56 - . e ricercare nell'adesione o nel rifiuto, nella tiepidezza o nell'aggressività degli spettatori non una legge generale, ma esperienze singole che vanno ogni volta individuate. Al fondo di queste reazioni, soggezioni o cosidette identificazioni, talora scopriamo l'adesione etica, un fondamentale principio che viene di solito trascurato. Un esempio. Ho compiuto un'esperienza larga e controllata su un film di forte partecipazione emotiva come Kapò di Gilio Pontecorvo. Ora Kapò ha modo di creare proprio una situazione di aggressione. Eppure lo spettatore normale ha dato torto al regista, il quale negli ultimi rulli del film si schiera dalla parte di una certa psicologia apparente che stabilisce perentoriamente la soggezione senza rimedio dello spettatore. Il regista e il produttore hanno ragionato in questi termini: possiamo noi portare avanti il film con tanta durezza di linguaggio come l'abbiamo condotto per due terzi della narrazione? Difatti iniziano col tentativo (riuscito) di dimostrare la degradazione della persona umana di fronte alla pressione feroce del campo di concentramento (non solo lo sfacelo del corpo ma anche l'avvilimento interiore); e concludono (ripeto: d'accordo con una certa psicologia e pedagogia) che bisogna dare un contentino allo spettatore e scaldarlo in qualche maniera. Ricorderete che nell'ultima parte del film interviene il motivo dell'immolazione, con la ragazza eroica, l'arriYo dei soldati russi, l'amore improbabile nel campo di concentramento, etc., ossia un finale collaudato, convenzionale, per andare incontro ad una massa di spettatori che si pensava avessero bisogno di siffatta materia vischiosa per identificarsi ed applaudire. Ebbene, l'esperienza ha dimostrato il contrario: un massimo di partecipazione dello spettatore si è avuto non nel momento tradizionale e convenzionale, ma nel passaggio più duro, quello che meno concedeva al gusto del patetico e del sensazionale, presente nello spettatore: qui il linguaggio era documentario, aspro, senza smagliature sentimentali. In questo caso l'accostamento risulta avvenuto su un altro piano, lo spettatore si è accostato all'immagine cinematografica non per sottomettersi (perché allora avrebbe trionfato il linguaggio dell'ultima parte), ma piuttosto per dialogare, per sentire una consolazione di diverso genere, quella che viene dal linguaggio della verità che Indaga seriamente nelle circostanze avverse. Ancora una volta sottollneo che quando parllamo di verifica, occorre stare un po' attenti a non concludere con una disistima troppo accentuata nei confronti dello spettatore: questo cl creerebbe grosse sorprese quando poi si entra In dialogo con lo spettatore «incompreso>.
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