mentre noi, critici comunisti, registi comunisti, uomini di cinema vicini al partito comunista, andavamo gridando a tutti i venti la parola d'ordine - difesa del cinema italiano - non ne eravamo certo i migliori paladini. Perché mentre sostenevamo che solo nella realtà il cinema italiano poteva tr:ivare l'ispirazione per seguire la via dell'arte, gli imponevano poi i nostri schemi, una nostra visione preconcetta e proprio per questo nemica della realtà ». L'eco della confessione fu vasta ed impegnò le forze più sensibili della critica cinematografica. Che cosa significò in sostanza questo dibattito? Innanzitutto osserveremo che esso non ebbe alcuna funzione conservatrice: non era cioè il richiamo ad un passato in cui i critici, chiusi nel loro circoscritto confine, non si erano dovuti misurare con tante forze contrarie per la difesa del nostro migliore cinema, di cui essi sostenevano la validità. Il dibattito nasceva invece dall'esigenza profondamente sentita di risolvere quell'antinomia cui prima si è accennato, onde stabilire fra le esigenze politiche ed ideologiche e le ragioni dell'arte un rapporto di organico sviluppo, che non eludesse perciò il dato positivo che la nuova realtà aveva maturato: il tramonto definitivo di una concezione agnostica dell'arte e della cultura. « E si tratta di metterci su questa strada nuova - aggiungeva Gobetti - senza pretendere di avere in tasca le formulette buone per classificarvi tutti i film che vengono da un determinato punto cardinale con una precisa etichetta, dopo aver cercato di liberarci dalle debolezze del passato con piena coscienza e senza cercare tortuose giustificazioni. Solo così la cultura marxista saprà meglio elaborare i suoi principi estetici, saprà meglio collaborare alle esigenze di rinnovamento urgente per la nostra cultura » 2 • Su questa linea si sarebbe dovuta fondare una critica cinematografica più agile e veramente autonoma, che non ripetesse pertanto i più grossi errori del recente passato. Queste considerazioni non hanno alcuna pretesa ( e non l'avevano certo per coloro che intervennero al dibattito) di sottovalutare la funzione positiva svolta dalla pubblicistica cinematografica italiana del dopoguerra: ad essa si deve se il neorealismo e la sua eredità furono raccolti dai registi della nuova generazione. Era naturale che la lotta della nostra critica per la difesa di un così prezioso patrimonio comportasse dei rischi che non sempre era facile evitare, quali la scarsa attenzione prestata a ciò che di nuovo e vitale il cinema nazionale e straniero stava maturando nel rinnovato clima storico. Parve così che dividere nettamente un cinema politicamente impegnato da un (< altro » modo di far cinema, svincolato, comunque, da troppo rigide proposizioni, non avesse più il significato di una precisa difesa dei migliori valori culturali del cinema contemporaneo. La realtà stava mostrando una polivalenza ed una ricchezza di significati che sembravano contrastare i risuhati acquisiti dalla critica nel bilancio delle più importanti esperienze artistiche del dopoguerra. Una critica cinematografica che voglia recupera re il senso preciso delJa sua funzione non può quindi che partire da questo fondamentale postulato: la sua autonomia da qualsiasi pressione esterna, nella quale si riproduca il carattere autonomo dell'arte, di cui essa costituisce il momento della riflessione. Una tale concezione dei suoi compiti specifici si è venuta consolidando nel campo degli studi cinematografici e ciò ci sembra di dover indicare come il risultato più notevole ed il carattere particolare da essi raggiunti oggi. E questo tanto più conforta quando si pensi che a condurla a tale esito è stata proprio quella critica che nel passato sembrava averla incanalata in una via senza uscita. Sotto questo aspetto sempre meno convincente ci sembra dividere nettamente una cultura « militante » da diverse forme che essa può assumere nell'affrontare i problemi dell'odierna realtà culturale. Distinzione che riproduce l'errore cui accennavamo all'inizio, di una bipolarità irriducibile fra arte e ideologia, alleate talvolta per esigenze tattiche, ma perciò stesso implicanti la loro sostanziale estraneità. Ciò ha escluso per lungo tempo dall'area degli interessi culturali tutte quelle esperienze, autori, opere che contraddicevano l'assunto di una critica militante: i cui punti di partenza restano così contestati da una più esatta - 23
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