giovane critica - n. 5 - ott.-nov. 1964

' r-iù che il « generoso errore di un artista impaziente » (FRANCESCSOA· v10, La parola e il silenzio. Il film scandinavo dalle origini al 1954, Edizioni M.I.A.C. 1964, pag. 46), Féingelse (1948) può essere considerato una « summa » germinale e Incomposta di temi e moduli già schiettamente bergmaniani, pur nella sua misura non decantata e Irrisolta. Il peso del Bergman uomo di teatro si avverte anzitutto nella adozione di una struttura drammaturgica alquanto farraginosa - la compenetrazione del film e del « film da (arsi » - in cui si sovrappongono e si con!ondono il melodramma di Bìrgitta e la tragedia esistenziale di taglio sartriano. Le indicazioni ideologiche e autobiografiche « anticipatrici » non sono rinvenibili soltanto nella struttura drammaturgica dell'opera, ma altresl nella natura e qualità, densamente emblematiche, del personaggi. SI vedano Infatti la figura del vecchio professore e la sua chiaroveggente « follia »; il regista demiurgo, telepata e rnistUicatore, (pensiamo in particolare alla descrizione, in chiave di Ironica « magia », dello studio cinematografico) e la sua rinuncia al film sull'Inferno e al tentativo di decifrarne Il senso; la tensione di spiritualità di Thomas che dissolve nel nulla e si colloca sempre al limite del suicidio. Tutte figure, vagamente o gravemente simboliche, che vengono risolte ancora In chiave di astratta declamazione. Ma nella figura di Blrgitta, e nel suo destino, Il film prende quota: l'agghiacciante impassibilità della sorella e dell'amante, custodi di un « ln!erno • di cui sono soltanto struméntl senz'anima e meccanismi regolatori, la consapevo. lezza di una condizione di spiritualità definitivamente perduta (Il tema dello bili, che sostanziano fin dagli anni di Fii.ngelse ( «La prigione>)' la poetica e l'opera bergmaniana, nel segno del ritrovamento di una fede positiva e della rivelazione del miracolo. Dopo Il silenzio, per Bergman appare anche più calzante che per il passato la connotazione distintiva che Lukàcs attribuiva a Kierkegaard quando osservava che il suo contributo essenziale alla storia dell'irrazionalismo stava proprio nel darne e la sfumatura della disperazione individuale, della disperazione come elevazione, come segno della vera individualità ( ... J esaltando il pathos della soggettività di quest'ultima (e del nulla che le sta di fronte come oggetto adeguato) a un'altezza la cui sublimità dovrebbe fare impallidire tutti i 'meschini' conflitti della vita sociale> •. Il silenzio, infatti, conferma ancora una volta che la presenza di Bergman nel cinema contemporaneo trova il più autentico e personale segno di distinzione nel suo assumere la disperazione come tratto costitutivo e ineliminabile della spiritualità dell'uomo nella nostra epoca. In questo senso il film, mentre ripropone la dialettica bergmaniana del nesso disperazione-speranza, ne accentua decisamente il primo termine e segna, piuttosto che uno sviluppo, un ritorno del regista a una tematica e, più, a una dimensione intellettuale proprie di certa cultura del dopoguerra, al primo Sartre de e l'inferno, sono gli altri> ad esempio (e non è certo un caso che, dopo aver ultimato Il silenzio, Bergman abbia messo in scena Il balcone di Genét). Il mondo esterno, gli altri, assumono nel film il nome e l'aspetto di Timoka, la cittadina grigia e sporca che appare tanto più deserta e allucinata quanto più animata da un traffico e da un movimento incomprensibili: incomprensibili l volti spenti e gli atteggiamenti inerti dei passanti che si affollano sugli stretti marciapiedi e nei soffocanti locali pubblici, indecifrabili i titoli dei giornali e le voci degli strilloni, piuttosto simili a richiami striduli e inarticolati. Un mondo estraneo e intraducibile percorso, a tratti, dall'apparizione del simboli minacciosi e sinistri di una rovina incombente - la lunga teoria dei mezzi blindati che sfilano sui binari, la improvvisa comparsa di un carro armato nella notte - che, mentre ne sottolineano l'Instabilità e l'incertezza, non sembrano scuotere in alcun modo Il torpore e l'Indifferenza degli uomini. A una dimensione figurativa di chiara impronta espressionistica, riscontrabile In tutta l'invenzione ambientale della città e nel tono stesso della fotografia greve e Illividita, rimanda anche l'evocazione di quello che ne costituisce Il risvolto interno e cimiteriale, il vasto albergo mitteleuropeo, con l suol corridoi intermlna- - 37

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