giovane critica - n. 5 - ott.-nov. 1964

ranno scarse nella società capitalistica (mentre nella socialista, non essendo il massimo profitto a regolare le decisioni produttive e culturali, basterebbe la democratizzazione del potere di decisione e la diffusione delle autonomie). L'industria lascerà solo margini ristretti alle operazioni creative. Sarà costretta a lasciarli perché ha bisogno che giri anche questa ruota del meccanismo sociale che è la e cultura d'opposizione>, istituzionalizzata e collocata in una specie di e riserva> (valvola di sfogo) che serva da terreno di sperimentazione, da alibi e da specchietto di libertà per le esigenze comunque crescenti del pubblico. Ma è la cultura di opposizione, l'arte rivoluzionaria, che non può più accontentarsi di vivere fuori dei circuiti commerciali, dei pubblici più larghi. Qui il discorso torna al problema delle autonomie: se sia possibile agli artisti e agli uomini di cultura non vincolati ai monopoli statali o industriali organizzarsi per autogestioni produttive che allarghino l'area dell'opposizione al sistema. Occorrerà concentrare gli anti-gruppi di pressione, creare circuiti autonomi - letterari, poetici, artistici, cinematografici ecc. - che non si risolvano in operazioni velleitarie e vivano in una atmosfera non asfittica, ma a contatto con pubblici qualificati, sì, ma non solamente minoritari o con yocazione alla pura guerriglia. Se si crede nella poesia, beninteso, nella possibilità di poesificare, di artisticizzare la società, di trasformare la realtà in movimento con immagini coscienziali di movimento. Altrimenti i processi protocollari della celebrata realtà, già cristallizzata nel momento del suo riflesso nello specchio dello schermo, impediranno alla poesia, come attività umanizzatrice della natura, persino di respirare. E' vero che e l'esplosione artistica> dell'mnanità si è avuta solo qualche decina di migliaia di anni fa (paleolitico superiore - Homo sapiens) e che il cinema ha poco più di un secolo, ma l'accelerazione dei ritmi dell'esistenza consiglia un'accelerazione anche 20 - dei ritmi del pensiero e di quelli creativi, se non vogliamo ritrovarci in un mondo con gli orizzonti preistorici. E dunque, ripetendo le parole dei Kinoki: « Voi, cineasti, Voi, pubblico delle sale di proiezione, paziente con la rassegnazione dei muli sotto il peso delle emozioni subite. Non sotterrate le teste come ostriche. Alzate gli occhi. Guardatevi attorno. Fuori dalla pancia del cinematografo. Non copiate dagli occhi [ ... J ». D'accordo? Gianni Toti

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