Da Brecht a Pabst: licenze 'musicali e divergen~e politiche 1. - In un ciclo di proiezioni che il Cuc Catania ha recentemente dedicato al cinema tedesco degli anni 1930-33era compresa la Dreigroschenoper (L'opera da tre soldi) di G. W. Pabst '. La visione retrospettiva di questo film ha offerto lo spunto per uno studio di cui si offrono qui i primi risultati e le conclusioni provvisorie. Il punto di partenza ne è stato il confronto tra la diversa funzione della musica di Kurt Weill nel film e nella versione teatrale, come indice del e tradimento> compiuto da Pabst nei confronti del testo di Bertolt Brecht'· Questo tradimento, valutato sia in senso positivo che in senso negativo, costituisce una vecchia questione per la critica cinematografica, anche perché il rilievo del testo scelto da Pabst chiama in causa l'ingente problema dei rapporti tra testo letterario e film. Prescindendo da quest'ultimo problema, e accantonando per il momento le esigenze di un giudizio di valore sul film, ci pare che la lettura che Pabst ha fatto del testo brechtiano sia indicativa della profonda divergenza politica sui problemi dell'arte e della cultura che esisteva tra Brecht e Pabst solo in quanto spaccava anche tutto lo schieramento della sinistra europea. Visto in questa luce, il problema della Dreigroschenoper si connette con alcune delle questioni più dolorose e più vive della cultura europea tra le due guerre, che evidentemente trascendono la portata di queste note. D'altra parte la critica italiana ha individuato più o meno compiutamente la figura dei due artisti in questione, lasciando spazio solo per qualche nota in margine'· Pur sapendo non essere questo un 8correttissimo metro di giudizio critico, ci preme tuttavia additare come Pabst si sia in sostanza rifiutato alla occasione che Brecht gli aveva offerta, e non solo nella forma del testo di partenza, di realizzare un film ben più innovatore di quanto in effetti non sia; meglio, in altri termini, come la Dreigroschenoper film sia un esempio di come la rinunzia ad un determinato linguaggio artistico possa coinvolgere una necessaria rinunzia - anche al di là delle intenzioni dell'autore - alla carica ideologica che quel linguaggio esprimeva originariamente. Ci preme inoltre scartare subito l'argomento della differenza tra il linguaggio (lo « specifico >) delle due arti, teatro e cinema, se portato a sostegno della tesi della impossibilità di una traduzione dall'uno all'altro. Almeno se il problema è quello che si pone Bernard Oort parlando del nostro film •, cioè il divario tra il cinema « fondato sull'identificazione>, e il teatro brechtiano fondato sull'effetto di straniamento, la risposta è unica, è quella data dallo stesso critico: che lo straniamento è solo il mezzo di cui Brecht si serve per mostrare le contraddizioni della società borghese, e non un elemento ontologicamente componente del linguaggio teatrale. (Tra l'altro non pare per nulla pacifico che il cinema - quello d'arte - sia fondato sull'identificazione: la polemica brechtiana contro lo spettacolo-narcotico si estende da sé al cinema industriale). Sembra indubbio che Brecht rifiutò di avallare la versione filmica di Pabst non in quanto nonteatrale, ma in quanto non-dialettica (quindi, a suo modo, propriamente non-filmica). Si può dimostrare
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