giovane critica - n. 3 - feb.-mar. 1964

GIOVANE CRITICA centro • un1ver si tari o • cinema tograf • lCO

3 GIOVANE ■ CRITICA ■■■ ■■■ :A.e ■■■ ce~tro univer 11■ s!tario cinema Febbraio - Marzo 1964 ■ ~ograf ICO direttore responsabile: comitato di redazione: redazione: copertina, tema gra6co c disegni: Pietro Battiato Miriam Campanella, Vittorio Campione, Gaetano Leo, Giampiero Mughini, Antonino Recupero e/o Giampiero Mughini, via F. Cilea 119, Catania Roberto Laganà L'abbonamento alla rivista - che dà diritto a quattro numeri e ai corrispoodeoti opuscoli è fiHato io L 1.000 da versare all'indirizzo rcda2iooalc. Uo numero separato: L 350 - no numero doppio: L. 500. Finito di stampare nella tipografia dcli' Univeuità di Catania il 29 febbraio 1964 Autorizzazione 3 gennaio 1964 n. 292 del Registro Periodici del Tribunale di Catania

sou1n1ar10 Png. 3 Roberto Prigione » 5 Giuseppe Ferrnrn » 7 Sergio Rngni " 10 Loren7'0 Pellizzari » t6 A,lclio Ferrero » 25 Giampiero Mughioi ,, 37 Pio Baldelli » ,15 Paul Louis Thirard » 54 Leonardo SciMcia " 56 Vittorio Campione Gabriele Di Stefano Zibaldone I problemi della formazione critica del pubblico Cinema, critica e pubblicità Ra~ioni e problemi di una trasposizione cinemato,ttrafica Noia, corruzione e successo Dibattito sui problemi della critica Scelte "tendenzione., e riconquista della razionalit,Ì Taccuino Aspetti ed episodi del cinema italiano Saggi e studi Film e opera letteraria Schede Tendenze e manifestazioni del recente cinema francese Cultura e provincia La mia esperienza cli scrittore in provincia Appunti per un lavor~ nella "provincia., catanese Recensioni

zibaldone I problemi della formazione critica del pubblico: lettera da Alessandria Diceva Carlo Lizzani nel lontano 1942,parlando della funzione conoscitiva e formativa del cinema italiano, che superata da parte del pubblico la « mitologia II del cinema, come strumento « magico ,, di espressione, ed evocatore di fantastiche vicende ed eterei eroi, « allora sentirà U bisogno di un nuovo calore che lo avvlcinl per un contatto più umano, meno mitologico, si potrebbe dire, più sociale al cinema, e incontrando chi potrà permettergli questo contatto, saprà allora distinguere tra ciò che è vita, sentimento e umanità, e ciò che da vita, da sentimento e da umanità si maschera 11. Da queste parole ora, a distanza di vent'anni, si può cogliere l'avvio per un discorso sul significato e sulle direttive di sviluppo che I problemi dell'organizzazione della cultura, e della formazione critica del pubblico banno comportato e tuttora Impongono a chi di queste istanze e di questi problemi è artefice e promotore: quello appunto di un contatto vivo, immediato, aperto con gli aspetti conoscitivi della cultura cinematografica, che a tutti I livelli, nella necessaria eterogeneità di modi, tendenze e orientamenti consoni alle varie « geografie ,,, hanno caratterizzato la vita e lo sviluppo del Circolo di cultura cinematografica. E vario, proprio in considerazione di queste esigenze, è stato Il loro cammino dal dopoguerra a oggi, passando via via attraverso una sempre maggiore qualificazione interna e una più viva penetrazione nel larghi strati del pubblico, da uno stadio che potremmo genericamente definire di apertura verso opere fino ad allora pressoché sconosciute, attraverso la essenziale fase di una loro verifica critica e ridimensionamento valutativo attento e meditato, fino ad una esigenza di puntualizzazione del problemi di cultura cinematografica ed alla « presenza ,, attiva e costante, costruttiva e di avanguardia, in questo senso. Nell'àmblto di queste prospettive e di questi orientamenti rientra anche l'attività del nostro Circolo del Cinema che nella vita ormai pressochè decennale ha visto consolidarsi la sua posizione e la sua precisa collocazione attraverso gli stadi di progressive acquisizioni, nella cui disamina è possibile cogliere emblematicamente, a mio avviso, I termini di caratterizzazione di un « tipico 11, ci si passi l'espressione, cineclub di provincia, nato vissuto e progredito in condizioni di torpore e di arretratezza culturale, ben evidenziabili ora come qualche anno fa, le cui origini risalgono sia a fattori locali e contingenti ben individualizzati nella mancanza di idonee strutture e strumenti di divulgazione culturale, di distacco, geografico e non, dal centri ed ambienti più avanzati e progrediti in questa direzione, sia per la apprezzabilissima opera di « progressiva » diseducazione che su larga scala lunghi anni di repressione censoria, mortificazione di idee innovatrici, di retorica educazione - informazione scolastica - hanno persistentemente generato, specie sul plano di una formazione civile e intellettuale. sorta dopo una precedente esperienza provvisoria quanto velleitaria durata U breve spazio di una stagione, senza indirizzi e scelte definite, la nascita di questa prima esperienza organica e motivata è da inserire In un risveglio delle attività culturali cittadine, dopo taluni provvisori tentativi del primo dopoguerra, che segnava significativamente l'incontro, fecondo di utili e costanti acquisizioni, tra la generazione di giovani del primo dopoguerra e I " nuovi II giovani, in via di formazione, ecletticamente attratti e stimolati da una molteplicità di interessi e aspirazioni, poi meglio delineatisi negli anni successivi, per I quali I Circoli di cultura e Il Circolo del cinema in modo particolare costituivano, allora come oggi, un Importante e valido strumento di formazione sul plano delJ'arrlcchlmento personale, come su quello più arduo e complesso dell'organizzazione della cultura. Caratteristica a questo proposito la composizione del primi -3

