traverso le grandi organizzazioni pubblicitarie che procurano scambi ufficiali di favori>. L'acceso dibattito svoltosi sulle modalità dell'assegnazione dei « nastri d'argento> (i premi che ogni anno il sindacato assegna attraverso un referendum tra i soci ai migliori film, ai migliori attori, registi, sceneggiatori, ecc.) è r.tato in questo senso rivelatore. Un gruppo di critici proponeva, dopo lo scandaloso nastro d'argento assegnato a Gina Lollobrigida per la sua mediocre interpretazione di Venere imperiale, che le schede del referendum venissero rese note ai soci del sindacato attraverso un apposito bollettino. In tal modo, si sosteneva, non solo ci sarebbe stato un maggior controllo da parte dei votanti, ma si sarebbe anche potuto verificare alla luce del sole quali fossero i critici che, ubbidienti alle sollecitazioni provenienti dagli uffici stampa, avrebbero dato il loro voto alle Lollobrigide degli anni a venire. E' noto infatti che, nei giorni immediatamente antecedenti le premiazioni, le organizzazioni pubblicitarie si premurano di far pressioni sui giornalisti votanti, consigliando persino, attraverso graziose lettere, i nomi da votare. La proposta ha sollevato un vero putiferio, e divertenti reazioni. I contrari adducevano i motivi più sottili per giustificare la loro ostilità: da una parte, c'era chi diceva che la pubblicazione dei voti avrebbe provocato «liti> all'interno del sindacato; dall'altra, che certi attori, vedendosi « traditi> dai critici amici, avrebbero tolto loro il saluto; infine, che essendo le schede più di 200, avrebbero richiesto troppe pagine di ciclostile ... Chi si è avvicinato molto alle vere ragioni di questa contrarietà è stato un membro del direttivo quando, preso dal nervosismo, ha gridato che la proposta era inaccettabile perchè e: sappiamo tutti che metà del sindacato ha legami con la produzione! >. Naturalmente la mozione è stata bocciata a larga maggioranza. I giornalisti potranno solo consultare le schede di votazione depositate pres6so un notaio (non è mancato tuttavia chi voleva proibire una cosi irriguardosa consultazione). L'assemblea ha invece approvato la gravissima proposta, avanzata dai soci che svolgono anche funzioni di capo ufficio stampa nelle più importanti organizzazioni produttive, di considerare appunto la I semplice qualifica di « capo ufficio stampa» sufficiente per l'ammissione al sindacato. Tale mozione, ora diventata articolo operante del regolamento della commissione di revisione, apre pericolosamente e ufficialmente la porta del sindacato alla pubblicità cinematografica, aggravando i legami con l'industria del film purtroppo già cosi palesemente riconosciuti. Per appartenere al S.N.G.C. non occorre più saper scrivere articoli sul cinema; basta essere il « publicity man» di un produttore; basta saper lanciare un film, con slogan appropriati; saper mettere in mostra una diva, con foto succinte nei rotocalchi e conferenze stampa ad effetto; basta soprattutto riuscire a convincere in vari modi i colleghi del sindacato a pubblicare sui loro giornali più foto, più notizie, più recensioni favorevoli possibile. La proposta è « passata> all'ultimo momento, ad assemblea quasi deserta, con un lievissimo scarto di voti ( 17 contro 15) mentre due critici titolari in quotidiani democratici inspiegabilmente si astenevano. La libertà culturale del sindacato riceve cosi uno smacco senza precedenti, che non dovrebbe lasciare insensibile il consiglio direttivo e i giornalisti più responsabili, anche se nomi di capi ufficio stampa sono persino presenti nelle cariche sociali. Oltretutto l'articolo approvato è contrario allo spirito dello statuto, laddove questo fa "speciale riferimento ai problemi artistici e culturali> a cui il sindacato dovrebbe particolarmente « giovare > con opportune iniziative. Non si vede come la presenza massiccia dei professionisti della propaganda cinematografica potrà incrementare lo svi-
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