e studi W elles: la cosp1raz1one e il processo Tre immagini della prigione Tre film apparsi recentemente - Il processo di Orson Welles, Il silenzio di Ingmar Bergman e The brig ( e La prigione>) di Brown-Mekas - film tra loro diversissimi per il contesto ideologico-culturale in cui si inscrivono, natura e qualità dell'ispirazione e degli esiti, misura morale e artistica - ripropongono con diversa intensità, ma con angoscia parimenti sofferta, una inquietante e sinistra allegoria, quella della prigione come metafora o simbolo o, più semplicemente, sintomo della misura più autentica della odierna organizzazione della vita associata e dei rapporti dell'individuo con i suoi simili o con il potere. Accomunando queste tre opere singolarissime in una rapida analisi, non abbiamo inteso esaurirne tutte le componenti, in relazione anche alla parabola creativa dei loro autori (e questo vale soprattutto per Welles e Bergman), ché tale non era l'obiettivo dell'indagine, né, d'altro canto, forzarne la peculiare individualità in uno schema più o meno sovrapposto dall'esterno. Più semplicemente, poiché ci è sembrato che quella problematica costituisse la radice e il senso più profondi dei tre film, ci è parso interessante vedere come essa si articolasse, in diversi e contrastanti contesti ideologici culturali e stilistici, in rapporto con certe drammatiche alternative ricorrenti nella condizione dell'uomo d'oggi, e nel cinema che ne testimonia e ne indaga le consapevolezze angosciose e le istanze liberatrici. Il processo di Orson Welles (1962) può apparire, per almeno due terzi, una e fedele > trasposizione cinematografica del romanzo di Kafka: tale fedeltà si riscontra, In particolare, nella natura e nella stessa successione degli episodi e nella ripresa, spesso letterale, dei dialoghi. E a una fedeltà di questo tipo, esterna, non sembrano contraddire sostanzialmente le varianti Introdotte dal regista per esigenze narrative: l'assimilazione della - 33
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