capaci di impostare a ritroso una «nuova» visione dei rapporti associativi, dei fondamenti sociali e psicologici, delle connessioni fra e problemi > individuali e manifestazioni collettive e del loro reciproco conformarsi e vicendevole inserirsi. Non più, quindi, in questi perniciosissimi « film medi>, quel e realismo ameno>, quel e clima cordiale e bonario>, quella e cornice rurale> che parevano d'obbligo nelle citate (e in altre) filiazioni spurie del primo neorealismo. Oggi subentra, piuttosto, un « realismo fotografico>, altrettanto ben verniciato e ancor meglio rifinito nei particolari esterni, nella cura morbosa per il dettaglio, per l'c autenticità> dell'oggetto ripreso e angolato sotto tutte le varianti possibili: e tale «realismo>, in conformità ai tempi (anzi, per la propria funzione eversiva, in contrapposizione a essi: al e rosa> degli e anni magri> si sostituisce il «nero> degli e anni grassi>), non è più «ameno», bensì cinico, violento, disperato, sprezzante, autolesionistico nei confronti di ciò che si descrive e si esprime. Un cinema, profondamente e inevitabilmente «immorale>. laddove - cogliendo certi aspetti del costume contemporaneo - è moralistico e non moralizzatore, e - stigmatizzando apparentemente questi stessi aspetti, in realtà ritenendoli immutabili e immodificabili, proponendoli anzi come elemento connesso alla presunta e natura> di una e latinità> di nuovo trionfante - sostituisce una morale di comodo, retriva e ipocrita, a un'autentica amoralità (che presupponga quindi, polemicamente, una presa di posizione ideologica) o addirittura a una nuova morale, quale però potrebbe logicamente scaturire soltanto da una rivoluzionaria concezione e strutturazione dei rapporti fra Stato e classi, fra comunità e governo. Ecco - ed è in questo preciso punto, che la nostra prospettiva si distingue da quelle fariseicamente moralistiche di tanti ambienti cattolici, e chiarisce l'impossibilità di equivoco e di identificazione con le igno12 - bili operazioni censorie e repressive in atto da sempre - il momento nodale della polemica. I discorsi sulla libertà sono sempre astratti e controvertibili: e patrocinare, difendere e sostenere strenuamente una « libertà d'espressione» (ancor più che una vaga « libertà dell'arte>, secondo la nota distinzione operata da Aristarco) non significa certo voler accettare una precisa « libertà dell'osceno», di un vuoto pornografismo fine a se stesso, anzi utilizzato - alternativamente o contemporaneamente - a scopi solleticatorii e vessatorii. Parimenti, evitare di scandalizzarsi, anzi invocare, di fronte all'esposizione di problemi sessuali esaminati in un contesto socio-psicologico o alla descrizione degli stessi rapporti amorosi in funzione chiarificatrice e senza filisteiche inibizioni (dissolvenze), non significa applaudire esibizioni ammollienti e pacificatorie di nudità femminili e maschili, insistite e insistenti volgarità, doppi sensi e gesti plateali che costellano - fra il visibilio del pubblico - troppe sequenze e troppi personaggi del nostro cinema, più o meno recente. Il «letto» (a una piazza o matrimoniale, branda o alcova, divano o sedile d'auto, prato di periferia o tratto di spiaggia) pare oggi diventato il « set> di ogni tenzone, di ogni diatriba, di ogni polemica o rancore, di ogni ricerca di una soluzione qualsiasi o di ogni negazione di essa, con i risultati che tutti possono constatare (a esempio, che, fra tanto spreco di lenzuola, non si sa più fare all'amore). All'ironica e amara citazione di Muscetta - « Se ci sono state delle cosce sulla via del progresso, mostriamone altre sulla via di Damasco> - si potrebbe aggiungere: e altre ancora sulla strada balzellante e intimidatoria del neocapitalismo, sia nei prodotti da esso direttamente sovvenzionati e ispirati, sia in quelli che paiono voler opporre alla nuova « mistica del successo > discrete insofferenze. Le chiavi, le corde - dal tenue « neorealismo rosa> degli anni cinquanta all'aggressivo < realismo
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