Direttivi che vedeva l'incontro cli elementi molto giovani, fra i quali studenti secondari e universitari, con persone in grado di orientare la pubblica opinione, cioè cli insegnanti, il cui contributo alla nostra vita è stato determinante, i quali, consci dell'importanza e della funzione cli una simile iniziativa hanno contribuito a superare i confini, angusti e schematici dei programmi retoricoinformativi della scuola, verso attività extrascolastiche in grado di ottemperare e cli completare in senso formativo, alle esigenze di un inserimento consapevole dei giovani nelle branche cli una cultura attiva, e attraverso cli essa nei più vivi problemi della società d'oggi. E non a caso l'incremento sempre crescente delle adesioni si è verificato proprio nell'ambiente studentesco, in ogni suo ordine e grado, con giovani assai spesso attratti da interessi superficiali quanto provvisori, da curiosità come da velleitarismo, ma ai quali va ascritto il merito di aver superato a volte anche in termini polemici e vivaci gli allettamenti cli quella pseudo-cultura snobbistica e salottiera che qui, come del resto assai frequente• mente in provincia si era sufficientemente sviluppata, uscendo cosl dal torpore dilagante per avviare una ripresa delle più autentiche tradizioni democratiche cittadine e cli aver colmato, nella misura di una folta partecipazione, i lacunosi precedenti di iniziative culturali, spesso nate, sempre in modo spontaneo e non incidente. Fonte di vantaggi, questa sempre crescente presenza studentesca, nell'àmbito di una precisa caratterizzazione, cli una vera fisionomia del nostro circolo, è stata altresl un limite più volte sperimentato nel corso della nostra esperienza, verso quel tipo di attività complementari alla proiezione dove l'assoluta mancanza cli abitudine alla cclettura critica » nel senso più ampio del termine, al ripensamento attento, come pure la inesistente attitudine al dibattito appassionato e aperto, al confronto di idee sui film o sui cicli presentati, che hanno segnato l'insuccesso più volte sperimentato -nei dibattiti interni riservati ai soci. Quando cioè il discorso, invece di incentrarsi e cli approfondire i temi di maggiore e talora contingente richiamo come le relazioni pubbliche su certe opere di prima visione di enorme popolarità, nelle quali l'affluenza è stata sempre crescente, era imperniato su problemi o aspetti meno noti, sia pure cli maggior interesse critico, nei quali veramente la funzione di stimolo e cli verifica, di esplicazione come di avvio culturale doveva raggiungere, almeno secondo le più ovvie previsioni, la sua più valida asserzione. Quali le cause? Più volte esaminate, di difficile individuazione, e talora insuperabili, sono da ricercare, a mio avviso, oltre alla succitata mancanza di idonee strutture, nella diffusa, sapientemente radicata diffidenza, imposta in modo sottile e persistente, verso un tipo di dialogo estremamente attivo, avanzato in un piano critico e culturale, in grado di 4fornire gli strumenti per uscire da uno stato di « ufficiale » conformismo e da un oscurantismo pressoché generale di derivazio. ne cattolica, per immettere in un àmbito attivo e aggressivo di inserimento cosciente nella cultura, e attraverso uno dei suoi aspetti di maggiore presa e comunicazione, quale è il cinema, nell'àmbito della realtà sociale e politica che ci circonda. Non ultima poi tra le cause esaminate è il limite della scuola, grave e diffuso, che nell'impostazione nozionistica e informativa, diseducatrice, anche negli studi di orientamento umanistico, nella schematicità eruditiva dei suoi programmi d'insegnamento, rivela profonde lacune sul terreno della formazione ci vile e culturale della nostra generazione, venendo a costituire, salvo le encomiabili eccezioni, sempre limitate al solo piano personale, un vero ostacolo ad una cultura che non voglia limitarsi allo sterile, accademico nozionismo per essere veramente espressione e coscienza attiva del proprio tempo. Questo il quadro generale, sommariamente delineato, questa la ccgeografia » reale e sociologica del nostro Circolo, dalla quale non è possibile prescindere per avviare un discorso, in costante sviluppo, sulle linee ideologiche e metodologiche che stanno alla base dell'attività stessa. Di fronte alla necessità di porre il pubblico di fronte a film ccleggendari » e di stimolarlo ad uno sforzo intellettuale di comprensione e di verifica, anche sommaria e talora superficiale, è stata cura dei primi Direttivi, il fornire una conoscenza in termini antologici di opere di sicuro valore artistico e culturale: da L'incrociatore Potemkin a La terra trema a Paisà per fare qualche esempio. Film in breve la cui risonanza e il cui interesse avesse modo di provocare reazioni appassionate e dissensi anche aspri, che in questo tentativo di trasformare la ccleggenda» in storia, int~oducessero altresl questo primo limitato pubblico con i termini più vivi della problematica della cultura cinematografica di quegli anni. E i dibattiti e i dissensi cominciarono a delinearsi, in modo talora assai vivace soprattutto all'interno dei direttivi stessi, ove nella continua verifica di opere e di autori, la cui conoscenza era stata fino ad allora precaria o anche inesistente, forniva lo spunto per uno scontro di metodologie e di schemi critici, in seguito poi meglio differenziatosi e definitosi nella permanente contrapposizione dialettica di posizioni e di orientamenti, che tutt'oggi sta alla base delle scelte e dell'impostazione stessa. Superato in seguito, nei termini di una graduale assimilazione, questo primo contatto con opere pressoché sconosciute, e dirozzato cosi sommariamente il gusto del pubblico, costretto ad una prima adesione intellettuale e critica, pur basata sulle !mpres-

