giovane critica - n. 3 - feb.-mar. 1964

nero > degli anni sessanta - non sono certo molto mutate, allorchè si consideri la funzione del loro obiettivo predominante: ingannare e distogliere dai problemi autentici ed essenziali. All'idillio si è costituita la furia, a un mondo e bucolico > un mondo « di notte >, agli screzi amorosi gli stupri, alle bonarie cazzottature fra compaesani i delitti più efferati, alle pene d'amore la sempre più frequente soluzione del suicidio indiscriminato: ma nulla in effetti è cambiato, specie per quanto riguarda i risultati immediati, le pratiche eccitatorie e di attrazione, i diversivi dello spettacolo aberrante. Si sono invece trasformate le tecniche, modificati i moduli descrittivi: e se il e realismo ameno > - a chi appena fosse stato in grado di subire un primo processo di decantamento - non poteva che rivelarsi come Arcadia, e quindi denunciare in se stesso i propri limiti che potevano ottenere efficacia soltanto sulle anime più semplici o più corruttibili (com'era accaduto, vent'anni prima, per i e telefoni bianchi > e per le commedie e ungheresi>), il caos attuale - grazie ai ferrei legami mantenuti con certe costanti dello spirito e della cultura moderne, sia pur fraintese e sterilizzate - può davvero essere equivocato e assurgere a filiazione di quel e realismo> autentico che in genere (pur prediligendo una o l'altra delle sue tante varianti) si continua ad auspicare. I gradevoli drammi, le compiacenti commedie di costume (o in costume), le soddisfatte inchieste, i ben modellati squarci ambientali che tanti distintissimi signori autori pongono in scena per il diletto e l'edificazione del colto pubblico e dell'inclita guarnigione, si raccolgono infatti, idealmente ed esplicitamente (attraverso un ben orchestrato gioco di e presentazioni>, patrocini! e lenocini!, sapienti Interviste e commosse dichiarazioni, ire a stento trattenute nei confronti dei poteri costituiti e fiduciosi omaggi agli stessi), sotto l'accogliente gonfalone, stinto ma sempre prestigioso, della e realtà >, unica dominatrice e dea. Non importa poi se, nella maggior parte dei casi, le banderuole che tremolano sotto la vacua spinta dell'alito di una piccola e claque > si intestano invece, secondo le mode, all'Irrealismo e all'irrazionalismo, allo spiritualismo e al qualunquismo, al progressismo e al populismo. Il lettore forse si attenderà, giunti a questo punto, che gli si fornisca un preciso elenco di titoli e di nomi, una meditata e approfondita analisi dei motivi in cui si identificano i pericoli citati, e delle relative attribuzioni di responsabilità che provocano le nostre apprensioni. Per il momento, non vorremmo invece indicargli tale elenco di titoli e di nomi. E non certo per un pavido atteggiamento di attesa o per un'esitazione ad esemplificare. Vogliamo viceversa sottoporre il lettore-spettatore a una piccola dose di e suspense > morale, insediare in lui il dubbio su ogni cosa (fatte le rarissime ed evidenti eccezioni) gli venga prospettata nel buio delle sale cinematografiche, consigliargli a esempio di insospettirsi - è un esempio, forse soltanto un gioco - ogni qualvolta il titolo di un film corrisponda a un termine astratto: che so, noia, corruzione, successo... E questo per un motivo semplicissimo: che oggi si attenta, volutamente o involontariamente, alla sua integrità (o alla sua integralità, il che è la stessa cosa) - sua, cioè dello spettatore, del cittadino, dell'uomo - e che vi si attenta muovendo appunto da termini astratti, da astratte innovazioni e nuove istituzioni, allo scopo di intaccare tutto quanto ancora sopravviva di concreto e di reale. Una cosa - tanto per chiudere questo sproloquio che a taluni potrà sembrare dettato unicamente da acrimonia giovanile o da Irruenza barricadiera - è infatti certa: la perdita di contatto fra il cinema Italiano degli anni sessanta (direttamente, in questi suoi prodotti altamente evasivi; Indirettamente, In altri che ne subiscono il processo disattivante, pur conservando qualità di giudizio e di espressione) e l'autentica - 13

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