• • cr1t1ca 5 GIOVANE CRITICA ■ ■■■ ■■■ :u: ■■■ ce~tro univer Il■ s!tario cinema Ottobre - ovembre 1964 ■ ~ograf ICO direttore responttahile: comitato direttivo: redazione: copertina, tema ~raGco e disegni: Pietro Battiato Gaetano Leo, Paolo Manganaro, Gaetano Marcellino, Giampiero Mu,!!hini, Antonino Recupero c/o Giampiero Mughini, via F. Cilea 119, Catania Roberto Laganà L#abbonamento a1la rivista - che dà diritto a quattro numeri - è fis11ato io L. l.000 da ver■are alriodiriz.~o redazionale. Un numero 1epareto: L. 350 .. un numero doppio: L. 500. Stampe acme■traJi io abl,ooameoto po•tale • Gruppo IV. Autorizzazione 3 gennaio 1964 o. 292 del Registro Periodici del Tribunale di Catania. Stampato nella tipogra6a della Univcr1ità di Catania.
som111.ar10 Editoriale Zibaldone Dibattito sui problemi della critica Saggi e studi Cultura e provincia Dogana Giovane critica Una rivista .strettamente .specializ/ zata, redatta in provincia, ha poco senso >+ p. 3 Paul Louis Thirard Connotati politici della critica cinematografica franrese ,. P· 5 ♦ Paolo J\{anganaro Morale e società » p. 7 ♦ Giuseppe Ferrara La sfa,, vorevole congiunwra ,. p. 10 ♦ Gianni Toti Un de, serto di colori in un mondo pazzo quattro volte ,,.. p. 14 Vito Attolini Evoluzione e prospettive della critica cinen,atografica >+ p. 22 Adelio }'errero Trr immagini della prigione » p. 33 ♦ Pio Baldelli Il cinema nel 'sistema• della psico/o, gia .sperimentale >+- p. 42 Antonio Marra - Alfonso Pozzi Ipotesi cli lavoro sulla cultura d'opposizione a Taranto » p. 64 ♦ Giovane critica Meno autonomia e pitì socialismo >+ p. 69 Libri di Renzo Renzi, Leone Tr:,tski/, Richard El!, n1ann >t> p. 71
editoriale 1. Una rivista strettamente specializzata, redatta in provincia, ha poco senso. Presupporrebbe difatti dei punti di riferimento ad essa geograficamente adiacenti, dei centri di potere culturale e politico già esistenti, un ' mercato ' articolato e differenziato. Nonché la capacità di presentare dei tratti differenzianti, o quanto al territorio esplorato o quanto al piglio metodologico delle ricognizioni, rispetto alle riviste analoghe; avere cioè un gruppo di redattori dalla pronunziata e definita personalità culturale e non, il caso nostro, un gruppo di giovani e giovanissimi per lo più in via di formazione, costretti a lavorare in condizioni di emergenza (assenza di un Istituto del Cinema, di biblioteche specializzate, resistenze politiche spesso di marca borbonica, ecc.). Del resto la funzione eh.e sembrava caratterizzare in parte la nostra rivista, quella di fungere da mediatrice - non diplomaticamente, ma perché convinti della necessità di questo ruolo - tra Cinema Nuovo e Cinema 60 è, nei fatti ancor più eh.e nelle intenzioni, definitivamente esaurita. Ne resta un retaggio cospicuo: la convinzione dell'opportunità del dibattito e del cozzo, anche polemico; la riluttanza a dividere gli schieramenti, con mazzate grossolane, in porzioni contrapposte e irrimediabilmente antitetiche; il voler fare del marXismo non un uso terroristico quanto un incentivo al maggior approfondimento delle opere e delle metodologie: emancipando queste ultime dalle basi di classe da cui, per vie traverse, rampollano, per individuarne la funzionalità al raggiungimento degli obiettivt nostri (una società senza classi?). 2. La rivista, nella sua originaria articolazione (vedi la rnbrica Cultura e università), avrebbe potuto compiere un'orbita più ampia qualora questa fosse coincisa con quella della progettata rivista nazionale dei Centri Universitari Cinematografici. La cui organizzazione purtroppo è in pieno sfacelo; e non tanto per penuria di elementi dirigenti quanto per l'incapacità - da addebitare al ' centro ' assai più eh.e alla 'periferia ' - a saper rapportare gli organismi alle nuove esigenze; facendone cioè, senza mezzi termini, strumenti di egemonia culturale e politica. Che non significa, occorre dirlo?, contrapporre parrocchie rosse alle desolate parrocchie -3
4nere. Dando cosi l'addio alla politica di alleanze ai vertici, di scambi algebrici, di perifrasi tattiche. Pagando, naturalmente, quanto c'è da pagare. 3. Da quanto detto sopra discende la necessità di abbracciare un campo più vasto, di allargare il raggio della ricerca. Come si verifica, a questo punto, l'aggancio tra la materia cinematografica, la cui investigazione resta il cuore della rivista, la sua ragion d'essere, col resto della problematica culturale? Qual è il nuovo asse attorno a cui ruota la rivista e la sua équipe redazionale? E' un asse politico o, meglio, di politica culturale, di cui alleghiamo i principali postulati: 1) crisi paurosa della sinistra italiana ed europea e quindi necessità di un discorso che si situi all'interno della sinistra favorendone spaccature e nuove sintesi. E' tempo che ognuno mostri la propria carta d'identità e interroghi fino in fondo il proprio vicinato; 2) il marxismo si rifocilla al contatto colla realtà rivoluzionaria. « E se è assai confortante - scriveva C. Petruccioli sottolineando giustamente un lucidissimo testo di Révolution africaine - constatare che laddove si sviluppano concrete esperienze rivoluzionarie si scopre il marxismo nella sua originaria solidità scientifica e nella sua intatta funzione di strumento teorico per la creazione di una società senza sfruttamento, non si può fare a meno di considerare, reciprocamente, quanto a lungo è ristagnato il movimento rivoluzionario nel mondo qualora si assumano come parametri di giudizio le difficoltà e gli errori dello sviluppo teorico del marxismo stesso>; 3) la grande esperienza decadente del novecento, a parte il suo indiscusso valore artistico, ci aiuta a comprendere noi stessi, ad affinare i nostri ideali. Almeno per quanti non vogliano contrapporre alla morale dell'' anima bella' la morale del •Commissario' (usiamo questi due termini nell'accezione di Karel Kosic). Da socialisti dobbiamo rispondere, o tentare di farlo, a tutte le domande che il decadentismo ha avuto il coraggio di porre. 4. Diventa inutile, in questa nuova economia della rivista, una rubrica come Cultura e provincia (paradossalmente: gli strumenti per decifrare la realtà della provincia non esistono in provincia). Come diciamo in altra sede occorre lavorare dimenticando l'esistenza, del resto assai relativa, della ' provincia ' ma senza mai scordarsi i termini e le caratteristiche sue proprie; senza mai scordarsi cioè di noi stessi: che equivarrebbe a barare culturalmente.
