giovane critica - n. 4 - apr.-mag. 1964

messo al mondo e allevato meriti riconoscenza? Non era vostro compito, vostro dovere? Non dovreste ringraziare Dio che vi ha dato una missione tanto alta? Oppure l'avete compiuta per reclamare in seguito durante il resto della vostra vita la riconoscenza? Non vi accorgete che con questa parola riconoscenza demolite con un colpo solo quanto avete tentato di edificare? >>. Non dimentichiamo la duplice esperienza teatrale di Strindherg: la partecipazione originale al movimento naturalistico e, poi, la polemica antipositivistica, verso la fine del secolo, sull'onda della dilagante « crisi religiosa » e della reviviscenza metafisica e misticheggiante. L'intera schiera dei cineasti svedesi ha attinto a piene mani ai temi espressi dal teatro di Strindberg, specie dai racconti e dai lunghi atti unici dell'ultimo periodo. Ecco la vita primitiva di pescatori ed isolani sconvolta da improvvise catastrofi di sentimenti o dalla lenta erosione di odi ed inimicizie nascoste; l'acredine isterica che esplode d'improvviso nella vita coniugale e la rivela come una lunga convivenza di estranei; la vita intesa come giuoco mostruoso, soffocata da adulti e vecchi terribili, specie di mummie avide con alle spalle vite apparentemente onorate e feconde; l'esistenza sentimentale dei giovani distrutta o avvilita dagli adulti demoni; il gusto dell'astrazione simbolica; le convenzioni sociali d'un tratto smascherate e degradate da impulsi animaleschi, atavici, messi dolorantemente a nudo; la sfrenata festa nordica che copre sensualmente, per un momento, il consumarsi dei bagliori vividi di un incontro « peccaminoso ». Gli elementi di cultura che Bergman padroneggia meglio appartengono al teatro. Per le sue regie teatrali dichiara: « Ho esplorato sopratutto Strindherg. Per quel che concerne il repertorio francese, nutro un'ammirazione vivissima per Molière, in particolare per Don Giovanni. Ho pure una grande passione per Racine ( ...) di Shakespeare ho messo in scena il Sogno di una notte di mezza estate, Il mercante di Venezia e Macbeth, a tre riprese, e con regia completamente diversa l'una dall'altra. Dell'intero teatro di questo autt>re, Macbeth rimane senza dubbio la mia opera preferita >>. E non sembri un caso tale preferenza: Bergman vi individua certi elementi compositivi congeniali al suo gusto: la scenografia medioevale, il precipitare dell'orrido, le apparizioni stregate, lo scontro di fronte alla morte fra la donna che guida l'azione e l'uomo possente e debole insieme. Nel complesso delle sue regie, dietro un'apparenza unicamente eclettica s'intravede la predilezione per quei testi che ripetano in qualche maniera i temi del suo cinema ( e del suo teatro: produzione, questa, di assai minore importanza e della quale parleremo in seguito): la messinscena razianale, aperta di continuo a dilatazioni favolose, la mescolanza di morbido ed orroroso; il contrasto fra la carne e l'intelletto; l'intreccio di eleganza, cinismo, stregonerie e divertimenti carnali; la situazione dell'individuo inconcluso, renitente al contesto storico, ambiguo. - 23

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