sloni contingenti o sul confronto diretto e approssimativo, vi fu successivamente il passaggio ad una fase più attenta e Impegnata, originata da esigenze di inquadramento storicistico delle opere presentate su ben precisi canoni metodologici, imperniata su cicli e personali, caratterizzanti correnti e figure di fondamentale rilievo nella storia dell'arte cinematografica e base imprescindibile di conoscenza e di analisi per la comprensione e lo studio delle odierne espressioni. Varia e motivata la scelta ha avuto i suoi momenti più significativi nei cicli dedicati a Chaplin, Clair, Visconti, Bergman, il primo Antoniani, come pure all'espressionismo tedesco, a « film e società negli Stati Uniti d'America », al cinema Italiano degli anni di guerra; che nell'unitaria articolazione, hanno introdotto a quella che potremmo deCinire il momento ultimo, dove la risultante delle precedenti esperienze ha trovato il suo esito nel maturare di un più profondo impegno critico, di una raggiunta « presenza », avviata sul duplice binario della informazione, in senso lato, intorno agli odierni teml e tendenze della cinematografia, per supplire a gravi deficienze di carattere locale, inquadrata in una organica, definita scelta, e insieme della continua ripresa di importanti opere di sicuro valore del passato. Ed è in questa fase in cui, superato lo stadio introduttivo. formativo, dJ illustrazione e di commento, fornito fino ad allora dall'esilità dJ una provvisoria scheda esplicativa, il Circolo ha dato l'espressione dJ una raggiunta qualificazione, Inserendosi attraverso una precisa, pur limitata, caratterizzazione e prospettiva, nell'àmbito della pubblicistica cinematografica con l'edizione di un proprio quaderno, che nell'esigenza, ormai molto sentita di fornire un adeguato strumento di inquadramento critico del film presentati, come dJ puntualizzazione dJ temi e problemi di maggior interesse, e dJ primo avvicinamento per la maggioranza degli Iscritti con l'editoria specializzata del settore, è stata parallelamente un'esperienza dJ studio, dJ lavoro, dJ « formazione » individuale e dJ gruppo, che riteniamo oggi li punto dJ arrivo e al contempo dJ partenza, per quelle esigenze e quegli impegni, già delineati, che devono oggi essere alla base dJ una organizzazione della cultura. Roberto Prigione Cine,naJ critica e pubblicitcì. L'ultima assemblea sociale del Sindacato Nazionale Giornalisti cinematografici, tenutasi a Roma il 30 novembre del 1963, ha riconfermato il consiglio direttivo uscente con pochissime variazioni, ed ha nuovamente reagito con vigore, dopo un convegno organizzato a Milano, all'insensato licenziamento del critico Gino Visentini dal quotidiano Il giornale d'Italia, nei confronti del quale è stata decisa una nuova azione di protesta. Verso il critico che eventualmente accettasse di sostituire il titolare - licenziato per essersi rifiutato di modificare il suo giudizio secondo l'opportunità politica del giornale - saranno infatti presi « adeguati provvedimenti>. L'assemblea ha poi approvato e inviato all'ambasciata spagnola una mozione di protesta contro l'arresto del giovane poeta iberico Carlos Alvarez, detenuto sotto l'accusa di aver e denunciato la polizia> in una lettera indirizzata al critico cinematografico franchista Carlos Fernandez Cuenca; lettera che accusava decisamente Cuenca di «scorrettezza> per avere questi paragonato in una sua recensione Julian Grimau a Eichman. A giudicare da questi documenti battaglieri, da una nuorn mozione contro la censura e da un fermo richiamo ai soci che « a titolo personale> hanno fino ad oggi fatto parte delle commissioni censorie, il tono del Sindacato sembra essere piuttosto alto, e avere in gran conto la difesa della libertà culturale. Purtroppo, alle incoraggianti prove democratiche si sono affiancati, durante lo svolgimento dell'assemblea, mozioni e dibattiti che hanno palesemente confermato quanto era stato detto al convegno sulla critica di Porretta Terme. soprattutto nella relazione di Tommaso Chiaretti. E cioè che nella stampa cosiddetta di informazione « il legame tra industria cinematografica e industria editoriale è evidentemente molto stretto, naturale, si articola at- -5