zibaldone Connotati politici della critica cinematografica francese L'evoluzione della critica cinematografica in Francia segue l'evoluzione della stampa francese, con una fedeltà assai notevole. Si può salutare, da una decina d'anni, un certo aumento della competenza media dei critici della stampa non specializzata; i quotidiani, i settimanali stampano più raramente mostruosità, la caccia alla perla è meno fruttuosa, non basta più sfogliare Le Pèlertn o Le Petit Echo de la Mode per ridere a crepapelle. Del resto, il campo più ristretto (come pubblico e come influenza) delle riviste specializzate non è rimasto indietro rispetto all'evoluzione generale. Poiché, da un canto, l'evoluzione vi si presenta forse sotto forme più facilmente afferrabili, e dall'altro sono sovente queste riviste specializzate che costituiscono, per l'estero, e la critica francese,, vale la pena di passare in rassegna queste pubblicazioni, di vedere a che punto si trovano oggi, e come ambiscono situarsi nel loro specifico terreno di battaglia culturale, e anche, se si dà il caso, ideologico. Esistono attualmente in Francia tre riviste che escono regolarmente: Cinéma 64, Postti/, e i Cahters du Ctnéma. E altre riviste più episodiche, di diversa importanza; infine, occorre menzionare a parte, malgrado la regolarità della loro apparizione, pubblicazioni come lmage et Son, La Ctnématographte Françatse, o Télé-Ciné. Jmage et Son e Télé-Ctné, per cosl dire, si fronteggiano. hnage et Son dipende dalla Ligue de l'Enseignement, organizzazione laica; Télé-Ciné dipende da una casa editrice cattolica, e rappresenta la rivista di cinema confessionale. lmage et Son è solita pubblicare e numeri speciali, su differenti temi; Télé-Ciné adotta una presentazione in e fiches, dei film pubblicati (ma le suddette fiches sono fatte meno bene che non quelle dei loro omologhi italiani del Centro San Fedele). La Cinématographie Française che era tempo fa una rivista puramente corporativa della distribuzione cinematografica ha aggiunto alla sua formula una sezione critica importante, e generalmente ben fatta, naturalmente non impegnata politicamente o ideologicamente (se c'è un articolo da fare sui film impegnati politicamente a sinistra, si chiederà questo articolo ad un critico comunista, a titolo di specialista, ecc.). Si esita a menzionare tra le riviste l'eccellente Premier Pian che pubblica regolarmente monografie dedicate il più delle volte a un regista: difatti siamo qui al limite tra la rivista e la collezione di libri. I Cahiers du Cinéma sono spesso classificati, per dirla rapidamente, a destra, cosa che non è, a mio avviso, inesatta, ma richiede di essere precisata. L'ambiente della rivista è e apolitico,, e alcuni dei suoi redattori prendono talora, nella vita, posizioni di sinistra. La classificazione e a destra , della rivista è pertanto giustificata con la maniera in cui l'équipe dei Cahters ha sempre affrontato i problemi estetici, considerandoli come scissi dai rapporti sociali, rifiutandosi istituzionalmente ad ogni critica engagée politicamente. Allorché un redattore dei Cahiers scrive che il fascismo è bello, non vuol dire di essere fascista, o 5
che approva il fascismo, vuole - fatta la tara del gusto della provocazione che questa rivista rende banale - mostrare che considera il fascismo come un fenomeno, freddamente, esteticamente'· Un certo timore della politica, ma a un altro livello, si ritrova in Cinéma 64. Quest'ultima costituisce l'organo della potente Fédération Française des Cinéclubs, organizzazione culturale, i cui statuti prevedono la apoliticità. E' anche la rivista di cinema che ha la tiratura più alta, che deve dunque sottomettersi alle regole della rivista di divulgazione; il suo andamento politico generale è nel senso di una sinistra moderata. Il gruppo che anima Positif ha inteso dare a questa rivista un colore politico nettamente orientato a sinistra, persino, gli si rimprovera spesso, verso l'estrema sinistra. E tuttavia questo gruppo è composito: vi si trovano militanti politici e individui senza opinioni nettamente orientate, inclinanti piuttosto verso la sinistra; vi si trovano sfumature di ogni sorta tra marxismi più o meno ortodossi e liberalismi kennediani; vi si esprime soprattutto una combinazione as1 Recentemente i Cahiers du Cinéma sono stati rilevati da Dartiel Filipacchi, l'uomo che ha al suo attivo la riuscita della rivista illustrata Salut les copains; si può prevedere logicamente una prossima trasformazione dei Cahiers verso una formula più « vendlbile ». Evoluzione generale, di cui altri esempi sono stati la trasformazione dell"Express e il cambiamento dell'austero bollettino dei giovarti comurtisti, L'Avant-Garde, in una rivista illustrata yé-yé: Nous, les garçons et les filles. [Accludiamo, /ornitici dallo stesso Thirard, gli indirizzi delle riviste citate che altrimenti, per esperienza personale, sappiamo quanto di/fù:ile reperire: Cinéma 64, 6 rue Ordener, Paris; Cahiers du Cinéma, 146 Champs-Elysées, Paris; Positif, 23 rue du Cherche-Midi, Paris; Premier Pian, B. P. 3, Lyon-Préfecture, Rhime; Image et son, UFOLEIS, 3 Rue Récamier, Paris; Télé-Ciné, 155 Bd Haussman, Paris; La Cinématographie Française, 29 rue Marsoullan, Paris; Miroir du Cinéma, B. P. 95, Aubervilliers (Setne); Contrechamp, 4 Boulevard Sakakini, Marsetlle, Bouches-du-Rlwne; Arsept, LA PROUE, 15 rue Childebert, Lyon, Rlwne; Présence du Cinéma, 25 Passage des Princes, Paris; La Vole Communlste, B. P. 90-10, Paris.] 6sai originale (e che io ho la comprensibile debolezza di credere feconda, dato che porto l'acqua al mio mulino, per dirla schietta!) tra un soggettivismo generalizzato, la diffidenza verso i sistemi, e l'attenzione rivolta a parole come 'liberazione', 'rivoluzione', ecc. prese, a seconda dei redattori, nell'accezione di TrotskiJ, di Castro, o di André Breton. Se non c'è gran che da dire sull'episodico Présence du cinéma, decisamente orientato verso l'estrema destra, la rivista Artsept (trimestrale e lussuosissima) è da menzionare. Artsept non pubblica che numeri speciali, e costituisce, per certi temi, dei dossiers completissimi. L'ambiente culturale di Artsept è quello della letteratura francese moderna, i suoi redattori appartengono alla stessa famiglia di cui fanno parte uomini come Cayrol o Butor. Non esiste una rivista di cinema del partito comunista francese; non esiste neppure una rivista che possa, senza essere ufficialmente « la rivista del PCF », essere considerata come da esso patrocinata (corrispondente, sul piano letterario, al settimanale Les Lettres Françaises, che non è un «giornale comunista», ma che è diretto da Aragon). Esistono viceversa due rivistine animate entrambe da militanti marxisti: Miroir du Cinéma e Contrechamp. Miroir du Cinéma si professa rivista di combattimento e di agitazione, si fissa come massima« Pour un spectateur agissant >, mentre Contrechamp si dedica piuttosto allo studio teorico, e, subordinatamente, alla denuncia degli eretici (di Positif, in particolare). A questo proposito ancora sono senza dubbio parziale e partigiano: ma tanto mi sembra che il lavoro fatto a Miroir du Cinéma, malgrado i suoi mezzi modesti, sia interessante e spinga in una giusta direzione, quanto le speculazioni e il settarismo di Contrechamp ml sembrano oziosi e nocivi. Una domanda che cl si può porre davanti a questo panorama di riviste è la seguente: quali sono i rap-
