rio Gallo, un critico-documentarista (ahimè!, ben lontano dall'essere sempre un documentarista critico, come dimostrano esempi recenti), si limita ad esprimere unicamente i segni della propria soddisfazione per 11 conseguimento di una poltrona ministeriale, ad auspicare la concessione di maggiori e non meglio precisati e poteri > al detto dicastero e a dichiarare il proprio parere sugli e enti di Stato, la cui vita rachitica è inutile, se devono solo spendere per sopravvivere senza operare> (dichiarazione che, nel contesto, assume, in fondo, le tinte di una sfiducia implicita nell'iniziativa statale, giungendo a definire e lodevole collaborazione > quella fra le organizzazioni private e gli organi del pubblico potere, purché non significhi subordinazione del secondi alle prime)', ben più consapevole appare invece la ferma determinazione del PCI e del PSTIJP. Certo, molti non mancheranno di sostenere - come già sostengono nei confronti di altri settori di azione o di riflessione politica e culturale - che tale determinazione è piuttosto e facile>, non essendo impegnati I due partiti in una collaborazione governativa e non dovendo quindi sottomettere la propria linea ideologica alle e: ragioni> e alle e esigenze> della pratica quotidiana e contingente. Può essere. Ma ciò non spiega né tantomeno giustifica sia certi atteggiamenti pubblici del ministro Corona• sia la acquiescenza degli organi di stampa e dei responsabili parlamentari del PSI al e desiderata > del partito di maggioranza e delle gerarchie ecclesiastiche, mai come in questo momento espressi con tanta sicura tracotanza e con tanto dispiego di energie e di mezzi (per una finalità della più netta evidenza e che, se non può forse essere definita e censura Ideologica>, può venir efficacemente battezzata e Inibizione ideologica> e diffusione di. una e moralità > - o e Immoralità > - a senso unico). In proposito, 1 problemi, come sempre, sono problemi di struttura, e ciò è chiaramente posto in luce sia dall'Argentieri, sia da Chiaretti e compagni, i quali concretizzano la questione in una serie di realistiche proposte, decisamente pratiche ed attuabili, anzi congegnate proprio tenendo presente la loro attuabilità. E' questo, nella nostra cultura cinematografica, un aspetto relativamente nuovo, che va salutato con il massimo risalto. In passato, infatti, accadeva spesso, anche ai migliori esponenti della nostra critica, di anteporre aspetti astratti e ideali circa lo svecchiamento e lo snellimento del settore, alle norme concrete per una loro effettiva realizzazione. Battaglie nobilissime sono state condotte da parte degli autori e della stampa specializzata o quotidiana, dai tempi di Piazza del Popolo alle ultime Consulte: spesso, tuttavia, era legittimo nutrire il dubbio che la chiarezza di vedute per quanto riguardava i mali da colpire e da evitare, non corrispondesse a un'altrettanto lucida e limpida azione di proposta. Le associazioni industriali e commerciali, nonché i rappresentanti governativi, potevano frequentemente aver buon gioco nel dibattito, essendo in grado - sia pure da posizioni di forza - di rispondere a ogni tentativo esterno di innovazione con l'appello risolutorio a quelle e esigenze> di vario ordine (economiche, fiscali, organizzative, ecc.) non sempre tenute nel debito conto dai proponenti d'opposizione. Oggi, viceversa, mentre l'azione della maggioranza e delle categorie padronali s'impantana sempre più in una serie di disposizioni e controdisposizioni, quali anacronistiche, quali particolaristiche, quali decisamente reazionarie e antieconomiche al tempo stesso, la parte migliore della critica cinematografica di sinistra si rivela preparata, attiva, fautrice di una chiarezza organica e funzionale. E' sempre più frequente imbattersi, nel corso di una recensione, di un articolo, di un saggio, in pertinenti riferimenti alla situazione industriale ed economica, e non soltanto per deprecare il -5
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