giovane critica - n. 4 - apr.-mag. 1964

è educati da un padre nella regione evangelico-luterana, da un padre che possiede una devozione profonda, allora si sa che cos'è quella religione. Non c'è alcuna ragione di cominciare a gironzolare attorno ad altro, nella convinzione che possa soddisfare di più un intellettuale ». Tanto polivalente era questa ricerca di Dio che il Dr. Wieselgren, professore al Teatro Reale, antico insegnante di Bergman e di Bjornstrand, drammatizzava l'ipotesi di un dissidio inconciliabile: « Quanto alla posizione religiosa di Bergman, penso che egli possa dire come il padre del figlio ammalato: Credo. Adiuva incredulitatem meam! (M. C. IX 24) ». A sostegno di tale macerazione religiosa si citano i momenti in cui l'assalirebbe la paura della morte, contratta nell'infanzia, un senso cupo di inutilità, il peso della solitudine: << Nessuno - ripete il regista - può vivere con la morte, ed io mi sento la morte addosso ». Ma sull'altro versante, ecco una vita vissuta pienamente, equilibrata, ordinata, carnale, riparata egotisticamente dietro le opere e il lavoro: « lo non conosco che una sola lealtà: la lealtà verso il film a cui sto lavorando. Per esso potrei mentire, prostituirmi, rubare. Potrei persino uccidere i miei migliori amici se ciò fosse necessario al mio lavoro ». I rapporti con le donne sono numerosi, burrascosi, anch'essi contradditori, spesso addirittura crudeli. Le donne, dice, lo interessano tutte, ma più" come animali da esperimento che come essere umani. « Qualcuna mi piacerebbe ucciderla. Da altre vorrei essere ucciso ». Ma poi le parti si invertono, e la donna viene presentata come guida, come protezione, consolazione, chiarezza, forza vitale. In patria Bcrgman lavora appartato, anzi si isola e si lascia difficilmente accostare, polemizza con la gerarchia dei valori nel sistema svedese, non raccoglie troppe simpatie fra i suoi compatrioti. Eppure non riesce a lavorare distante dalla Svezia. All'estero viene assalito da quella che chiama la grande paura. Gli alberghi lo infastidiscono, il contatto col pubblico l'esaspera; soffre di claustrofobia, d'agorafobia, di misantropia. Egli stesso racconta la sensazione di gioia che determinò in lui la sua decisione definitiva di rifiutare una lusinghiera proposta del cinema americano: « ( .•.) pensavo che evidentemente sarebbe stato bello avere centocinquantamila dollari, che sarebbe stato piacevole avere delle rotaie non contorte, un carrello che non andasse in pezzi, una macchina da presa che non facesse un rumore d'inferno, che sarebbe stato certamente interessante permettersi, per una volta, di fare un film di costo forse superiore ai centocinquantamila dollari, e che ognuno è ben libero di sperimentare delle novità. Nonostante tutto questo, decisi di dir no all'offerta americana. Bruscamente, sentii una gioia violenta e un sollievo, ebbi una sensazione di sicurezza, la sensazione di chi si trova nella propria casa ». E, finalmente, parie lancia in resta contro certi miti svedesi della convivenza nel benessere, eppure al tempo stesso non perde occasione per proclamarsi conservatore: « Io non ho mai avuto bisogno di imborghesirmi. Sono sempre stato -17

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