giovane critica - n. 3 - feb.-mar. 1964

1. - Lei pensa che si possa parlare oggi di una << morte della provincia » nell'accezione delineata da Ferretti? O che si debba piuttosto parlare di « neoprovincia » e di « neoprovincialismo » cioè di mutamenti effettivamente avvenuti ma che riguardano solo certe zone della provincia e, comunque, nei loro aspetti esteriori e di costume? 54 - La mia esperienza di scrittore 1n provincia La provincia è morta perché tutto il mondo, oggi, è provincia. Provincia dico, nel senso deteriore. Non c'è niente di più deteriormente provinciale, per esempio, degli avanguardismi che si svolgono oggi a livello delle capitali culturali e che nella provincia geografica trovano immediate rifrazioni: velleità ed escogitazioni in cui si raccoglie, in definitiva, la cattiva coscienza di un paese ( espressione che giustamente Ferretti usa nei riguardi della provincia di ieri). La provincia, quella che fino a quindici anni fa ( all'incirca) era area di ritardo e confusione culturale ( ma che pure, nonostante il ritardo e dentro la confusione, obbediva a un compito, per così dire, « preparatorio »), oggi non esiste più: e non occorre enumerare quegli strumenti che l'hanno portata al livello dei « centri » o che, piuttosto, hanno portato i « centri » al livello della provincia. Perché si va tutti a scuola, ormai: ma non è poi un gran guadagno se la scuola subisce un evidente processo di degradazione e disgregazione. E se vent'anni fa la provincia consumava ancora D'Annunzio mentre i « centri » già consumavano Proust, e invece tre anni fa Musi! è stato uniformemente consumato da Torino a Pachino, non c'è gran che da esultare: ché dopo tutto D'Annunzio lo si consumava leggendolo e Musi! semplicemente acquistandolo. Ed è senza dubbio un fatto positivo che la provincia abbia perduto, nel livellamento, quei caratteri dannunziani che le erano propri ( anche prima di D'Annunzio); ma bisogna considerare che ha perduto anche quei caratteri « umanistici » che pure resistevano sotto il ciarpame dannunziano e che erano poi viatico ai migliori che se ne svincolavano. La scomparsa degli eruditi locali, che non raramente arrivavano a dignità di storici, io ritengo significhi perdita per la cultura nazionale. Un giovane si sentirebbe sminuito, oggi, a dedicarsi a un'onesta ricerca sulla storia del paese natale: vuole « meditare » sulla storia, occuparsi delle teorie storiche di Toynhee o di Ortega. Il che è propriamente provinciale. Ma ciò non accade soltanto nella provincia geografica.

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