioni con la soggettività e forma il milieu storicamente adeguato per il dfapiegamento di essa, ma le cui decisive categorie strutturali non sono determinate da quella, anzi, determinano la sua natura, la sua crescita, il suo dispiegamento » 5 • Sulla base di un criterio che relativizza la deformazione semplicemente filistea come quella eccentricopatologica, e colloca l'una e l'altra al posto che loro spetta nel quadro della società d'oggi, Chaplin e Thomas Mann riescono a calare il contenuto diretto dell'eredità culturale da cui dipendono in una prospettiva critica, a storicizzarne la tendenza dissolvitrice, introvertita. La ribellione estetica di Adrian Leverkiihn incarna si la ribellione dell'artista moderno nell'accezione joyciana, con le sue tare e le sue manie cosmiche, con la sua pazzia e i suoi vezzi demoniaci, faustiani, ma non al punto da costituire - come accade invece per lo Stephen di Joyce - una proiezione dell'atteggiamento autobiografico dell'autore: al contrario, gli si oppone dialetticamente. E' insomma il personaggio oggettivato, non il creatore di esso, a impastoiarsi negli umori della decadenza; ed è la stessa sapiente costruzione logica dell'opera a contenere nel suo spartito dispiegato e attentamente sorvegliato, in guisa di mostruose apparizioni (rappresentate cioè in essa come mostruose), le inversioni del decorso storico normalmente conseguente. Non a caso il destino di Leverkiihn è analogo a quello di Joyce. Le loro composizioni estreme sono lamentationes, prestigiosi e abissali aneliti dello spirito: davvero si può dire - come è stato detto• - che il joyciano Finnegan's Wake sfugge ormai, ultima apostasia e ultimo esilio, anche al dominio dell'umano linguaggio, raffigura la morte e la dannazione dello stile. Qualcosa di intimamente aderente al senso della parabola tragica descritta nel Doktor Faustus, o meglio alla disposizione morale e sociale dell'autore nei riguardi di essa, si rintraccia in Monsieur Verdoux ( come già anche, benché in misura assai pili ridotta, in The Great Dictator): una consimile variazione sul tema della decadenza e della morte, al fine di ritrarre nell'esperienza di una catastrofe individuale la prospettiva per una giusta illuminazione della catastrofe di un'intera società. Non appartiene ai limiti del quadro qui tracciato l'analisi dei punti di con- -15
7 ER1t11 AUERB\CII, Jllimesi.s. Il realismo nella lelleratura occidentale, Torino, 1956, p. 365. « Attra,erso la comicità», scri\"e Chaplin, « ,·celiamo l'irrazionale in ciò che sembra razionale; il folle in ciò che sembra sensato; rinsignificante in ciò che •cmbra pieno di importanza. Essa [. .. ] atth·a il nostro senso delle proporzioni e c·irl'•cgna che in un eccesso di serietà si annida sempre l'assurdo » (C11 \RLES C11Aru~. La mia autobiografia, '\lilaoo, 1964, p. 253). 8 crr. EoOUARD R\\10 ·o, La passion de Clrar/ie C/wplin, Paris. 1927, p. 148. Dà ora una ulteriore conferma :i questo orientamento la citata Autobiografia (p. 301 -~~-). dove è tr,a l'altro notizia (p. 537) delrintere!-~e succitato in Thomas \!ano dal Verdoux. • C!r. CES\RE BRA 'IDI, La fine cle/- l"arcmguardia e /'arte oggi. Milano, 1952, pp. 46~17: E.,11L 10 CECCIII. crittori in• g/e,i , americani, li, \lilano. 1954, pp. 159-160 (e la recens. al Brandi, nel Nuoco Corriere della era. ~filano, 27 marzo 1953). 16 - tallo e di quelli di differenziazione ( che comunque in entrambi i sensi sono molti) tra le forme specifiche di questa prospettiva nei due narratori, tra i loro specifici accorgimenti espressivi; qui premeva soltanto di sottolineare l'importanza che riveste in generale, nella discussione intorno all'opera cosi di Chaplin come di Thomas Mann, l'intelligenza del rapporto deliberatamente mediato tra il contenuto storico della realtà, imbevuto di soggettivismo, e la sua forma oggettiva di rappresentazione. Solo ritenendo tale premessa critica è possibile tra l'altro consentire con l'osservazione dell'Auerbach, in margine al suo diagramma del realismo nella letteratura occidentale, che in Chaplin - come nei pazzi del teatro shakespeariano - è la pazzia appunto il veicolo attraverso cui si esprime la saggezza 1 • Il periodo di massima tensione delle contraddizioni economiche, cioè a dire il periodo di espansione della potenza del capitalismo monopolistico, dell'imperialismo, non altera dunque il substrato realistico della prosa chapliniana, né lo sconvolge nel duplice senso della falsificazione filistea e della distorsione delle forme espressive tradizionali. Le frequenti scosse a tutta quanta la struttura del corpo sociale non impediscono a Chaplin, in concomitanza ideale con le esperienze di molti esponenti della letteratura del passato e del presente, da Anatole France a Romain Rolland, da Shaw a Dreiser, da Heinrich a Thomas Mann, la prosecuzione dell'istanza del moderno realismo borghese, la quale, dal punto di vista sociale oggettivo ( secondo la definizione di Lukacs), esprime la « rivolta umanistica contro l'imperialismo ». Del resto il riconoscimento che Thomas Mann, piuttosto che non Proust o Joyce o Kafka, costituisce un adeguato punto di riferimento per la comprensione dell'apporto chapliniano e della sua arte si ricava, prima ancora che dalla veri.fica delle opere, dall'orientamento personale del gusto di Chaplin in quanto uomo, assai poco propenso - come egli stesso ammette 8 - verso certi indirizzi e generi d'arte prevalenti nella civiltà del novecento. Ecco perché gli riesce possibile affrontare gli stessi problemi essenziali che interessano questa civiltà senza contraddire all'esigenza della compattezza della narrazione, senza concessioni all'irrazionalismo, alle oscurità e alle compiacenze ccmaledette » ( del sangue, del sesso, del sadismo, ecc.), tanto diffuse sia nel primo che nel secondo dopoguerra. E' vero che il suo lavoro si svolge quasi per intero all'ombra di una cultura, come quella americana, certo meno direttamente influenzata dagli sconvolgimenti politici e sociali dell'Europa e dalle loro ripercussioni culturali cc avanguardistiche >i; ma la sua nota realmente sorprendente è che non vi ha luogo nemmeno per quei procedimenti tecnico-linguistici dell'avanguardia, cosidetti « cinematografici ll, che - sia pure in diversa chiave - trovano impiego nella stessa letteratura americana •: il e< monologo interiore ll, la soggettivizzazione della narrazione, il collage pittorico di immagini, pensieri, ricordi, intenzioni. L'elemento di sorpresa
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