giovane critica - n. 4 - apr.-mag. 1964

La cultura di Bergman e le influenze nella sua formazione impervia di Dio. Ancore di salvezza, a cui aggrapparsi secondo la consuetudine: il mito e la memoria dell'infanzia, la stagione calda, il vagabondaggio nell'indipendenza della vacanze, l'efficienza fisica, l'antica favola delle saghe. Bergman vive l'opposizione a questa Svezia socialdemocratica del benessere da conservatore colto, fuori delle Chiese e dei sodalizi politico-economici: isolato e, in fondo, « miscredente », devoto a contorti sondaggi dell'intimo e all'introspe• zione; polemicissimo nei confronti delle auree misure dei suoi compatrioti com,umatori, nostalgico delle stregonerie dell'immagine e delle favolose allegorie del passato, incantato dagli spazi e dalla luce chiara e fredda del suo paese. « Sul mio sviluppo come individuo, parecchie persone hanno avuto una grande influenza », informa Bergman. « Mio padre e mia madre ebbero certamente una importanza cruciale, non solo in se stessi, ma perché mi crearono un mondo contro il quale rivoltarmi. Quel focolare decisamente borghese mi diede un muro a cui appoggiarmi, e contro cui affilarmi ». Ma mentre si faceva beffe dell'angustia cerimoniosa ed austera della vita familiare, i genitori gli insegnarono ad apprezzare certi valori - efficienza, puntualità, un senso di responsabilità finanziaria - << che saranno magari borghesi ma sono cionondimeno assai importanti per l'artista. Oggi, come cineasta, sono coscienzioso, lavoratore ed estremamente diligente; i miei film comportano una buona capacità artigianale ed il mio orgoglio è l'orgoglio del bravo artigiano ». Tra coloro che esercitarono una larga influenza sullo sviluppo professionale del regista vi fu Torsten Hammaren: « Ero stato per due anni a capo del Teatro Comunale di Halsingborg, ma non avevo alcuna idea di che cosa fosse il teatro; Hammaren me lo insegnò durante i quattro anni che rimasi a Gothenburg ». I suoi primi passi nel cinema ebbero l'aiuto di Alf Sjoberg. Ma l'insegnamento decisivo, dopo il primo film sbagliato, venne da Lorens Marmstedt. Tra le altre cose, « imparai da lui l'unica regola che non ammette eccezioni: bisogna guardare il proprio lavoro con grande distacco, bisogna essere severissimi con se stessi, in sala di proiezione, quando si rivede il materiale girato nella giornata ». Nell'esperienza teatrale un incoraggiamento proficuo gli giunse da Herbert Grevenius: si trattava di padroneggiare il dialogo come mezzo di espressione, e imparare a scrivere in maniera teatrale uno scenario. E finalmente la sicurezza nel proprio lavoro, quando incontra il produttore C. A. Dymling: tanto pazzo « da nutrire più fiducia nel senso di responsabilità di un artista creativo che nel calcolo dei profitti e delle perdite ». Da quel momento Bergman si trova in grado di lavorare con un 'integrità « che è divenuta l'aria stessa che respiro, ed una delle ragioni principali per cui non voglio lavorare fuori della Svezia. Nel momento - 21

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