► porti di queste riviste con la specifica lotta politica? Ho indicato rapidamente l'ambiente ideologico di ogni rivista, ma come si traduce questo fenomeno che può essere osservato un po' ovunque a diversi livelli, in Italia come in Francia, e che vede giovani generazioni di militanti prendere coscienza allo stesso tempo di talune esigenze politiche e di un certo gusto per il cinema? Diciamo subito che l'esistenza in Francia di una cospicua rete di cineclubs pone la domanda in termini differenti, in rapporto all'Italia. Difatti questi cineclubs sono lungi dall'essere tutti di estrema sinistra; anche al difuori delle Fédérations des Cinéclubs confessionali ho ricordato dianzi la moderazione di cui testimonia Cinéma 64. Diciamo anche che i militanti politici più attivi non si reclutano necessariamente tra i membri ortodossi del PCF. Quando uno apprende, del resto, che il PCF non ammette minimamente le divergenze interne, e addirittura le perseguita mediante il proprio apparato poliziesco ottimamente funzionante, non ci si meraviglierà che certi collegamenti non appaiano con evidenza. Ma, per non rimanere all'apparenza, il fenomeno esiste, soprattutto a Parigi che svolge, nella vita politica e culturale francese, un ruolo centralizzatore grandissimo. E si vedono apparire sempre più di frequente intellettuali per i quali il rifiuto - per esempio - del cinema francese tradizionale à la Delannoy non implica l'accettazione dell'anarchismo da salotto stile nouvelle vague, ma implica la rivendicazione d'un cinema libero, liberatore; per i quali il rifiuto del vecchio dogmatismo staliniano non implica l'accettazione di un vago liberismo culturale eclettico, di una nuova macinatura della democrazia parlamentare, ma implica la rivendicazione d'una linea rivoluzionarla per il nostro tempo, che sanno bene. non fissata una volta per tutte, bensl da scoprire. Come sanno bene che 11cinema di cui sognano non esiste ancora. Se, sul piano politico, si ha una idea assai precisa di questo stato d'animo leggendo La Voie Communiste (che non ha del resto il monopolio di questa e corrente>, più larga e diffusa), non esiste rivista di cinema che lo esprima pienamente, anche se tracce se ne trovano nelle riviste cinematografiche di sinistra (ad eccezione, mi pare, di Contrechamp, che sembra assuefarsi al ruolo poco invidiabile di guardiano dell'ortodossia, ruolo che, indubbiamente, si è affibbiato da se stessa). E' in questi fermenti che risiede, secondo me, la più ferma speranza di vedere arrivare un giorno una 'ondata' che sia, veramente, 'nuova'. Paul Louis Tbirard Jl.,f orale e società Un convegno come quello che si è svolto a Roma tra filosofi marxisti e Sartre sul tema morale e società non è certo destinato a passare senza importanza in un momento in cui il marxismo sta percorrendo una curva da cui non è ancora uscito, ma che ha decisamente imboccato: dall'inevitabile revisione del dogmatismo staliniano si dirige ormai ovunque verso un ampliamento dei temi e degli interessi derivanti da un rapporto più vasto con altre aree ideologiche della cultura contemporanea. Questo rapporto con la cultura borghese non possiamo certo definirlo negativo, ma di opposizione, proprio perché, mentre il discorso si va svolgendo su una traccia di contenuti propri di essa cultura (dell'esistenzialismo, dello storicismo), scegliendo s'intende la matrice unitaria di questi contenuti, il punto d'approdo rimane sempre un e rovesciamento >e una sostituzione di una concezione del mondo con un'altra. Si produce cosi un arricchimento della ricerca all'interno dell'ideologia. Il marxismo che da tempo o più recentemente persegue questa ricezione, -7
non esclude più e non condanna, si avvicina ad altre culture per comprenderle e superarle. E mentre si carica di tante domande, come il problema della morale, che certamente non gli sono estranee (anche se in differenti situazioni storiche le risposte furono insufficienti), viene a trovarsi, invece, adesso tante risposte estranee con cui vuol fare i conti. In questo convegno di Roma, in cui filosofi provenienti da varie aree culturali si sono ritrovati su una medesima gamma di problemi, si riafferma la tendenza a svolgere il processo di destalinizzazione della cultura (uscita dal relati\ o isolamento, o cattività) in un movimento unitario di rinnovamento e di verifica dei temi che hanno costituito in questi anni l'esercizio costante della filosofia marxista (la dialettica, il rapporto natura-storia, l'interpretazione di Marx). Il processo al materialismo d.ialettico aveva messo in primo piano le elaborazioni particolari e nazionali del marxismo. Si richiede adesso la prova di un'unità e si è giunti all'esigenza di un punto d'incontro operativo, e non soltanto ideologico, com'era avvenuto per la lotta contro l'idealismo e l'esistenzialismo. Ciò è tanto più necessario nel momento in cui la cultura borghese tenta d'impostare su nuove basi le sue scelte di fondo: superata la fase di saturamento dello storicismo, s'avvia decisamente a liquidarlo. II neopositivismo e lo strutturalismo allontanano la possibilità di un'alternativa ideologica con il marxismo e si pongono in situazione di negazione. Da parte di questo, invece, è viva l'esigenza di ristabilire un'alternativa dialettica alla limitazione della cultura borghese. Questo incontro ha rappresentato per i filosofi marxisti l'occasione per una risposta e una prova su un terreno di recente riscatto, quale l'antropologia, che è stata la « figura ,, filosofica impostasi in questo convegno. Adam Schaff ha posto il problema dell'uomo e l'antropologia come un vero ritorno all'origine del marxismo. E' nella dimensione dei rapporti sociali che è 8possibile istituire una teoria della persona umana. Schaff ha messo in evidenza l'elemento naturale come condizione essenziale di un quadro antropocentrico del mondo umano. Esso risolve il problema dello status ontologico dell'individuo, collegandolo alla concezione materialistica del mondo. Cosi « il problema della responsabilità morale non si presenta nello stesso modo allorché si fondi su un'antropologia che ammetta l'esistenza delle forze savrannaturali e il creazionismo, o allorché si