nato a vaste affermazioni internazionali> (23 giugno 1964). Difficilmente negli ambienti produttivi si era raggiunto un livello cosi bassamente servile, una e vendita dell'incenso> cosi manifesta. Ma cos'altro poteva uscir fuori da una classe produttrice che raramente ha investito nel cinema soldi propri, limitandosi invece a spillare miliardi al credito cinematografico di Stato, corroborando i vuoti con le infinite :;erie di e castelletti > cambiari, con gli opportuni fallimenti, con i prestiti ottenuti dalle banche in anticipo sui e ristorni > che i film prodotti riscuotevano, ancora u:1a volta, dallo Stato? Se le borse governative diventano più smunte, se la Sezione Autonoma del Credito Cinematografico chiude temporaneamente i battenti, se la nuova legge prevede (in ottemperanza con i patti del MEC - si badi - e non certo per iniziativa dei nostri uomini politici) che i e ristorni > siano diminuiti nel tempo, c'è solo un santo a cui si può rivolgersi: la Confindustria. Con un occhio al capitale americano e senza, naturalmente, dimenticare le carezze ai dirigenti socialisti. I burocrati del ministero dello spettacolo, tradizionali amici dell'AGIS e dell'ANICA, penseranno ad officiare le prime intese: l'appoggio del Direttore Generale De Biase, successore e degno continuatore della e vecchia guardia> De Pirro, non verrà a mancare in un momento cosi delicato. If cinema italiano affronta cosi la sfavorevole congiuntura economica della nazione rafforzando, invece di spazzar via, i suoi vecchi mali. Centro-sinistra o no, la zavorra rimane sempre a galla o, quando in certi punti sembra indebolita, riaffiora più forte di prima. Persino l'on. Andreotti, che tanta equivoca parte ebbe nello smantellamento degli enti di Stato e nel trasformare la nostra industria in una colonia hollywoodiana, ha fatto sentire in questi ultimi giorni di settembre la sua melliflua voce. All'on. Guerrieri, democristiano, che lo interrogava alla Camera sotto12 - lineando « la gravità di taluni episodi concernenti i film che riproducono azioni di guerra>, episodi che « troppo spesso offendono il prestigio e il decoro delle nostre forze armate>, il ministro della difesa così ha risposto: « Come è noto, nessun potere dispositivo e di controllo la legge concede al Ministero della Difesa in materia di produzione cinematografica e di pubblici spettacoli. Esiste tuttavia in modo ·determinante la necessità e il dovere morale di tutelare la sensibilità di madri, di vedove, di orfani, di invalidi, agli occhi dei quali la profanazione del sacrificio dei caduti risulta comprensibilmente inaccettabile. Si tratta di una questione che non investe affatto le divisioni politiche. E' un problema di giusti limiti e di umana delicatezza che andrebbe giustamente esaminato da tutti, tanto più che si può benissimo non disturbare la libertà dell'arte ed assicurare nel contempo una giusta educazione pacifica delle nuove generazioni> (ANSA, 22-9-64). Sono parole allarmanti anche se profferite con una deamicisiana mano sul cuore. Sono una intimidazione censoria, diretta tra gli altri a Zurlini, che in questi giorni ha iniziato la lavorazione de Le soldatesse, tratto da un romanzo di Ugo Pirro sulla nostra poco onorevole campagna di Grecia. E' noto che nel '53, per aver pubblicato un soggetto simile a quello di Pirro, Guido Aristarco e Renzo Renzi furono imprigionati e condannati come traditori della patria. Oggi i ministri intervengono a rafforzare l'assurdo illiberale articolo del codice fascista che si chiama e vilipendio delle forze armate,, e nostalgicamente pensano ad una censura di tipo militare; pochi mesi prima, at.traverso la bocca di Saragat, minacciavano, nella eventuale rappresentazione del dramma di Hochhuth in Italia, l'applicazione di un altro articolo non meno pesante, cioè quello del e vilipendio alla religione>. La censura cosiddetta amministrativa non è da meno,
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