giovane critica - n. 4 - apr.-mag. 1964

22 - stesso in cui perdessi questa libertà cesserei di essere un cineasta, poiché non ho nessuna abiljtà nell'arte del compromesso. L'unico mio significato nel mondo del cinema risiede ne!Ja libertà della mia opera creativa ». Questo per quanto riguarda il cinema come industria. Dal punto di vista filosofico, Bergman sembra attribuire un'enorme influenza sulla propria formazione ad un libro in sostanza mediocre: La Psicologia della perso,wlità, di Eiono Kaila, di cui riassume la tesi in questi termini: << la tesi di questo libro che l'uomo vive strettamente secondo i suoi bisogni - negativi e positivi - ebbe su di me un effetto sconvolgente, ma la trovai effettivamente vera ed ho costruito su questa base ». La lettura di certo Sartre, sopratutto La nausea e A porte chiuse, e quella, canonica per l'intellettuale scandinavo, di Kierkegaard forniscono nuclei di meditazione al giovane regista. Del pensatore danese, oltre che l'intelruattua complessiva della riflessione filosofica - la polemica antihegeliana, la miseria dell'uomo di fronte all'inaccessibile solitudine di Dio, la separazione della moralità dalla religione, confinata in una sorta di astratta comunjcazione col divino, l'ossessione dell'inettitudine dell'uomo a costruire e progredire stabilmente secondo un modo di validi rapporti storici - lo colpiscono certe pagine sopra le quali dichiara di avere indugiato a lungo. Per esempio, l'antinomia dell'esperienza della morte: se è vero che nella morte siamo « una società di unici », se la solitudine in presenza della morte è una categoria d'ogni singolo, è anche vero che <e il problema della morte dell'altro come esperienza rivelativa del senso profondo della morte stessa, va posta sul piano del vincolo interiore che lega ogni uomo e che fa che l'altro sia il suo simile, non il vicino che gli sta accanto ma il suo prossimo che gli è dentro ». Naturalmente, controlleremo sulle opere il travaso di queste riflessioni e i cambiamenti di rotta che assumono. Un posto a parte, maggiore di quanto non si ammetta abitualmente, nella formazione culturale di Bergman spetta a Strindberg. << Nella mia vita, la più grande esperienza letteraria fu Strindberg. Certe sue opere mi entusiasmano ancora, Gli isolani di Hemso, per esempio, e immagino di realizzare un giorno o l'altro Il sogno. La realizzazione di Olof Molander, del 1934, fu per me un'esperienza fondamentale ». La sua protesta contro l'asfissia della vita familiare appare talora condotta secondo certe argomentazioni tipiche dell'opera ~trindberghiana, in Master Olof; per es.: « Credete che sia il destino del giovane di sacrificare la propria vita unicamente per dimostrare la riconoscenza? La sua missione gli suggerisce: Vattene lontano, staccati! Voi gli gridate: stai qua, non allontanarti! Deve dunque sacrificare la sua forza, che appartiene alla società e all'insieme del genere umano per soddisfare un egoismo meschino? Pensate veramente che il fatto di averlo

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