fondi su un'antropologia autonoma che leghi il materialismo all'idea dell'autocreazione dell'uomo> (cito dalle relazioni pubblicate su Rinascita). L'antropologia filosofica ha quindi un carattere ideologico decisamente pronunziato. Schaff ricollega l'antropologia al vasto campo delle scienze umane (dalla biologia alla sociologia). Cesare Luporini ha dato la migliore misura in profondità del rapporto dell'antropologia con il materialismo storico. L'esame unitario di questo rapporto ha portato ad un punto di notevole importanza: che non è possibile escludere nella teoria marxista dell'uomo quel risultato complesso che è l'individualità della persona. Ad essa non si arriva attraverso un processo d'astrazione che ne colga soltanto i rapporti generali, ma nel risultato della sua complessa storicità. e Ora quando si arriva alla persona si rischia di soggiacere a formidabili istanze non scientifiche, ma direttamente morali. Si è tentati di trovare lì non solo la radice ultima della morale, ma qualcosa di assoluto. un valore assoluto per l'uomo [ ... J. La persona non è neppure la radice della morale, ma soltanto la sua struttura formale. Non ha nessun senso chiedersi se essa è buona o cattiva, come non ha nessun senso - se non poetico e metaforico - chiederselo della vita. Essa semplicemente è. Non scegliamo di essere persone>. Ed ecco come si ricollega un'importante considerazione: « E' una conclusione, questa, moralmente arida e sconsolante? A mio parere tutt'altro. Perché questa
conclusione non esclude affatto - anche se non include necessariamente - che la persona possa venire da noi investita di valore. Dipende esclusivamente da noi se decidiamo di investire di un supremo valore ciò che noi stessi siamo, appunto persone. Se decidiamo o no di rispettare l'uomo nell'uomo>. Per Sartre, poi, è il legame dialettico di valore e storia, la prassi, che rende possibile la sua convergenza con il marxismo. In questo senso ha sviluppato la sua critica all'antropologia di Lévi-Strauss, nella quale vede la riduzione dei < fatti> umani ad una morfologia scientifica sostanzialmente antistorica. Mentre Garaudy nella sua relazione introduttiva non è andato oltre una concezione più e mobile > della dialettica, senza portare nuove indicazioni, l'intervento di della Volpe non si può escludere che sia stato indirettamente polemico verso le indicazioni del convegno. Le indicazioni metodologiche e le istanze scientifiche a cui si è attenuto esigevano una maggiore convergenza al campo specifico della morale. I contributi di della Volpe in questo campo sono stati notevoli (basti pensare al Rousseau e Marx), ma è mancata ancora una volta l'occasione di una chiarificazione. Il cecoslovacco Kosic ha infine offerto un valido esame del problema dell'alienazione (quest'ultimo contributo è stato pubblicato su Crtttca marxista, n. 3, 1964). Le indicazioni del convegno, sono state chiare: emerge l'esigenza di porre in prima linea i problemi della morale, rivendicandone quella presenza nelle scienze umane che il razionalismo dogmatico aveva ricacciato. Ma nello stesso tempo si è rivelata una debolezza, di cui si avverte l'esigenza di superamento. Il compito della filosofia marxista si limita ancora a quello di una mediazione culturale, piuttosto che dirigersi verso quello di una risoluzione. Essa assorbe ed amplia certamente le sue possibilità, ma se non vuole rinunciare al suo compito storico, deve piuttosto elaborare gli strumenti di una critica della cultura. Lenin aveYa inteso chiaramente in questa direzione il senso del suo discorso in Materialismo ed Empiriocriticismo. Il suo carattere apparentemente astratto o fissato tendeva, malgrado certe insufficienze, a costituire un punto di Yista di diretta opposizione all'idealismo e al relativismo. Questa direzione di continua relativizzazione della cultura borghese ha costituito finora il centro di resistenza di tutto il marxismo. Per il passato la cultura borghese aveva beneficato, ora in maniera evidente, ora sotterranea, dell'apporto del marxismo per modificare e mascherare le proprie carenze, e procedere quindi più liberamente a contrastarlo; ma essa ha visto ogni volta venire il momento in cui il marxismo le ha fatto i conti e chiesto gli interessi: e meglio dell'idealismo staliniano vi è riuscita la < resistenza> lukacsiana. Ma nel momento in cui esso vuol prendere l'iniziativa annettendosi gli strumenti e le tecniche della cultura borghese, non può fare a meno nello stesso tempo di rinnovare gli strumenti e le tecniche per modificarli. Questa necessità sarà ancora più chiara se il marxismo porterà questo assorbimento fino al limite di relativizzarsi esso stesso. Quanto al problema della morale e della persona attendiamo il riconoscimento che una domanda <insensata> ma non mistificata sulla vita possa valere in quella possibilità <di rispettare l'uomo nell'uomo>. Paolo i\laogooaro Il 9 ottobre, all'età di 43 anni, si è spento Raniero Panzieri, fondatore dei Quaderni Rossi. Alla redazione della rivista torinese abbiamo inviato il seguente telegramma: ccApprendiamo con ri• tardo la tremenda notizia stop Speriamo che il movimento operalo possa colmare con la sua azione il vuoto lasciato da Raniero Panzieri stop Una forte stretta di mano ». -9
La s/avorevole cong·iuntura Un noto portavoce dell'ANICA, L'Araldo dello Spettacolo, in data 12 maggio commentava la situazione, nell'articolo di fondo, con le seguenti parole: <Di fronte ad una crisi - di origini complesse ma non del tutto estranee alla più vasta crisi economica che travaglia il paese - noi abbiamo lealmente riconosciuto ad un mlnistro socialista il merito di avere seguito un sistema al tempo stesso democratico e realistico per la miglior soluzione dei nostri probleml >. Da parte sua il settimanale dell'AGIS, il Giornale dello Spettacolo, esprimeva un giudizio complessivamente favorevole al progetto dl legge Corona. Di più: il numero del 29 agosto dello stesso settimanale riportava compiaciuto una velenosa nota dell'Avanti! contro l'ANAC (l'associazione degli autori), nella cui ultima assemblea i socialisti avevano perso la maggioranza nel direttivo. Scriveva l'Avanti!: e Ci risulta che il nuovo Consiglio Direttivo non rappresenta tutti i soci dell'ANAC, che è composto quasi esclusivamente da comunisti, che è stato eletto a conclusione di una singolare Assemblea e quindi è poco qualificato ad esprimere giudizi a nome di tutti gli autori cinematografici>. Commentava il Giornale dello Spettacolo: <La ·nota del!' Avanti! conferma quindi l'operazione di 'comunistizzazione' dell'ANAC, effettuata per moventi e scopi esclusivamente politici>. A prescindere dal frasario discriminatorio, degno di giornali parafascisti, questa unità di vedute tra socialisti e imprenditori cinematografici non sorprende, anzi