traverso le grandi organizzazioni pubblicitarie che procurano scambi ufficiali di favori>. L'acceso dibattito svoltosi sulle modalità dell'assegnazione dei « nastri d'argento> (i premi che ogni anno il sindacato assegna attraverso un referendum tra i soci ai migliori film, ai migliori attori, registi, sceneggiatori, ecc.) è r.tato in questo senso rivelatore. Un gruppo di critici proponeva, dopo lo scandaloso nastro d'argento assegnato a Gina Lollobrigida per la sua mediocre interpretazione di Venere imperiale, che le schede del referendum venissero rese note ai soci del sindacato attraverso un apposito bollettino. In tal modo, si sosteneva, non solo ci sarebbe stato un maggior controllo da parte dei votanti, ma si sarebbe anche potuto verificare alla luce del sole quali fossero i critici che, ubbidienti alle sollecitazioni provenienti dagli uffici stampa, avrebbero dato il loro voto alle Lollobrigide degli anni a venire. E' noto infatti che, nei giorni immediatamente antecedenti le premiazioni, le organizzazioni pubblicitarie si premurano di far pressioni sui giornalisti votanti, consigliando persino, attraverso graziose lettere, i nomi da votare. La proposta ha sollevato un vero putiferio, e divertenti reazioni. I contrari adducevano i motivi più sottili per giustificare la loro ostilità: da una parte, c'era chi diceva che la pubblicazione dei voti avrebbe provocato «liti> all'interno del sindacato; dall'altra, che certi attori, vedendosi « traditi> dai critici amici, avrebbero tolto loro il saluto; infine, che essendo le schede più di 200, avrebbero richiesto troppe pagine di ciclostile ... Chi si è avvicinato molto alle vere ragioni di questa contrarietà è stato un membro del direttivo quando, preso dal nervosismo, ha gridato che la proposta era inaccettabile perchè e: sappiamo tutti che metà del sindacato ha legami con la produzione! >. Naturalmente la mozione è stata bocciata a larga maggioranza. I giornalisti potranno solo consultare le schede di votazione depositate pres6so un notaio (non è mancato tuttavia chi voleva proibire una cosi irriguardosa consultazione). L'assemblea ha invece approvato la gravissima proposta, avanzata dai soci che svolgono anche funzioni di capo ufficio stampa nelle più importanti organizzazioni produttive, di considerare appunto la I semplice qualifica di « capo ufficio stampa» sufficiente per l'ammissione al sindacato. Tale mozione, ora diventata articolo operante del regolamento della commissione di revisione, apre pericolosamente e ufficialmente la porta del sindacato alla pubblicità cinematografica, aggravando i legami con l'industria del film purtroppo già cosi palesemente riconosciuti. Per appartenere al S.N.G.C. non occorre più saper scrivere articoli sul cinema; basta essere il « publicity man» di un produttore; basta saper lanciare un film, con slogan appropriati; saper mettere in mostra una diva, con foto succinte nei rotocalchi e conferenze stampa ad effetto; basta soprattutto riuscire a convincere in vari modi i colleghi del sindacato a pubblicare sui loro giornali più foto, più notizie, più recensioni favorevoli possibile. La proposta è « passata> all'ultimo momento, ad assemblea quasi deserta, con un lievissimo scarto di voti ( 17 contro 15) mentre due critici titolari in quotidiani democratici inspiegabilmente si astenevano. La libertà culturale del sindacato riceve cosi uno smacco senza precedenti, che non dovrebbe lasciare insensibile il consiglio direttivo e i giornalisti più responsabili, anche se nomi di capi ufficio stampa sono persino presenti nelle cariche sociali. Oltretutto l'articolo approvato è contrario allo spirito dello statuto, laddove questo fa "speciale riferimento ai problemi artistici e culturali> a cui il sindacato dovrebbe particolarmente « giovare > con opportune iniziative. Non si vede come la presenza massiccia dei professionisti della propaganda cinematografica potrà incrementare lo svi-

luppo di tali iniziative; arriverà se mai ad ostacolarle o a piegarle agli interessi dell'industria cinematografica. Sembrerebbe opportuna la convocazione di una assemblea straordinaria che dibattendo a fondo e apertamente il problema, tenti di fugare una cosi grave compromissione tra giornalismo e pubblicità. Ne va della serietà, della forza culturale, della validità di un sindacato che, negli ultimi anni, ha sempre reagito alle pressioni reazionarie contro la cultura cinematografica. Ma non basta proclamarsi fedeli a principi libertari, se poi nel concreto, e cioè nei contatti diretti con l'industria, non si oppone un argine preciso. Giuseppe Ferrara la mente, vale a dire che lo spettacolo teatrale ha agito su di me come molla e fermento di ispirazione, e che quindi alla base dell'iniziativa non vi sono considerazioni di comodo, quali l'esser lo spettacolo già montato e ampiamente collaudato nella sua estrema popolarità. Se mai questa popolarità era la verifica pratica degli elementi essenziali di validità che appunto mi hanno colpito: prima fra tutti la capacità di sintesi satirica, immediata e universale, dello stile mimico di Frondini. Ma la vera molla è scattata nel momento in cui intuivo che, nella diversa dimensione stilistica del cinema, questo elemento, lungi dal cadere, si amplificava e si coloriva di nuove possibilità. Ho sempre nutrito diffidenza verso i vari neo-aristotelismi in ritardo bizantineggianti sui vari <specifici>. Senza mettere in dubbio la peculiarità di ogni mezzo espressivo, né tampoco riproporre un'idealistica e unità delle arti>, io sono infatti convinto che la realtà ispiratrice di un artista abbracci anche le opere d'arte de- Ragioni e problemi di una gli altri mezzi espressivi, che entrano perciò nel comtrasposizione cinematog·rafica Nel finale dell'articolo apparso sul numero scorso di questa rivista, Attualità della pantomima, ebbi modo di accennare alla possibilità di una trasposizione cinematografica delle pantomine di Giampiero Frondini del CUT Perugia, indicando alcuni dei più grossi