giovane critica - n. 5 - ott.-nov. 1964

lo choc emozionale, il contatto emotivo con la situazione, l'incarnazione affettiva del tema>. Felici anni '25-'28: nel primo cinema rivoluzionario del mondo, il cinema sovietico, dominava la tendenza poetica, e conquistava l'egemonia artistica e ideologica nel cinema mondiale, si identificava addirittura col cinema come arte ... Poi vennero i tempi duri, gli anni staliniani del cinema-strumento ideologico, del cinema-falsa coscienza, dell'aggressione in grande stile al cinema-poesia. Lo scontro era tra due estremi contrapposti, uno scontro assoluto. I cine-poeti non si formalizzavano, del resto, mettevano e in dubbio il principio stesso del cinema narrativo>. Gridavano ai sordi che e l'elemento drammatico e l'elemento narrativo andavano contro la natura dell'arte cinematografica,, che e il montaggio stesso doveva creare l'affabulazione , : nessuno li ascoltò, perché essi erano troppo spostati avanti, a mezzo busto già nel futuro, mentre i sostenitori del cinema-prosa vantavano la curiosa circostanza per la quale il passaggio del cinema dalla poesia alla prosa si verificava proprio un secolo dopo lo stesso processo avvenuto nella letteratura, cioè nel corso degli anni trenta del secolo scorso ... E avrebbe dovuto essere proprio questa circostanza a fornire la giusta patente di e modernità > ( e faut-tl étre modernes ,, diceva Rimbaud) a un'arte nuova che poteva svilupparsi solo obbedendo alle sue leggi interne, muovendosi in avanti e non attardandosi nel terreno dell'ideologia e della coscienza falsificata, non facendosi strumentalizzare per dire anch'essa ciò che non era suo compito dire, perché non era neppure suo compito dire qualcosa, perché e diceva, e basta, intransitivamente ... Ejzenstéjn: e no alla prosa, no al processo-verbale d'informazione, superficiale e protocollare > Zavattini (abstt tnturta): e noi oggi rifiutiamo la metafora >. Tra questi due estremi, simbolicamente, la paraboia del cinema negli ultimi trenta-quarant'anni. Ma non si tratta di Zavattini (in fondo la citazione era di comodo, quasi uno scherzo) e neppure dei suoi successori, magari con le poetiche opposte, rovesciate, piuttosto di tutta una temperie psicologica, di un pattern culturale mondiale col quale bisogna fare i conti, oggi, se si vuol salvare il cinema dalla lunga profonda palude in cui annaspa. Fino a quando e i monopoli culturali,, non solo quelli capitalistici, domineranno nelle grandi e nelle piccole fabbriche dell'intelligenza, nei laboratori artigiani e nelle botteghe della poesia (dovunque équipes di coautori o poeti solitari tenteranno di e dire l'indicibile>) per far loro ripetere invece il già detto mascherandolo da novità con le stimolazioni ottico-ipnotiche, il cinema come del resto le altre arti (sebbene il discorso da fare sia diverso caso per caso) sarà sempre più agganciato alle tecniche della comunicazione, alle teorie del rispecchiamento, al dovere della rappresentazione, al sinistro obbligo del riflesso specchiante. Il cinema è in crisi da trenta o quarant'anni, ormai, una crisi storica, di crescenza interrotta, di regressione. Il cinema è rimasto al livello dell'occhio umano, alla presa di coscienza visuale immediata, al vero naturale. Pochissimi sono stati negli ultimi decenni i tentativi di liberazione del cinema dai vincoli della propaganda, della strumentazione culturale e politica, della celebrazione del reale, dell'apologia sociale, della mimesi universale, della soggezione al dato naturalistico, all'oggetto-mondo. Per una strana singolarissima fortuna, la nuova arte cinematografica appena nata aveva superato tutti i ritardi delle altre arti e si era schierata sulla linea del fronte umanizzante, della formazione-deformazione, della e elaborazione surreale> della realtà. Poi, strumentalizzata brutalmente dal monopoli della produzione industriale-capitalistica e industriale-socialistica distruttori dl qualsiasi autonomia del pensiero, è piombata indietro - 17

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