rientra nella generale politica del centro-sinistra. In realtà, nonostante la convocazione di affollate commissioni consultive sulla legge, il ministro Corona si è comportato <democraticamente> solo nella forma, rispetto ai suol predecessori democristiani. Alla fine i sindacati, le associazioni di categoria, hanno 10 - avuto le solite promesse generiche e ovvie concessioni che, in una legge ormai decrepita, qualunque governo avrebbe dovuto accordare. Ma sulla questione di fondo degli enti cinematografici di Stato, la cui rinnovata politica potrebbe essere l'unica garanzia di un effettivo cambio di direzione dell'economia filmica, i socialisti non han saputo far di meglio che accordarsi con la vecchia guardia andreottiana, e spartirsi il potere con lo squalificato direttore dell'ente Gestione, Emilio Lonero. L'avvento socialista creerà nuove poltrone, rinforzate da due miliardi di finanziamento, soddisferà ambizioni di potere personale, ma non influirà minimamente sull'andamento del mercato, che resterà dominato dai soliti noleggiatori ed esercenti (la cui ottusa esosità è ben nota), a loro volta nettamente controllati dalle grandi case americane. Quando i rappresentanti dei lavoratori dello spettacolo chiedono una maggiore democraticità nella direzione degli enti di Stato, una possibilità pubblica di controllo, e quindi anche una loro partecipazione, si sentono rispondere dai socialisti: e Di che vi preoccupate? Ci siamo pur noi a rappresentarvi. Più democratizzazione di cosi!>. AGIS e ANICA possono dormire sonni tranquilli, e battere le mani al ministro. Tutto resterà come prima, e la e concorrenza statale > sarà abilmente contenuta. Da parte loro, produttori e grossi esercenti, chiedono in fondo ben poco, oltre alla neutralizzazione degli enti cinematografici: « Il cinema italiano non ha bisogno in questo momento che di poche norme legislative semplici e razionali, di un regime fiscale più equo, di una disponibilità creditizia adeguata alle sue esigenze. Ha soprattutto bisogno, come immediato, urgente, improrogabile provvedimento di emergenza, di alcuni miliardi di credito> (dall'Araldo dello Spettacolo del 4 giugno '64). E' chiaro: il sistema fa acqua non per criteri sbagliati dl produzione e distribuzione (i produttori non reinvestono in pellicola i miliardi
. guadagnati col cinema, ma In altre attività più e sicure>, prima di tutto l'edilizia; la concorrenza del film hollywoodiano schiaccia il prodotto italiano attraverso le forti agenzie americane che controllano ormai tutto il noleggio), ma perché lo Stato è inspiegabilmente avaro, assurdamente taccagno. Suvvia, togliamo i troppi balzelli al poveri Imprenditori e prestiamo loro, a un tasso ovviamente equo, e alcuni miliardi >: allora tutto andrà per il meglio. Che l'Industria cinematografica si meriti un considerevole aiuto è dimostrato da recenti convegni, dichiarazioni, Interviste di produttori, in cui viene sempre annunciata la ferma intenzione di abbandonare temi scabrosi. Al convegno di Bologna, tenutosi in giugno sul tema e Il cinema italiano e la civiltà industriale>, l'avv. Borasio, braccio destro del presidente della Confindustria, ha chiesto nei futuri film e la presenza equilibratrice di qualche positività>, e subito gli ha risposto Monaco, a nome dell'ANICA: e E' nota l'importanza che il mondo industriale e finanziario statunitense ha sempre attribuito ai favorevoli riflessi della diffusione del film americano nel mondo sulla conoscenza del continui progressi della vita economica e sulle correnti di esportazione. Penso che questa convinzione si stia diffondendo anche nel nostro Paese; se ne potranno trarre grandi, reciproci vantaggi, soprattutto se, attraverso più stretti rapporti tra gli industriali e i nostri produttori, la parte migliore della futura nostra produzione filmistica potrà dare una più chiara ed obiettiva visione 'del decisivo contributo dell'industria al progresso economico e sociale della Nazione>. Il produttore Bini ha sviluppato la mano tesa di Monaco annunciando, prima su Il tempo di Roma, poi sull'Araldo dello Spettacolo, l'intenzione di fare un film sulla vita -del conte Volpi di Misurata. e Ma quanti altri capitani d'industria - ha aggiunto - venuti dal nulla, sono riusciti a creare grandi aziende, ad imporre prodotti che sembravano inespugnabile prerogativa di altri paesi, a conquistare mercati verso i quali ogni tentativo di concorrenza appariva destinata ad infrangersi in partenza? Quante vite miracolose! Basti ricordare i nomi dei Pirelli, degli Agnelli, dei Necchi, degli Innocenti, dei Motta, degli Alemagna ecc. per dare un'idea della vastità di figure e di vicende che potrebbero offrire allo schermo elementi di vivo interesse per opere cinematografiche di ampio valore umano e sociale. E crediamo che questo genere di film, se realizzati con lo stesso impegno che sorresse i nostri migliori registi nel rappresentare anche gli aspetti più umili della vita d'ogni giorno, potrebbe oggi suscitare grande interesse e compiere al tempo stesso - sul piano nazionale ed internazionale - un'opera di propaganda e di valorizzazione assai più aderente alla realtà della nostra attuale situazione e del nostro prestigio nel mondo [ ... J. Per l'esame di un periodo storico particolare, il seguire un industriale ci permette un'indagine molto più ricca e approfondita che osservare nello stesso periodo un uomo qualunque. Esempio: se si vuole fare un'indagine politica e finanziaria dell'Italia nel primo dopoguerra, si può fare In maniera intimista con un tipo di 'travet' ma si avrà un orizzonte limitato perché il personaggio è a contatto solo con la piccola realtà che lo circonda immediatamente. Se invece facciamo la vita di un grande finanziere, la nostra storia ci porta a contatto con i capi di governo, con tutti gli ambienti dell'alta finanza, con tutti i più grossi problemi di politica interna ed estera, con i problemi del capitale, cioè si esamina lo stesso periodo a un livello molto più alto e con molti più contatti, oltre alle maggiori possibilità offerte dal lato spettacolare degli ambienti>. La redazione dell'Araldo commenta compiaciuta: e Ecco un terreno su cui la collaborazione fra cinema e industria pot.rebbe riuscire particolarmente feconda e giustificare il comune impegno per un cinema sicuramente desti- -11