problemi che immediatamente si presentavano. Mi è stato chiesto ora un approfondimento di questi problemi, che posso fornire in prima persona, perché, pur avendo collaborato molto marginalmente allo spettacolo teatrale, l'ambiziosa idea di una sua trasposizione in cinema è mia e, fino ad oggi, a parte alcuni colloqui sull'argomento con Frondini, mia è la prima elaborazione in proposito. Chiarirò subito che questa idea ml si è presentata come <necessaria> alplesso gioco del processo creativo, decantandosi, al pari degli altri elementi e reali > di ispirazione, nel risultato, raggiunto, è chiaro, con i procedimenti propri al mezzo impiegato. Le pantomime di Frondini sono state appunto per me una realtà stimolante che, col catalizzatore de! nuovo mezzo espressivo, si incontravano con altre realtà per me importanti, dando luogo a una nuova entità vitale. Quelle che ho chiamato e altre realtà per me importanti > sono oggi i miti inquietanti della e civiltà dei consumi>, la fessificazione progressiva operata dai mass-media, il lassismo vuoto di una dilagante, qualunquistica socialdemocrazia: il mondo, in br.eve, de La vita agra di Bianciardi, mondo che in parte avevo già fatto passare nello spettacolo teatrale nelle due pantomime, Deus ex machtna e Telesuictdio, di cui avevo scritto la sceneggiatura già sotto lo stimolo delle prime pantomime di Frondini. -7

A ben vedere - mentre scrivo vado chiarendo a me stesso le mie ragioni - è in queste due pantomime che io rintraccio il primo germe dell'idea: nelle perdite cui, dal mio punto di vista, dovevo sottoporle per farle rientrare nella dimensione teatrale, perdite annullate poi da Frondini nel suo lavoro di sviluppo e arricchimento teatrale delle due cartelle sottopostegli. Sentivo in Deus ex machina la mancanza della sensazione opprimente della scatola ambulante chiusa e soffocante, del mondo visto attraverso il parabrezza, del rumore e della massa degli «altri» automobilisti; parallelamente sentivo in Telesuicidio la mancanza della possibiìità di dare il senso di un fenomeno di massa, onnipresente e onnipotente, con i milioni di televisori accesi nello stesso momento davanti a milioni di persone. Frondini ha fatto un'arma di questa forzata rinuncia, riuscendo a condensare nella situazione singola della pantomima un valore simbolico universale, ma quelle possibilità non attuate avevano destato in me un processo che trovava il suo naturale sfogo, e l'adempimento di quelle possibilità, nel mezzo cinematografico. Queste due pantomime però, g.ià implicitamente <aperte, al nuovo mezzo, erano pur sempre a loro volta state stimolate dalle prime pantomime di Frondini, che contenevano quindi già i germi e la possibilità di questo sviluppo. Da qui l'opportunità di trasportare, se non l'intero spettacolo, tutto il suo materiale. O meglio, secondo la più precisa considerazione prima espressa, l'opportunità di assumere l'intero spettacolo come materiale d'ispirazione, cosa che però, logicamente, viene ad incidere profondamente sulla sua struttura, modificandola a volte radicalmente. Intere pantomime cadono del tutto addirittura: G. F. G. Hegel, ad esempio, per la sua dimensione mimica astrattamente ginnica, costruita su di un elemento puramente intellettuale, di cui solo il teatro può rendere adeguatamente la sottile operazione di 8positivismo logico demistificante certo linguaggio filosofico; 3333 Cella della morte, per il suo riferimento ad una realtà «precisamente» straniera, elaborata quindi, pur con molta efficacia satirica, solo parodisticamente, mentre a me si imponeva un nucleo autentico ed omogeneo di ambientazione della «nostra> società neocapitalista. Altre si ridimensionano radicalmente, come W la guerra!, ad esempio, che dovrebbe in cinema perdere quel carattere simbolicodidascalico un po' brechtiano e riferirsi più precisamente, magari in una dimensione fantascientifica, alla tragica-grottesca inadeguatezza dei persistenti miti militaristi di fronte all'agghiacciante prospettiva di una guerra nucleare, rompendo la sua dimensione chiusa di apologo per inserirsi nella vita di tutti i giorni. E' questo un po' quel che dovrebbe capitare a tutte le pantomime, che in teatro sono in sé formalmente conchiuse, separate da brevi presentazioni: lo sciogliersi fluidamente in quel « nucleo autentico ed omogeneo di ambientazione» di cui dicevo e che, grosso modo, dovrebbe essere costituto dall'habitat più comune del miracolo italiano: il grosso agglomerato di periferia, con i palazzi nuovissimi e le strade inesistenti, con il supermercato, le auto in sosta sempre più straripanti e il bar col juke-box e la televisione. L'individuazione di questo ambiente è una recente fondamentale acquisizione nel processo di elaborazione della trasposizione. Ancora nell'articolo precedente parlavo infatti di risolvere il problema dell'ambientazione cinematografica - in teatro la scenografia consiste in una serie di pannelli astratti - con una gamma di ambienti che, pur reali, non fossero « in fase » con l'azione, per la preoccupazione di giustificare stilisticamente le punte surreali dell'azione mimica. Citavo l'esempio di Anatomia di un funerale, in cui il macabro gioco per introdurre il morto nella bara, troppo piccola per la spilorceria dei parenti, mi sembrava

