giovane critica - n. 4 - apr.-mag. 1964

3 Nota giustamente Plebe (art. cit.): « A me sembra innegabile che l3ergman non ci ha mai fornito l'immagine obiet• t.iva di quello che è una persona laica nor• male, cioè di un uomo ateo con la mente e i nervi a posto, cosi come lo sono tutti gli uomini che in tempi moderni banno una mente moderna (e fortunamente basto guardarsi intorno per incontrarli), ma ci ba sempre descritto invece la figura ca• ricaturale (o circondata da superstizione e orrore) dell'ateo quale si configura nella mente del credente; insomma, egli non ha mai voluto rappresentarci la civiltà atea così come essa è, bensì come i bigotti vorrebbero che essa fosse ( ...) Tipico è il modo in cui in Un'estate d'amore viene dipinta la convers.ione di Mari all'ateismo, dopo la morte del fidanzato: dove Mari grida istericamente: Gli sputerei in faccia. Questo è quello che si potrebbe definire l'ateismo isterico, figura cara alla mentalità bigotta, e che è quanio di più lon• tano vi possa essere da una mentalità normalmente e sanamente laica •· trascorrere della stagione calda. Tale situazione psicologica viene isolata e vissuta come circostanza stagnante, ambigua, senza uscita. Lo spavento spinge a chiudersi, ad ignorare il resto, a sentirsi in un'isola sperduta. Ma - passando dalla situazione psicologica a quella espressiva - scatta nel regista un contrappunto che inserisce ( e talora rovescia) l'angoscia e il disagio nel va e vieni di tre articolazioni fondamentali: - la farsa carnale, il divertimento ironico, naturalistico, l'aggancio materiale e vitalistico; - l'isolamento incantato delle sensazioni acerbe, intatte: l'idillio, i giuochi d'estate, i giuochl d'amore, il latte e le fragole, l'isola, la luce della stagione, lo sradicarsi, partire e vagabondare, l'intarsio con il personaggio o il gruppo di personaggi irregolari, con i saltimbanchi, che soccombono ma nel contempo smascherano la situazione adulta; - il gusto dello spettacolo, la sapienza dell'intreccio e della situazione condotta con l'occhio sullo spettatore, la « ricostruzione » ambientale e perfino gestuale, il distacco nelle favole del passato medioevale e delle saghe, nella composizione figurale: con l'armonia espressiva delle parti, l'astuzia e l'arte combinatoria nell'impiego della materia plastica ( sopratutto la confraternita degli attori). Ma allora dove sono i temi canonici, le linee di forza, la metafisica ipotizzati nell'opera di Bergman; la ricerca di Dio, la solitudine ontologica, la tragedia, il sacro, l'ossessione luterana del peccato e del diavolo, etc.? Dio resta nel discorso bergmaniano, una cifra antiquata, vissuta in mezzo ad antitesi antiquate, come: Dio e la carne; Dio l'ignoto onnipossente e tuttavia tormentoso: Dio da conoscere in concreto e non sulla fede degli altri; isterismo della coscienza atea e pacatezza di Dio ( e le metafore del cavaliere e lo scudiero, del ragazzo teologo e del ragazzo medico, del ciarlatano e del medico; il Dio-ragno e il Dio-amore). Termini antiquati, serviti non da personaggi o da situazioni vive, ma da metafore piatte, oppure da giustapposizioni dell'ultimo momento, a chiusa, fatue etichette cerebrali •. In fondo, Bergman si aggira sempre nell'àmbito tradizionale: inizio e fine delle cose; dialettica caos-ordine ( ossia Dio); inferi-paradiso; oscillazione oratoria fra disperazione e speranza. Non ontologica e neanche contemporanea la proclamata solitudine di Bergman: essa va situata, se così possiamo dire, prima dello scoppio atomico (nonostante il continuo adombrare allegorie atomiche). La solitudine di Bergman risulta di tipo tardo-romantico: sempre di fronte alle circostanze eccezionali e prevedibili insieme: mossa dalla pazzia, oppure da situazioni canoniche come: la lotta col padre, lo spettacolo da commedia doppiogiocato, l'ateismo isterico, lo scontro del laico e del dubbioso, la persecuzione di Dio e del Male, - 37

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