nato a vaste affermazioni internazionali> (23 giugno 1964). Difficilmente negli ambienti produttivi si era raggiunto un livello cosi bassamente servile, una e vendita dell'incenso> cosi manifesta. Ma cos'altro poteva uscir fuori da una classe produttrice che raramente ha investito nel cinema soldi propri, limitandosi invece a spillare miliardi al credito cinematografico di Stato, corroborando i vuoti con le infinite :;erie di e castelletti > cambiari, con gli opportuni fallimenti, con i prestiti ottenuti dalle banche in anticipo sui e ristorni > che i film prodotti riscuotevano, ancora u:1a volta, dallo Stato? Se le borse governative diventano più smunte, se la Sezione Autonoma del Credito Cinematografico chiude temporaneamente i battenti, se la nuova legge prevede (in ottemperanza con i patti del MEC - si badi - e non certo per iniziativa dei nostri uomini politici) che i e ristorni > siano diminuiti nel tempo, c'è solo un santo a cui si può rivolgersi: la Confindustria. Con un occhio al capitale americano e senza, naturalmente, dimenticare le carezze ai dirigenti socialisti. I burocrati del ministero dello spettacolo, tradizionali amici dell'AGIS e dell'ANICA, penseranno ad officiare le prime intese: l'appoggio del Direttore Generale De Biase, successore e degno continuatore della e vecchia guardia> De Pirro, non verrà a mancare in un momento cosi delicato. If cinema italiano affronta cosi la sfavorevole congiuntura economica della nazione rafforzando, invece di spazzar via, i suoi vecchi mali. Centro-sinistra o no, la zavorra rimane sempre a galla o, quando in certi punti sembra indebolita, riaffiora più forte di prima. Persino l'on. Andreotti, che tanta equivoca parte ebbe nello smantellamento degli enti di Stato e nel trasformare la nostra industria in una colonia hollywoodiana, ha fatto sentire in questi ultimi giorni di settembre la sua melliflua voce. All'on. Guerrieri, democristiano, che lo interrogava alla Camera sotto12 - lineando « la gravità di taluni episodi concernenti i film che riproducono azioni di guerra>, episodi che « troppo spesso offendono il prestigio e il decoro delle nostre forze armate>, il ministro della difesa così ha risposto: « Come è noto, nessun potere dispositivo e di controllo la legge concede al Ministero della Difesa in materia di produzione cinematografica e di pubblici spettacoli. Esiste tuttavia in modo ·determinante la necessità e il dovere morale di tutelare la sensibilità di madri, di vedove, di orfani, di invalidi, agli occhi dei quali la profanazione del sacrificio dei caduti risulta comprensibilmente inaccettabile. Si tratta di una questione che non investe affatto le divisioni politiche. E' un problema di giusti limiti e di umana delicatezza che andrebbe giustamente esaminato da tutti, tanto più che si può benissimo non disturbare la libertà dell'arte ed assicurare nel contempo una giusta educazione pacifica delle nuove generazioni> (ANSA, 22-9-64). Sono parole allarmanti anche se profferite con una deamicisiana mano sul cuore. Sono una intimidazione censoria, diretta tra gli altri a Zurlini, che in questi giorni ha iniziato la lavorazione de Le soldatesse, tratto da un romanzo di Ugo Pirro sulla nostra poco onorevole campagna di Grecia. E' noto che nel '53, per aver pubblicato un soggetto simile a quello di Pirro, Guido Aristarco e Renzo Renzi furono imprigionati e condannati come traditori della patria. Oggi i ministri intervengono a rafforzare l'assurdo illiberale articolo del codice fascista che si chiama e vilipendio delle forze armate,, e nostalgicamente pensano ad una censura di tipo militare; pochi mesi prima, at.traverso la bocca di Saragat, minacciavano, nella eventuale rappresentazione del dramma di Hochhuth in Italia, l'applicazione di un altro articolo non meno pesante, cioè quello del e vilipendio alla religione>. La censura cosiddetta amministrativa non è da meno,
e ogni tanto si fa viva con le cesoie a salvaguardare gli ormai frusti e valori eterni>. L'ultimo episodio riguarda un più che dignitoso film inchiesta, Il Finimondo, dell'esordiente Paolo Nuzzi, bloccato in censura apparentemente senza motivo. Sarà stata la sottile polemica antindustriale contenuta a tratti nel film ad irritare i censori? O sarà stata la sequenza di un parto indolore, in cui la gestante, seguendo i consigli del medico, mette alla luce col sorriso sulle labbra il suo bambino, contraddicendo però il biblico e e tu, donna, partorirai con dolore >? In questo panorama resta troppo facile prevedere tempi precari per il cinema italiano. Le organizzazioni sindacali dello spettacolo, le associazioni di categoria sono disorientate per i cedimenti socialisti e stentano a trovare una precisa politica. La nuova legge, se e quando sarà approvata, prevede un controllo pesante dell'esecutivo che potrà rafforzare la censura governativa. Il lento sgretolarsi del numero degli spettatori annui continua inesorabile, mentre l'aumentare del prezzo del biglietto favorisce la fuga del pubblico e spiana il campo alla preponderanza televisiva. Eppure, sebbene sempre più stretto, c'è ancora un margine su cui merita battersi. Giuseppe Ferrara Nei prossimi numeri di "Giovane critica" Vittorio Strada scriverà su cultura e direzione politica nella Russia postrivoluzionaria • Guido Oldrini su Clzaplin e la critica chap/;niana • Hans Mayer su Brecht e Diirrenmatt • Gianni Toti su le riviste e i monopoli della cultura • Adelio F errero su cinema e teatro liberi in Inghilterra • Leonardo Sciascia sulla narrativa siciliana recente • Pio Baldelli su Antonioni e i suoi critici • Augusto Illuminati su scienza e ideologia - 13
Un deserto di colori ,n un mondo pazzo quattro volte Il film è brutto, convenzionale e velleitario ma il suo titolo può servire per la riflessione iniziale, la questione: è veramente e pazzo> quattro volte equesto mondo> cinematografico? Il film cineramico concavo ha un titolo-campanello d'allarme che tutti interpretano però al modo sbagliato. Senza capire cioè che e questo mondo> pazzo quattro volte (troppe per una pazzia autentica, anche se planetaria - non è vero?) sta dando segni di una saggia, troppo saggia pazzia, o di una pazza saggezza. In primo luogo, esorcizza la pazzia terrestre ma ne fissa persino gli antidoti: la risata terapeutica con cui si conclude la rassegna di una serie di tipi (molto e tipici> e quindi pochissimo tipici) fatti a pezzi dalla propria idiozia. In secondo luogo, proprio obbedendo al principio per 11quale mai si parla tanto di una cosa come quando questa cosa non c'è o non c'è più (il Dottor Faustus a proposito dei valori correnti nel mondo), riproduce la pazzia esaltante nei e film pazzi> veramente del primi decenni del secolo e, dopo averla disinnescata, getta la bomba dello sregolamento del sensi ottici e motori fra le gambe della gente. Tutto finisce bene anche quando finisce male, Il lieto fine è il fine peggiore, il mondo è pazzo ma sotto controllo, anche i controllori sono controllati, all'Infinito: divertitevi, gente, tutt'al più vi romperete l'osso del collo ma potrete sempre ridere, anche in extremis, se qualcuno di voi, incolume, si rompe l'ultima gamba ... Il discorso, ovviamente, non prende sul serio il film di Kramer se non sul plano del costume o di una linea culturale