bile; basti un esempio, tra i molti che potrebbero prodursi: per i cinquecenti• sti toscani speci!ico della pittura era il disegno prospettico e quel mito ha ali• mentato la grande arte di quel tempo; ad esso è succeduto il mito della luce, che ha caratterizzato tutta la pittura valida da Caravaggio a Renoir. Nulla osta dunque, in principio, a una evoluzione anche dello specifico cinematografico ». Al quale proposito, si devono ricordare le intelligenti argomentazioni di A. Bazin (part. nel n. l, 1950 dei Cahiers du cinéma, trad. it. Filmcritica n. 122-123, 1962). Nell'evoluzione del linguaggio ci• nematografico. Bazin distingue tre fasi: la prima contraddistinta dal montaggio creato dai grandi film sovietici e dal· l'esperienza dell'espressionismo (la creazione di un significato che le immagini oggettivamente non contengono e che deriva soltanto dal loro rapporto in !or• ma di metafore, simboli, analogie, ecc.). Ma la nozione generalmente ammessa del montaggio come essenza dell'arte cinematografica viene messa implicitamente in causa, fin dal cinema muto, da registi come Stroheim, Mumau o Flaherty. Il montaggio, nei loro film non ha praticamente altro ruolo che quello, puramente negativo, di inevita• bile eliminazione in una realtà troppo abbondante. Se si cessa di considerare il montaggio e la composizione plasti• ca dell'immagine come l'essenza stessa del linguaggio cinematografico, l'appa• rizione del suono non rappresenta più la linea di frattura estetica che divide due aspetti radicalmente differenti del• la settima arte. Era sembrato che a causa della pista sonora un certo ci• 42 - aspettiamo lo stimolo ad una riflessione sui fatti, vale a dire il mondo delle idee che prendono corpo, le allusioni e i simboli della sorte umana. I teatranti che rincorrono affannosamente nella messinscena il naturalismo di una verosimiglianza puntigliosa disabituano lo spettatore ad ogni sforzo che converta i segni del mondo fenomenico in motivi di tensione interiore, e lo inducono a confronti disastrosi, per esempio, con la verosimiglianza raggiunta dalla narrazione cinematografica: e come potrebbe, in questo, il linguaggio teatrale gareggiare con la macchina da presa? Quel mondo delle idee del teatro consegue, sì, una concretezza precisa ma nel vivo della rappresentazione, quando interpreti e spettatori si «toccano» e vivono, partecipando comunitariamente nel presente, l'azione scenica. Dalla platea come dal palcoscenico si avverte questo scambio. Preferisce recitare nel cinema, nella televisione o a teatro?, chiedeva tempo fa un giornalista a Lea Padovani. « Certamente a teatro, perché consente di entrare nel personaggio, di svolgerne la psicologia e le reazioni dall'inizio alla fine, senza dispersioni ed interruzioni; e anche perché consente il contatto diretto con il pubblico: alla terza battuta che pronuncio in palcoscenico, sono in grado di 'sentire' l'umore del pubblico, l'atmosfera della serata, il calore dell'attenzione. Questo accade molto raramente nel cinema, mai in televisione». In effetti, il teatro non si presenta solo nella compiutezza dell'opera letteraria e dello spettacolo nel senso tradizionale della parola, ma si presenta come fatto connaturato ai gruppi umani intesi come « comunione > come unità psicologica. Tendenza a costruire ritmi con i movimenti del corpo, a rappresentare con la plasticità delle membra, a narrare con la mimica, a commentare la parola col gesto, a trasferire la vita nella finzione: ecco le forme elementari nelle quali si manifesta l'innata attitudine dell'uomo al teatro. Nella sua tradizione classica il teatro è sempre stato uno spettacolo straordinariamente stilizzato e dominato da convenzioni. Siffatte convenzioni sono storiche e legate ad una situazione sociale. Il teatro era fatto per una parte della società, assai ridotta: un pubblico di corte, di nobili e borghesi elevati (magistrati, insegnanti, ecc.), un pubblico disposto ad accettare certe convenzioni astratte, stilistische, senza di cui le figure non prendono caratteri di arte. Tutto questo è durato per millecinquecento anni, poi è venuto a cessare. Nell'Ottocento inizia il teatro naturalistico, veristico; già prima dell'Ottocento si era diffuso l'entusiasmo per l'attore, che rompeva lo stile e s'immedesimava nel personaggio (non cosl gli attori tradizionali). Il teatro, dall'Ottocento in poi, si è preoccupato di far coln-
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