2 A riepilogo cli siffatte congetture, porto, perché esemplare, l'itinerario in Dio ricostmito da Jos BURVENIC (in Cineforum, n. 17, 1962). Definito pomposamente il percorso cli Bergman come « pellegrinag• gio alJe sorgenti della vita e ai confini della morte », il critico premette che Bcrgma.n non si libe.ra dalle confessioni precise per disprezzo o per indolenza me per arrivare prima od un inventario paziente del suo universo, ad un giro del.l'isola dove vivono gli uomini. Ed ecco le tappe successive: anzitutto esplora « l'isola arida del mate• rialismo dove l'uomo diventa incapace di giustificare la sofferenza, inetto a comu• nicare, immerso nel gusto cli cenere che lascia ogni godimento ». In un secondo tempo, il regista s'addentra in questa impotenza disperata e la confronta con la fe. licitò tranquilJa cli esseri senza complessi. aperti alla speranza e ad un amore sem• plice. Nell'amore scopre « la fede data ad un essere che per essere differente e per• sonale non conosce certezza materiale n. Da lì a chiedere una giustificazione oltre i limiti della morte, non rimane che un passo. Ma « quale uomo potrebbe valicare quel passo di sua autorità e con le sue sole forze •? Ecco dunque albeggiare la luce di Dio. E' il terzo tempo dell'itinerario: « è la stessa fragilità della felicità nell'amore umano » che lo spinge ad elevarsi verso l'amore eterno che identifica con Dio. Capita che anche il testo delle sceneggia• ture venga forzato, e non soltanto l'immagine cinematografica. R. PuLETTI (Saggi, edit. Simonelli, Perugia, 1963) scambia le sceneggiature per opere filosofico-letterarie (un genere autonomo), e asserisce: « L'io• del fanatismo religioso, le processioni dei flagellanti, le sadiche prediche dei frati, i barbari roghi di streghe? Bene, essi non sono un'irriverente polemica contro la superstizione religiosa bensì una giusta e beffarda protesta contro la fanatica religione di quei tempi. Ma la contrapposizione tra l'esagitata, innaturale problematica religiosa e la vita semplice e naturale della famiglia dei girovaghi non indicherebbe un primato della vita naturale ed una svalutazione dell'impegno religioso? Allora « la problematica religiosa di Bergman non sarebbe che satira n. Ma Som• mavilla aggiusta anche quest'ultimo inconveniente: non si tratta di contrasto tra natura e religione, ma del « contrappunto di vita e di morte, e del senso che la vita naturale continua a rifiorire a dispetto delle catastrofi », protesa verso Dio '. 2 • L'interpretazione laica scorge nell'opera di Bergman una testimonianza della ragione che, di fronte alla minaccia de!Jo sterminio nucleare, indaga la situa• zione contemporanea in cui crollano i miti del benessere capitalistico e socialdemo• cratico e si instaura una tensione alla ricerca di parametri e punti superiori, fuori dalle regole e dalle pratiche delle Chiese e dei culti, con prospettive razionalistiche o naturali. Anche qui intervengono correzioni integranti, oppure recriminazioni di fronte all'ipotesi di una caduta, di una svolta mistica ed ortodossa degli ultimi film di Bergman, o di fronte alla sua supposta incapacità di uscire da una solitudine ontologica indicata come tema fondamentale dell'opera. Un'articolazione della critica immanentistica adopera la chiave psicanalitica: laicizza l'opera di Bergman all'insegna della « lotta col padre ». Fissata la circostanza primaria nel tema della solitudine, G. Aristarco, per es., si chiede: « Bergman rompe davvero con l'esistenzialismo di Kierkegaard? n: solitudine transitoria e contingente oppure condizione umana eterna ed universale, immodificabile per principio? Bergman riafferma, con Kierkegaard, che « ogni uomo vive in un incognito totalmente impenetrabile ad altri uomini, imperscrutabile ad ogni forza umana »? La risposta appare difficile, non sicura dall'uno o dall'altro punto di vista: comunque il critico, identificata senz'altro la posizione del regista con quella del filosofo, pensa di aggiustare a Bergman la formula che Lukacs aveva adoperata per T. Wolfe: « solitudine ontologica n. Per giungere alla conclusione, con quest'altra citazione di Lukacs che dice: « La determinazione delle direzioni che può provocare, ai nostri giorni, una decisione reale e feconda, è verso l'angoscia o lungi da essa? L'angoscia deve essere eterna o superata? Deve essere nuovamente ridotta ad un effetto fra gli innumerevoli che costituiscono insieme la struttura della vita interiore dell'uomo, o deve continuare a presentarsi come la determinazione decisiva della condition humai11.e? ». E siccome la risposta di Bergman sembra al critico ancorata all'angoscia esistenziale, eterna e insuperata, e la sua poetica espressa dalla solitudine ontologica della condizione umana, ne - 31
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