sociologica. Serve soltanto, il film scel14to per l'avvio del discorso, come pretesto delle considerazioni da collegare - perché non valgano soltanto nel caso del cinema - a proposito dei rapporti tra metafora e cinema, tra poesia e cinema, con tutto quel che ne segue. Il cinema sembra aver rinunciato, ormai, alla metafora, cioè alle figure, ai tropi, ai procedimenti innovativi del linguaggio-pensiero, alle formule distile, alle variazioni semantiche. Al cinema niente è più ~come>, o e come se>, ma ogni cosa è quello che è. Nei film di Mack Sennet, o di Ridolini o di Chaplin, il mondo, il pazzo mondo capitalistico, o semplicemente industriale, si disfaceva sotto gli urti ingenui, semplici e spontanei dell'uomo non ancora meccanizzato, resistente con la sua piccola ma solida eredità poetica al furto di se stesso operato dallo stesso meccanismo sociale riproduttore di cose, di oggetti-paesaggio (il nuovo orizzonte umano, la seconda, la terza natura). Si disfaceva nei suol nessi, nelle sue associazioni di significato corrente e d'uso, quel e pazzo mondo >, ma nello stesso tempo in maniera del tutto metaforica, perciò più vera, universalizzata. Per questo l'uomo che saltava di grattacielo in grattacielo non era più soggetto alla forza di gravità, e 11suo cranio martellato dalle presse era infrangibile, la sua struttura umana invulnerabile qualunque fosse la prova cui le cose lo sottoponessero. Nei film comici ultimi - e questo mondo pazzo pazzo pazzo all'infinito > è soltanto una sintesi di tutti gli altri - non troverete più neppure per sbaglio la felicità nichillsta della metafora, il potere allegramente sarcasticamente distruttivo dei tropi poetici. Crollano anche gll edifici ma la
gente si fa male, si rompe le ossa: il crollo del castello di carte della società è quindi aridamente realistico, naturalistico, anzi, e perde ogni significato allusivo, riducendosi al suo senso letterale-materiale, al racconto nudo e crudo di ciò che si vede, non dicendo ment~ di più non ammiccando neppure dietro le quinte del vostro cristallino. Ma il discorso non vale solo per i film comici o satirici: essi ne offrono semmai solo il caso-limite, laddove la risata perde il suo potere d1 riso del pensiero, e si ritrova sola dentro il suo rictus facciale meccanico, angosciata perché non può andare più al di là di se stessa. Solo Buster Keaton continua a non sorridere, spietato, e, nei due minuti In cui appare, con quattro gesti Impassibili, a sottolineare o forse a dirigere lo sparpagliamento dell'umano al quattro venti. Se gli si fosse domandato, oggi come quarant'annni fa, perché non ridesse mai, avrebbe ancora risposto, serio, serio: e Perché? c'è qualche cosa da ridere?> ... Sono più di trent'anni che il processo di spoetizzazione del cinema continua, implacabile. Negli anni 1931-34 si discusse, forse per l'ultima volta, ferocemente e appassionatamente, nell'Unione Sovietica, sul problema della poesia nel cinema. Ejzenstéjn contro Jutkevic. La poesia contro la prosa. L'arte contro il realismo. La lirica delle immagini metaforiche contro la dogmatizzazione dell'arte al servizio della rivoluzione (mentre la rivoluzione è stata fatta e si deve fare proprio perché sia la società a servire finalmente l'arte). Durante il secondo piano quinquennale - sostenne, lucido e tagliente, Ejzenstéjn - si era conquistata e la forma poetica del cinema>. Poi, la «poesia era scomparsa > ... - e Ci si presentano i processi verbali dei gesti dei personaggi. Tutto il potere espressivo dello schermo si è degradato. Lo schermo ha cessato d'essere uno schermo. Non è più che un rettangolo di tela, di un biancore sospetto [ ... ]. E su questo rettangolo si muovono stlhouettes di uomini tutti grigi. Tutto ciò che aveva dato una grazia poetica allo schermo è scomparso, tutto ciò per cui una generazione intera di cineasti aveva sudato sangue[ ... ]>. Ma contro Ejzenstéjn e i sostenitori della forma poetica cinematografica si scagliarono presto, e con violenza, i difensori della prosa cinematografica (confondendo la distinzione tra prosa e poesia con quella tra non poesia e poesia, come se anche la prosa non potesse essere poesia; un errore nominalistico e idealistico). I partigiani della e poesia cinematografica> (anche di quella in e prosa cinematografica>) avevano pubblicato una raccolta di articoli, Poetika Kino, (con scritti di Ejchenbaum, Tynjanov, Kazanskij e Sklovsklj). E Jutkevic attaccò subito il gruppo: e I poeti del cinema sostengono che il cinema è più di ogni altro mezzo di espressione vicino alla poesia - ironizzò - e che le inquadrature scandiscono e ritmano il film come i versi la poesia. Questo famoso linguaggio cinematografico di cui tanti frettolosi innovatori hanno difeso la purezza, questo linguaggio cinematografico le cui sequenze sono divenuti ritmi, e sono stati scanditi come versi, porta alla negazione dell'uomo diventato un oggetto, alla riduzione dell'azione a quella di una marionetta stereotipata. E' questa stessa tendenza che ha valso al cinema sovietico tutta una serie di realizzazioni manierate e astratte elaborate secondo i canoni dell'avanguardia francese [ ... ) >. (... e alcuni capolavori della storia del cinema, quelli di Ejzenstéjn, per esempio - scusate la parentesi senza epoché). Non durò a lungo la lotta, per la verità. Eppure, proprio in quello scontro, molte delle possibilità semantiche e creative del cinema vennero studiate e difese. Allora Dovzenko girava Zvenigora come e un poema cinematografico>, non come un racconto o come un documentario, ma proprio come un poema, e ambiva chiamarsi e poeta del cinema>. Non aveva uti- - 15
lizzato i procedimenti concreti della prosa, fissandosi sui dettagli descrittivi, ma aveva tentato la metafora, l'iperbole, il ritmo, cercando di strutturare una specie di suo e linguaggio poetico>, un e sistema di soluzioni poetiche>. Dovzenko stesso scriveva: « La densità estrema degli avvenimenti mi ha costretto a sottomettere il materiale a una pressione di diverse atmosfere. Io ho potuto farlo ricorrendo al linguaggio poetico, e così ho trovato una mia particolarità creatrice>. Dziga Vertov scriveva nello stesso tempo: « Io sono un poeta del cinema>, e io lavoro nel campo del cinema poetico documentario>, « il mio dominio è il cinema poetico>. E realizzava i suoi e cinepoemi > trovando e congeniali allo stesso modo la canzone popolare e la poesia di Majakovskij >, e istituendo « il montaggio metrico>, costruendo ritmicamente le sequenze, r:cercando la densità semantica del cinema nel dinamismo interno delle inquadrature considerate come tangibili metafore, come cadenze visive, ripudiando estremisticamente forse - ma ogni vera azione, come diceva Stendhal, non è forse un estremo? - « il dramma cinematografico>, come e oppio del popolo,. L'uso stesso