giovane critica - n. 4 - apr.-mag. 1964

Interpretazioni critiche e tesi apologetiche u Bergman 28 - Esiste una testimonianza ormai canonica da parte di Bergman, sulla funzione e gli scopi del cinema, che viene continuamente citata come sigla fondamentale dell'arte o dei contenuti di questo regista. Vi si parla di un'antica leggenda se• condo la quale la cattedrale di Chartres fu colpita dal fulmine e interamente bruciata: migliaia di persone giunsero allora da tutte le parti della terra come una gigantesca processione di formiche; e Lutti insieme - architetti, artisti, operai, contadini, nobili, preti, borghesi, si misero a ricostruire la cattedrale dove era prima, e lavorarono finché la costruzione non fu ultimata: ma tutti rimasero anonimi. A questo punto, Bergman commenta l'episodio con un'enfatica omelia, che non prenderei troppo sul serio: l'arte, dice, perse il suo impulso creativo fondamen• tale al momento in cui fu separata dalla fede. Allora comincia la sterile vita mo• derna dell'arte: in altri tempi l'artista rimaneva sconosciuto, e la sua opera era dedicata alla gloria di Dio; in un mondo come quello fioriva una sicurezza invulnerabile e una naturale umiltà. Tale retorica visione dei rapporti medioevali fa il paio con la retorica condanna della vita contemporanea: considerate l'anatema di questo strenuo individualista contro l'individuo divenuto rovina della creazione artistica. Alla immaginaria convivenza irenica del medioevo contrappone il « grande ovile » dove ce ne staremmo a belare sulla nostra solitudine, senza renderci conto di soffocarci a vicenda: « Gli individualisti si guardano negli occhi tra loro, e intanto negano la loro reciproca esistenza ». Per terminare con la tirata qualunquistica ( o scolastica, se preferite): << Ci muoviamo in circolo, limitati a tal punto dalle nostre ansietà che non riusciamo più a distinguere il vero dal falso, il capriccio del gangster dal più purn ideale ». Non darei, dunque, peso alle parole di Bergman quando proclama che vorrebbe operare con i suoi film come uno degli artisti anonimi della cattedrale di Chartres. La spia, invece, di quel che interessa davvero l'ispirazione di Bergman compare nelle ultime parole della sua testimonianza: « Voglio trarre dalla pietra la testa di un drago, di un angelo, di un diavolo - o magari di un santo. Non importa che cosa ( ...) ». Ecco il punto di partenza: dentro la favola medioevale che gli procura un senso di « sicurezza invulnerabile ", emerge il gusto per le stregonerie dell'immaginazione, ma nell'in• differenza dei contenuti: testa di drago o di santo: non importa che cosa. Sull'opera di Bergmaa esiste un intrigo di sfoghi privati e di ipotesi poco congruenti che sviano dall'esame concreto dei film. Le giaculatorie dei drogati ( gli idolatri del regista svedese) ammassano cumuli di parole davanti ai film. Per essi Bergman rappresenta i punti cardinali dell'esperienza contemporanea; i pregi del suo linguaggio cinematografico e le audacie degli argomenti esistenziali

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