giovane critica - n. 3 - feb.-mar. 1964

40 - tolosamente i propri libri «tagliandoli» in vista di una riduzione cinematografica, altri compaiono come sceneggiatori e consulenti. La produzione cinematografica in parte ne guadagna, fa qualche scorpacciata dotta, si sgrossa: ma nel contempo rischia di castrare la forza vitale del linguaggio. La trattazione delle pagine precedenti dimostra, credo, l'inconsistenza di parentele artificiosamente combinate fra il cinema ed altri mezzi di espressione, e tuttavia anche l'inconsistenza di uno specifico individuato nella sfera della grammatica, della poetica, della tecnica. Allora non esiste il cinema come autonomo fatto di cultura e linguaggio distinto da altri linguaggi? Certo che la distinzione esiste, ma va individuata storicisticamente, ricavandola dalle opere concrete, nei momenti precisi e circostanziati, e non nelle categorie astratte: non una questione di principio, come se il linguaggio cinematografico fosse legato all'espressione di certi contenuti e non di altri. La tendenza odierna del linguaggio cinematografico presenta questi elementi fondamentali: un intreccio di verosimiglianza e di fittizio, favoloso rrisponde la ballerina Maria Germonio, di ventuno anni, ad un tale che svolgeva una inchiesta sugli spettatori: il film è più bello della verità (perché in esso "gli uomini non hanno fiato, non hanno puzzo o profumo, i baci non hanno saliva>) l; poi l'articolazione veloce e concreta, la concentrazione di tempo, l'azione improvvisa e momentanea (dice un altro spettatore, l'operaio metallurgico Antonio Costa, di trentadue anni: « Potrei leggere, è vero; ciò non mi è possibile, però, per molte ragioni. Intanto per il tempo che mi manca, e poi perchè qualunque autore di libri spreca troppo spazio nel descrivere ora l'autunno, ora la primavera, ora i mobili di una stanza, ora i vestiti dei personaggi. E' una cosa deprimente. Il cinema invece è molto più semplice: le sue descrizioni sono immediate, le scene rapide e chiare: sono le immagini e non tante parole che ci danno il racconto»); il senso materiale e corposo delle cose sullo schermo: ombre ma con facoltà di evocare spessori reali, che il movimento, e l'urgenza della materia prima, colta nel movimento, analiticamente, dispongono secondo successioni e cadenze che permettono allo spettatore di entrare quasi fisicamente nella vicenda e nell'opera (ma senza essere carcerato al punto di vista dell'immagine, assoggettato senza rimedio); poi il fatto che il cinema opera con un materiale esistenziale, inclinando ad una visione fenomenologica: situazione che non si era mai posta in questa misura In nessuna altra arte.

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