della parola era e poetico >, non solo perché molto spesso le didascalie erano veri e propri versi, ma perché il loro rapporto con le immagini era ritmico. L'autore-poeta cinematografico si rivolgeva direttamente al pubblico, lo interpellava - « voi che fate fare il bagno alle pecore nel mare / e voi che glielo fate fare in un ruscello / voi che vivete nei villaggi del Daghestan I voi che nell'ottobre abbatteste il potere del capitale [ ... ] > - creava, voleva creare, < un tempo e uno spazio cinematografici>, diversi da qualsiasi tempo e spazio ottico-sensibili normali, quotidiani, banali. E per questo attaccava « la miopia legalizzata> del cinema prosastico e agli ordini di un occhio imperfetto e poco acuto> ( e fino ad oggi abbiamo violentato la cinepresa e l'abbiamo indotta a imitare il lavoro del nostro occhio. E veniva selezio16 - nata la parte migliore dei fotogrammi. Da oggi, invece, dovremo liberare la macchina da presa da ogni vincolo e farla lavorare nella direzione opposta, più in là dell'imitazione »). Oggi nessun critico di cinema si sognerebbe di classificare questo o quel film fra i « film di poesia > o tra i « film di prosa», ma trent'anni fa Tynjanov poteva classificare La Nuova Babilonia di Kozintsòv e Trauberg nella « serie poetica >, e parlare di un trattamento « poetico e non prosaico> del materiale cinematografico del film. « Forme interamente poetiche, metafore; sono questi i procedimenti utilizzati per questa ode cinematografica». E ancora, nella raccolta Poetika Kino: « Può sembrare strano, ma se si tenta una rassomiglianza tra il cinema e le arti verbali, la sola analogia possibile sarà tra il cinema e la poesia, non tra il cinema e la prosa. La trasfigurazione, grazie al pensiero, di oggetti abituali (le parole per la poesia, gli oggetti per il cinema) apparenta il cinema alla poesia>. Ejzenstéjn, Pudovkin, Dovzenko, Kozintsòv e Trauberg, Dziga Vertov erano allora i rappresentanti riconosciuti della tendenza poetica del cinema, avendo contro il povero Gheràsimov, Vasiljev, Ermler e Romm ... Ma dove sono andate a finire oggi quelle appassionate polemiche, dove è andato a soffiare quello spirito ribelle contro ogni arte e piatta e protocollare >, contro il cinema d'appendice, contro il cinema delle « messe in scena >, delle « traduzioni visuali >? Il cinema poetico dava « l'immagine> del mondo, non «rappresentava>, non puntava sul «finito>, sul e tutto detto > ma sulla generalizzazione ottenuta con le figurazioni frammentarie, parziali, sul!'« immagine sintetica ottenuta svegliando l'intelligenza percettiva dello spettatore con i dettagli scelti nella più eterogenea e caotica realtà e sommati e giustapposti e sottratti e frazionati col ritmo, la cadenza, l'analogia, l'allusione, l'associazione indiretta, la ripercussione,
lo choc emozionale, il contatto emotivo con la situazione, l'incarnazione affettiva del tema>. Felici anni '25-'28: nel primo cinema rivoluzionario del mondo, il cinema sovietico, dominava la tendenza poetica, e conquistava l'egemonia artistica e ideologica nel cinema mondiale, si identificava addirittura col cinema come arte ... Poi vennero i tempi duri, gli anni staliniani del cinema-strumento ideologico, del cinema-falsa coscienza, dell'aggressione in grande stile al cinema-poesia. Lo scontro era tra due estremi contrapposti, uno scontro assoluto. I cine-poeti non si formalizzavano, del resto, mettevano e in dubbio il principio stesso del cinema narrativo>. Gridavano ai sordi che e l'elemento drammatico e l'elemento narrativo andavano contro la natura dell'arte cinematografica,, che e il montaggio stesso doveva creare l'affabulazione , : nessuno li ascoltò, perché essi erano troppo spostati avanti, a mezzo busto già nel futuro, mentre i sostenitori del cinema-prosa vantavano la curiosa circostanza per la quale il passaggio del cinema dalla poesia alla prosa si verificava proprio un secolo dopo lo stesso processo avvenuto nella letteratura, cioè nel corso degli anni trenta del secolo scorso ... E avrebbe dovuto essere proprio questa circostanza a fornire la giusta patente di e modernità > ( e faut-tl étre modernes ,, diceva Rimbaud) a un'arte nuova che poteva svilupparsi solo obbedendo alle sue leggi interne, muovendosi in avanti e non attardandosi nel terreno dell'ideologia e della coscienza falsificata, non facendosi strumentalizzare per dire anch'essa ciò che non era suo compito dire, perché non era neppure suo compito dire qualcosa, perché e diceva, e basta, intransitivamente ... Ejzenstéjn: e no alla prosa, no al processo-verbale d'informazione, superficiale e protocollare > Zavattini (abstt tnturta): e noi oggi rifiutiamo la metafora >. Tra questi due estremi, simbolicamente, la paraboia del cinema negli ultimi trenta-quarant'anni. Ma non si tratta di Zavattini (in fondo la citazione era di comodo, quasi uno scherzo) e neppure dei suoi successori, magari con le poetiche opposte, rovesciate, piuttosto di tutta una temperie psicologica, di un pattern culturale mondiale col quale bisogna fare i conti, oggi, se si vuol salvare il cinema dalla lunga profonda palude in cui annaspa. Fino a quando e i monopoli culturali,, non solo quelli capitalistici, domineranno nelle grandi e nelle piccole fabbriche dell'intelligenza, nei laboratori artigiani e nelle botteghe della poesia (dovunque équipes di coautori o poeti solitari tenteranno di e dire l'indicibile>) per far loro ripetere invece il già detto mascherandolo da novità con le stimolazioni ottico-ipnotiche, il cinema come del resto le altre arti (sebbene il discorso da fare sia diverso caso per caso) sarà sempre più agganciato alle tecniche della comunicazione, alle teorie del rispecchiamento, al dovere della rappresentazione, al sinistro obbligo del riflesso specchiante. Il cinema è in crisi da trenta o quarant'anni, ormai, una crisi storica, di crescenza interrotta, di regressione. Il cinema è rimasto al livello dell'occhio umano, alla presa di coscienza visuale immediata, al vero naturale. Pochissimi sono stati negli ultimi decenni i tentativi di liberazione del cinema dai vincoli della propaganda, della strumentazione culturale e politica, della celebrazione del reale, dell'apologia sociale, della mimesi universale, della soggezione al dato naturalistico, all'oggetto-mondo. Per una strana singolarissima fortuna, la nuova arte cinematografica appena nata aveva superato tutti i ritardi delle altre arti e si era schierata sulla linea del fronte umanizzante, della formazione-deformazione, della e elaborazione surreale> della realtà. Poi, strumentalizzata brutalmente dal monopoli della produzione industriale-capitalistica e industriale-socialistica distruttori dl qualsiasi autonomia del pensiero, è piombata indietro - 17
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