giovane critica - n. 5 - ott.-nov. 1964

di centanni, al livello del romanzo ottocentesco, della pittura naturalistica, della musica descrittiva, della poesia cavalleresca o crepuscolare. E fino a quando i monopoli della produzione della cultura, i monopoli industriali-cu!turali, non verranno controllati democraticamente, da iniziative autonome democratiche non capitalistiche né burocratiche cioè, non si potrà risalire la china sdrucciolevole delle immagini apologetiche e mimetiche del morto mondo. Qualcuno si illude ogni tanto che basti qualche poeta del cinema a ricondurre lo schermo da quel suo e sospetto biancore> all'incandescenza della creatività artistica, ma non è neppure una illusione riformistica, è una illusione semplice e totale. Chi, vedendo Il deserto rosso, per esempio, può essersi emozionato per le possibilità metaforiche dei colori antonioniani, apra ancora di più gli occhi. Quelle facili colorazioni psicologiche (il verdastro per le degenerescenze dei sentimenti, il rosso per la violenza drammatica, il viola per il disagio psichico, o comunque si voglia colorare il mondo) restano sempre colori reali, più realistici ancora per il fatto che le cose sono state dipinte, erbe o cassoni, pareti o alberi, e il colore che la macchina da presa ritrae è il loro colore effettivo adesso, che non può vibrare più, perché si confonde col dato oggettivo, naturale ancora anche se si tratta di una seconda o, nel caso della seconda natura industriale dipinta, di terza natura o, se ridipinta, di quarta, ecc. Non essendoci l'operazione deformatrlce, occorrerebbe la deformazione della deformazione per ottenere un risultato, e si resterebbe pur sempre sul terreno della fotografia a colori che tenta di passare per pittura. Nel libro dedicato a Il deserto rosso, con diario di lavorazione e sceneggiatura, si cita Der Geist des Films di Béla Balazs, ma non proprio a proposito perché Balazs, già allora, nel 1931, parlava di e montaggio dei colori> che avrebbe portato al film e problemi e possibilità del tutto nuove>, intendendo per montaggio tl 18 - montaggio poetico, non il montaggio tecnico. E' curioso, ma sembra che oggi tutti si contentino del montaggio prosastico-narrativo e lo confondano col montaggio che crea relazioni tra le forme, cioè associazioni di significati che hanno vita nel momento in cui si istituiscono. Antonloni, avvicinandosi al colore col candore di un entusiasta e facendo le sue tardive scoperte non si accorge di essere ancora un naturalista che scopre l'impressionismo. e Nessuno si accorge comunemente che uno squarcio di azzurro tra le nuvole rende, per esempio, azzurro tutto il grigio della strada, - si accorge ora Antonioni - oppure non ci si accorge della violenta alterazione dei colori che provoca il sole, ecc.>. Ma e la pellicola - esclama il neofita - riproduce molto più fedelmente di quanto l'occhio umano non sia in grado di vedere e riprodurre quel colore in un determinato oggetto [ ... ] >. Cosi il regista, fatto lo stesso tipo di scoperta di quei pittori che si accorsero che bisognava dipingere di nero certe sfumature lontane di verde perché la gente vedesse verde scuro, aiuta il reale a essere più reale ancora, dipingendo di nero quel verde e riproducendolo, fermando il variare dei colori naturali nel loro statico primo apparire secondo una tipologia prevista in anticipo, termocolorimetro alla mano, facendo di tutto perché e le cose acquistino contorni più precisi, e gli oggetti e le cose diventino significanti>, agendo poi, e nella definizione del carattere dei protagonisti, come se si trovassero costantemente di fronte a un test cromatico >; e le cose facessero da specchio, e rivelassero, con il loro colorato alfabeto, gli elementi psicologici utilizzati per la miscela. La « lenta continua trasmutazione di colori, il loro passaggio graduale, ritmico, essenzialmente espressivo da un colore all'altro>, che il regista pretende di aver ottenuto, in realtà si riducono a formule decifrabili solo con un codice di colori alla mano, un codice convenzionale

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