di cattivo gusto se inserito nell'ambiente di un « normale> funerale, mentre l'ambientazione, che so io, in un parco avrebbe risolto questa frattura. Ho capito poi che per questa strada - a parte il fastidioso ma significativo richiamo all'abitudine dei fotografi di riviste di moda femminile di far posare le loro modelle in ambienti non « in fase> con il loro abito - mi avviavo a devirilizzare quanto di «agro> le pantomime contengono, perchè la lacerazione e la tensione surreale era stata già operata nel tessuto dell'azione e una successiva tensione con l'ambiente, come due cariche di egual segno si annullano, avrebbe reso nulla quella prima e più importante lacerazione, confinando il tutto in un anodino mondo un po' strano, e che quindi non ci riguarda da vicino, come 11decorativo e metastorico limbo di un Marienbad divertente. L'ambientazione precisa e realistica dovrebbe invece potenziare le rotture surreali dell'azione, più di quanto non facesse la scenografia astratta teatrale, che forniva loro solo un pur efficacissimo spazio scenico. Certo alcune gags puramente divertite cadranno e altre vi si sostituiranno, sorte dallo stesso contatto col nuovo ambiente. La marcia funebre di Anatomia di un funerale, che in teatro è in sottofondo all'azione e che diventa sempre più veloce man mano che il corteo smette la sua aria compunta, per raggiungere infine toni addirittura frivoli, potrà essere sostituita efficacemente in cinema da un giradischi transistor portatile, che l'efficientissimo e organizzatissimo impresario ha con sè e nel quale inserisce una marcia funebre, poi sopraffatta, con effetto immediato sulla psicologia dei partecipanti, dai vari juke-box e radio incontrati per strada. E' un esempio che spero chiarirà la nuova dimensione che le pantomime dovrebbero assumere in cinema, dimensione che riconduce a contatto con la loro occasione reale 41 ispirazione quelle esasperazioni surreali con cui Frondini evidenzia gli innumerevoli inavvertiti esempi di assurdo della vita quotidiana, e che dovrebbe potenziare la loro chiara fruizione, al di là degli schermi distorcenti che la inevitabile stilizzazione astratta teatrale opera, almeno su certi livelli di pubblico. Tutti gli altri problemi cui accennavo nell'altro articolo si risolvono, con relativa semplicità, alla luce di questa impostazione fondamentale. A questo punto si potrà obbiettare: che cosa rimane dello spettacolo originale? Se mutamenti tanto profondi erano necessari a che pro' tentare la difficile operazione? Non valeva meglio importare un'opera del tutto originale? Risponderò: ne resta e parecchio. Restano appunto quegli elementi essenziali di capacità di sintesi satirica dello stile di Frondini, potenziati addirittura forse nel nuovo mezzo; resta, oltre al suo altissimo livello di interprete individuale, la sua capacità di creare una serie compatta di personaggi, estraendo il meglio anche dagli altri mimi. E resta soprattutto la perfetta idoneità della pantomima ad esprimere satiricamente un mondo in cui sempre meno si fa uso della parola, sempre più annegato com'è nell'orgia di rumori suoni e colori, a cogliere il ritmo progressivamente accelerato del suo cieco iperattivismo. Sergio Rngoi Già nell'ultima parte del suo precedente articolo (Attualità della pantomima) il nostro collaboratore Sergio Ragni aveva prospettato i problemi da lui affrontati nel tentativo di operare una riduzione cinematografica dello spettacolo di pantomime, Tirando a morire, approntato dal Cut perugino. Gli abbiamo perciò chiesto di svilupparli in un ulteriore articolo, proprio perché convinti della loro attualitll In un clima in cui la discussione sugli « specifici » è spesso veramente « bizantineggiante ». -9

In un memorabile saggio polemico del 1954, Cinema controrealista (ripubblicato in Realismo e controrealismo, Milano, Del Duca, 1958), Carlo Muscetta - condividendo almeno parzialmente le posizioni di Aristarco e di Chiarini e contraddicendo le opinioni e aristocratiche> di Di Giammatteo o quelle gesuiticamente e pie> di Gian Luigi Rondi - offriva una lucida analisi programmatica di tutto un filone evasivo ed eversivo del nostro cinema di allora che tendeva a identificarsi con il cinema italiano tout court. Il Muscetta esemplificava il suo primo dubbio sostanziale riferendo la storiella del veliero carico d'agrumi affondato per bombardamento nel porto di Napoli. « Ogni sostanza galleggiante, quel giorno, lieta di confondere il suo specifico odore tra l'insolito profumo di qualche bel frutto, danzava sulle acque e cantava: Oggi siamo tutti arance>. Per dieci anni - aggiungeva Muscetta -, chiunque abbia mostrato anche la più ambigua e la più vaga aspirazione all'epiteto di realista lo ha potuto sfoggiare quasi senza obiezioni: tutti realisti; e rilevava: « Oggi la critica comincia ad usare più sobriamente questo vocabolo e si comincia a intravvedere che, nell'àmbito della poetica predominante nell'arte contemporanea, una certa corrente, pur continuando a valersi dei modi formali conquistati dalle opere più avanzate, segue un indirizzo evidentemente reazionario>. Sono osservazioni, queste, che non possono oggi non svelare la loro completa e piena attualità, anche se necessita loro un inevitabile adeguamento (secondo le linee di una diversa condizione storica e di un mutato atteggiamento socio-psicologico) e se, a parere di molti, di troppi - lo sottolineo in funzione polemica - 10 - Noia, corruzLone e successo quel tale « realismo » non dovrebbe costituire più la « poetica predominante nell'arte