giovane critica - n. 5 - ott.-nov. 1964

del resto, e quindi poco attendibile o di scartata o superata rlferibllità (si presumerebbe per lo meno). Il cinema cosi non rientra ancora nel gioco, il cinema come linguaggio delle immagini che nel loro movimento hanno la possibilità espressiva, non quindi in fattori che col movimento, col tempo, la durata, hanno un diverso rapporto, o che possono averne uno nuovo, certo, ma In una più libera relazionalità tra le immagini - le e relazioni ancora più profonde delle relazioni formali> di cui parlava, appunto, Balazs - e tra i colori affini o contrastanti all'interno delle immagini stesse. Antoniani Impiega Invece I colori - ~ cosi come si fa oggi nell'industria > - e quali segni caratteristici di 'Indicazione' di determinate cose che, proprio per il loro significato obiettivo possono essere In tal modo compresi>. Si aggiunga 11ricorso agli esami psicologici obiettivi del colori, e metodo che ha facilitato ad Antoniani l'Indagine sulla personalità della protagonista, secondo le più avanzate tecniche seguite nella prassi psicologica e psichiatrica>, e si avrà, sl, (forse), qualcosa che assomigli a un'inchiesta veristico-ottocentesca sulla nevrosi (espressa anche con colori che abbiano significati obiettivi), qualcosa cioè tra 11sociologico e lo scientifico, ma che non si pone sul piano delle operazioni artistiche, o poetiche, ri-creatrici di mondi e di significati autonomi. Alla fine, che cosa veniamo a sapere dal film che non conoscessimo già? O che non potessimo leggere in un libro, un romanzo, un trattato, un'indagine? Una verifica andrebbe sempre fatta, dopo un'attenta visione di un film. Perché, se l'opera avvicinata non arricchisce la nostra sensibilità - questo è lo scopo di ogni operazione estetica - secondo i modi che le sono propri e dandoci qualcosa che prima non avevamo, o che non c'era o ch·e non era altrimenti percepibile, allora si sarà trattato soltanto di ripetizione mimetica, di variazione tutt'al più, e basta. Lo stupore cresce, per la verità, ogni volta che il cinema - nelle forme scelte dall'Industria per la produzione del suoi prodotti: film romanzeschi, nella stragrande maggioranza - torna a offrire al consumo opere mimetiche, ripetitive, o traduzioni. Come se l'arte - anche quella cinematografica - fosse sempre e soltanto un mezzo di comunicazione di verità appurate altrimenti, neppure con lo specifico mezzo cinematografico, e non fosse anche un mezzo di trasformazione e di Invenzione del mondo. Quando il cinema lascerà questa via Impostale dall'industria produttrice di beni di consumo, e quindi di divertimenti filmici, di meccanismi culturali, propagandistici, o riduttivi e, cessando di porsi come riflesso della realtà, o suo strumento di conoscenza, tornerà alle sue ambizioni poetiche? e Non si tratta soltanto di conoscere il mondo, si tratta anche di trasformarlo>, e il poeta è colui che e poièi >, che e fa>. Il cinema può contribuire più d'ogni altra arte, (forse), al e progresso estetico>, al progresso cioè della sensibilità offrendole stimoli che la natura e la società di per sé non offrono. Ma deve liberarsi dalle sue funzioni utilitarie, spostarsi al di là, conquistare autonomia e libertà di movimento. A questo punto il problema si fa più generale. Anche il cinema, come le altre arti, ma molto di più delle altre arti, ha assunto - e quasi subito - un valore economico, industriale e commerciale. Cadendo sotto la legge generale della produzione mercantile capitalista, si è estraniato dalle sue possibilità. Più delle altre arti - che abbisognano di una struttura produttiva meno complicata (allo scrittore basta penna e carta: la voce è spesso bastata a una comunicazione dell'opera, e comunque la pubblicazione di un libro non presenta le stesse difficoltà della produzione di un film) - è soggetta al vincoli dell'economicità e del massimo profitto. Finché resterà In queste condizioni, le sue possibilità di poeslflcazione, sa- - 19

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