giovane critica - n. 3 - feb.-mar. 1964

A ben vedere - mentre scrivo vado chiarendo a me stesso le mie ragioni - è in queste due pantomime che io rintraccio il primo germe dell'idea: nelle perdite cui, dal mio punto di vista, dovevo sottoporle per farle rientrare nella dimensione teatrale, perdite annullate poi da Frondini nel suo lavoro di sviluppo e arricchimento teatrale delle due cartelle sottopostegli. Sentivo in Deus ex machina la mancanza della sensazione opprimente della scatola ambulante chiusa e soffocante, del mondo visto attraverso il parabrezza, del rumore e della massa degli «altri» automobilisti; parallelamente sentivo in Telesuicidio la mancanza della possibiìità di dare il senso di un fenomeno di massa, onnipresente e onnipotente, con i milioni di televisori accesi nello stesso momento davanti a milioni di persone. Frondini ha fatto un'arma di questa forzata rinuncia, riuscendo a condensare nella situazione singola della pantomima un valore simbolico universale, ma quelle possibilità non attuate avevano destato in me un processo che trovava il suo naturale sfogo, e l'adempimento di quelle possibilità, nel mezzo cinematografico. Queste due pantomime però, g.ià implicitamente <aperte, al nuovo mezzo, erano pur sempre a loro volta state stimolate dalle prime pantomime di Frondini, che contenevano quindi già i germi e la possibilità di questo sviluppo. Da qui l'opportunità di trasportare, se non l'intero spettacolo, tutto il suo materiale. O meglio, secondo la più precisa considerazione prima espressa, l'opportunità di assumere l'intero spettacolo come materiale d'ispirazione, cosa che però, logicamente, viene ad incidere profondamente sulla sua struttura, modificandola a volte radicalmente. Intere pantomime cadono del tutto addirittura: G. F. G. Hegel, ad esempio, per la sua dimensione mimica astrattamente ginnica, costruita su di un elemento puramente intellettuale, di cui solo il teatro può rendere adeguatamente la sottile operazione di 8positivismo logico demistificante certo linguaggio filosofico; 3333 Cella della morte, per il suo riferimento ad una realtà «precisamente» straniera, elaborata quindi, pur con molta efficacia satirica, solo parodisticamente, mentre a me si imponeva un nucleo autentico ed omogeneo di ambientazione della «nostra> società neocapitalista. Altre si ridimensionano radicalmente, come W la guerra!, ad esempio, che dovrebbe in cinema perdere quel carattere simbolicodidascalico un po' brechtiano e riferirsi più precisamente, magari in una dimensione fantascientifica, alla tragica-grottesca inadeguatezza dei persistenti miti militaristi di fronte all'agghiacciante prospettiva di una guerra nucleare, rompendo la sua dimensione chiusa di apologo per inserirsi nella vita di tutti i giorni. E' questo un po' quel che dovrebbe capitare a tutte le pantomime, che in teatro sono in sé formalmente conchiuse, separate da brevi presentazioni: lo sciogliersi fluidamente in quel « nucleo autentico ed omogeneo di ambientazione» di cui dicevo e che, grosso modo, dovrebbe essere costituto dall'habitat più comune del miracolo italiano: il grosso agglomerato di periferia, con i palazzi nuovissimi e le strade inesistenti, con il supermercato, le auto in sosta sempre più straripanti e il bar col juke-box e la televisione. L'individuazione di questo ambiente è una recente fondamentale acquisizione nel processo di elaborazione della trasposizione. Ancora nell'articolo precedente parlavo infatti di risolvere il problema dell'ambientazione cinematografica - in teatro la scenografia consiste in una serie di pannelli astratti - con una gamma di ambienti che, pur reali, non fossero « in fase » con l'azione, per la preoccupazione di giustificare stilisticamente le punte surreali dell'azione mimica. Citavo l'esempio di Anatomia di un funerale, in cui il macabro gioco per introdurre il morto nella bara, troppo piccola per la spilorceria dei parenti, mi sembrava

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