contemporanea,, proprio come sempre quando accade che processi di «massificazione» e di teorizzata «alienazione> voluti da una certa « industria culturale » subentrino allo stadio artigianale della ricerca espressiva e del contatto uomo-società (quando, in altre parole, la « civiltà dell'immagine» si pone all'incondizionato e indiscriminato servizio di un'aberrante psicosi collettiva, e l'esperienza - intesa come possibilità di continuo confronto con la realtà sensibile, di cui siamo complici e compartecipi, e di meditato vaglio ideologico - cede il passo all'esperimento postulato come teorica dell'inconcluso, si tratti del!' «opera aperta> alla Eco o delle conseguenze di un « eclissi intellettuale> alla Zolla, cioè - per usare grezzi termini politici - della poetica programmatrice di « centro-sinistra > o di «centro-destra>, rispettivamente). Il Muscetta, scrivendo in quegli anni, ovviamente e giustamente si riferiva a esempi intitolati Due soldi di speranza e Pane, amore e fantasia, entrambi prototipi - in discendenza diretta l'un l'altro - di una diseducazione contenutistica (e, ancor prima, formale). Il primo « era gesuitico perchè ci presentava il quadro di una realtà tutta consolata e lambita da una luce di idillio, proprio quando questa realtà n!'llla storia che viviamo è caratterizzata da una tensione di cui ogni giorno vediamo i conflitti >; il secondo perchè - mutuando le parole dello stesso Muscetta - « moralizzava esteriormente una stari~, la quale, proprio nei suoi momenti poetici, appariva giocata su una finissima sensualità, che trascorreva musicalmente dai personaggi al paesaggio, (e quest'ultima affer-

mazione va considerata nei limiti del caso, dato che nel nostro testo d'avvio essa si riferisce al film di Castellani e non a quello di Comencini: il trasferimento ci è però parso ugualmente indicativo nel senso che intendiamo conferire a questo abbozzo di discorso). Una questione, quindi, di ipocrisia. Ma a chi, come 11 Di Giammatteo, sosteneva che e la dissimulazione, il sottinteso, la 'prudenza' hanno scacciato la vita: comicità e sesso si reggono sulle traballanti grucce della vita riflessa, del ripensamento morboso, dell'onanismo > e che e ne consegue una diffusa ipocrisia, e il Muscetta obiettava: e Ma perchè considerare l'ipocrisia un effetto? E perchè non ricercarla dove va ricercata; non solo nella censura (pretesto di viltà e di servitù volontaria, d'accordo), ma nell'autocensura dei soggettisti e dei registi, e innanzi tutto fra i produttori e i loro direttori spirituali e magari nella fundova, Marsilio, 1963), esprimeva il proprio disorientamento e la propria perplessità, quasi in senso di oppressione, e dinanzi al predominio clamoroso e aggressivo del dialetto e della dialettalità > in film allora recenti (da Due soldi di speranza o Le ragazze di Piazza di Spagna agli stessi Bellissima - ove Visconti avrebbe accettato e favorito e l'espressione di esuberanza dialettale > della Magnani - o Umberto D, ove tentazioni e pericoli in tal senso sarebbero però riscattati « nella linea asciutta e ben dominata del suo svolgimento>). Sono trascorsi, da allora, dieci anni, e molte cose sono mutate, anche nel cinema italiano. Ma, sotto diverse e ben più allarmanti forme, entro àmbiti assai più gravi e generalizzanti, lungo direttrici e costanti di estrema estensione, gli stessi problemi si ripropongono al nostro giudizio, investono tutto un contesto zione corruttrice dei loro uffici pubblicitari, e in certa. - cui assistiamo, spesso impotenti - che non è solcritica che spesso da questi uffici dipende, anche se sfoggia la più fiera indipendenza e le più elevate concezioni morali e politiche>? Sono parole che rivelano non solo una loro precisa attualità, ma quasi doti di preveggenza, poichè il fenomeno tracciato, se allora consisteva in una piccola e maldestra operazione trasformistica a livello artigianale, oggi - industrializzatosi e perfettamente impadronitosi delle più sottili tecniche di e persuasione occulta> e di tentato condizionamento (sia sul plano di massa sia sul plano di e élite >) - riveste toni e aspetti altamente preoccupanti e, quel che è peggio, assolutamente generalizzanti, coinvolgendo perfino rispettabili autori la cui buonafede e il cui impegno appaiono indubbi, e opere sostanzialmente insospettabili. Del resto vale la pena di ricordare che, già un anno prima del Muscetta, Claudio Varese, in un articolo altrettanto fondamentale, Involuzione dialettale del cinema italiano (pubblicato da Letteratura nel 1953 e ora incluso in Cinema, arte e cultura, Patanto limitato a una certa produzione cinematografica, bensl coinvolge addirittura un e modus vivendi>, un abito mentale, norme di pratico e teorico comportamento. Dai margini della vita associativa, cui era relegato proprio a causa di certe diffuse convinzioni (funzione di basso divertimento circense presso le e masse>, e di sterile godimento estetico presso le e élites ), il film - nonostante l'attività concorrenziale della televisione, o forse grazie al monopolio da questa esercitato (monopolio del divertimento evasivo di tutte quelle e pruderies > che i nostri connazionali sopportano ma non apprezzano) - è venuto via via occupando un'area sempre più vasta, se non in estensione, in profondità. Certi prodotti di e alta evasione > cui ci riferiamo in questa sede ottengono presso il pubblico medio delle città e dei maggiori centri di provincia (diciamo quelli con una popolazione superiore al 20-30.000 abitanti) un ampio séguito e un non trascurabile interesse. Non certo per pura e semplice combinazione, tali prodotti sono proprio quelli meglio -11

