.\lekas: rituale e pedagogia della prigione 12 INGMAR BERGMAN, Introduzione a 4 film dt Bergman, Einaudi 1961, pag. xx. 40 - fica, non diventa tensione e discorso di una difficile ricerca in atto, ma si irrigidisce in figure, moduli e situazioni più generici e contratti. Al fascino del film, episodicamente assai suggestivo ma tutt'altro che convincente negli esiti complessivi, contribuisce in misura determinante, come al solito, lo straordinario talento visivo e drammaturgico del regista, la prestigiosa padronanza con la quale egli sa assimilare e restituirci una situazione kafkiana o ,ma atmosfera da Kammerspiel (e, magari, persino qualche eco del Browning di Freaks), senza che si avverta la giuntura dell'innesto o l'artificio della sovrapposizione. Fascino accresciuto questa volta dal ritrovamento di una forma filmica essenziale e disadorna, concentrata sulla allucinata intensità dei primi piani, sulla sapienza compositiva dell'ambientazione e dei dettagli, sul peso lancinante delle pause e dei silenzi. Ma tutto questo rientra in una tensione stilistica di aristocratica misura più che in una disposizione artistica volta a confrontarsi tormentosamente con le ragioni del tempo. SI è indotti insomma, di fronte a Il silenzio ( e alla pausa di riflessione e di crisi denunciata successivamente, dietro le apparenze del giuoco e della farsa, dal recentissimo A proposito di tutte queste signore), a riflettere su queste parole: e L'artista considera il suo isolamento, la sua soggettività, il suo individualismo, come cose quasi sacre. E così finiamo per ammassarci in un grande ovile, dove ce ne stiamo a belare sulla nostra solitudine, senza ascoltarci l'un l'altro e senza renderci conto di soffocarci a vicenda> 12 ). Sono parole di Bergman, del Bergman inappagato, irrequieto, perennemente interrogante sé e gli altri, di alcuni anni or sono. Dopo Il silenzio, la condizione a cui il titolo allude sembra però aver sostituito in gran parte la tensione problematica di quella ricerca. E appunto questo è l'aspetto più inquietante de Il silenzio, perché in quel problematico e mai pacificato provarsi del regista con le forze potenti dell'angoscia e le ragioni insostituibili della vita era il segno inconfondibile dell'artista Bergman e della sua inquieta presenza nel tempo . Il discorso di un cinema che voglia essere strumento di testimonianza attiva e di conoscenza critica della fondamentale disumanità del mondo capitalistico viene riproposto con estrema violenza da The Brig ( eLa prigione>), versione cinematografica, girata «fedelmente• in teatro da Jonas e Adolphas Mekas, del dramma omonimo di Kenneth Brown, rappresentato alcuni anni or sono, con largo seguito di reazioni e polemiche, al
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