capaci di impostare a ritroso una «nuova» visione dei rapporti associativi, dei fondamenti sociali e psicologici, delle connessioni fra e problemi > individuali e manifestazioni collettive e del loro reciproco conformarsi e vicendevole inserirsi. Non più, quindi, in questi perniciosissimi « film medi>, quel e realismo ameno>, quel e clima cordiale e bonario>, quella e cornice rurale> che parevano d'obbligo nelle citate (e in altre) filiazioni spurie del primo neorealismo. Oggi subentra, piuttosto, un « realismo fotografico>, altrettanto ben verniciato e ancor meglio rifinito nei particolari esterni, nella cura morbosa per il dettaglio, per l'c autenticità> dell'oggetto ripreso e angolato sotto tutte le varianti possibili: e tale «realismo>, in conformità ai tempi (anzi, per la propria funzione eversiva, in contrapposizione a essi: al e rosa> degli e anni magri> si sostituisce il «nero> degli e anni grassi>), non è più «ameno», bensì cinico, violento, disperato, sprezzante, autolesionistico nei confronti di ciò che si descrive e si esprime. Un cinema, profondamente e inevitabilmente «immorale>. laddove - cogliendo certi aspetti del costume contemporaneo - è moralistico e non moralizzatore, e - stigmatizzando apparentemente questi stessi aspetti, in realtà ritenendoli immutabili e immodificabili, proponendoli anzi come elemento connesso alla presunta e natura> di una e latinità> di nuovo trionfante - sostituisce una morale di comodo, retriva e ipocrita, a un'autentica amoralità (che presupponga quindi, polemicamente, una presa di posizione ideologica) o addirittura a una nuova morale, quale però potrebbe logicamente scaturire soltanto da una rivoluzionaria concezione e strutturazione dei rapporti fra Stato e classi, fra comunità e governo. Ecco - ed è in questo preciso punto, che la nostra prospettiva si distingue da quelle fariseicamente moralistiche di tanti ambienti cattolici, e chiarisce l'impossibilità di equivoco e di identificazione con le igno12 - bili operazioni censorie e repressive in atto da sempre - il momento nodale della polemica. I discorsi sulla libertà sono sempre astratti e controvertibili: e patrocinare, difendere e sostenere strenuamente una « libertà d'espressione» (ancor più che una vaga « libertà dell'arte>, secondo la nota distinzione operata da Aristarco) non significa certo voler accettare una precisa « libertà dell'osceno», di un vuoto pornografismo fine a se stesso, anzi utilizzato - alternativamente o contemporaneamente - a scopi solleticatorii e vessatorii. Parimenti, evitare di scandalizzarsi, anzi invocare, di fronte all'esposizione di problemi sessuali esaminati in un contesto socio-psicologico o alla descrizione degli stessi rapporti amorosi in funzione chiarificatrice e senza filisteiche inibizioni (dissolvenze), non significa applaudire esibizioni ammollienti e pacificatorie di nudità femminili e maschili, insistite e insistenti volgarità, doppi sensi e gesti plateali che costellano - fra il visibilio del pubblico - troppe sequenze e troppi personaggi del nostro cinema, più o meno recente. Il «letto» (a una piazza o matrimoniale, branda o alcova, divano o sedile d'auto, prato di periferia o tratto di spiaggia) pare oggi diventato il « set> di ogni tenzone, di ogni diatriba, di ogni polemica o rancore, di ogni ricerca di una soluzione qualsiasi o di ogni negazione di essa, con i risultati che tutti possono constatare (a esempio, che, fra tanto spreco di lenzuola, non si sa più fare all'amore). All'ironica e amara citazione di Muscetta - « Se ci sono state delle cosce sulla via del progresso, mostriamone altre sulla via di Damasco> - si potrebbe aggiungere: e altre ancora sulla strada balzellante e intimidatoria del neocapitalismo, sia nei prodotti da esso direttamente sovvenzionati e ispirati, sia in quelli che paiono voler opporre alla nuova « mistica del successo > discrete insofferenze. Le chiavi, le corde - dal tenue « neorealismo rosa> degli anni cinquanta all'aggressivo < realismo

nero > degli anni sessanta - non sono certo molto mutate, allorchè si consideri la funzione del loro obiettivo predominante: ingannare e distogliere dai problemi autentici ed essenziali. All'idillio si è costituita la furia, a un mondo e bucolico > un mondo « di notte >, agli screzi amorosi gli stupri, alle bonarie cazzottature fra compaesani i delitti più efferati, alle pene d'amore la sempre più frequente soluzione del suicidio indiscriminato: ma nulla in effetti è cambiato, specie per quanto riguarda i risultati immediati, le pratiche eccitatorie e di attrazione, i diversivi dello spettacolo aberrante. Si sono invece trasformate le tecniche, modificati i moduli descrittivi: e se il e realismo ameno > - a chi appena fosse stato in grado di subire un primo processo di decantamento - non poteva che rivelarsi come Arcadia, e quindi denunciare in se stesso i propri limiti che potevano ottenere efficacia soltanto sulle anime più semplici o più corruttibili (com'era accaduto, vent'anni prima, per i e telefoni bianchi > e per le commedie e ungheresi>), il caos attuale - grazie ai ferrei legami mantenuti con certe costanti dello spirito e della cultura moderne, sia pur fraintese e sterilizzate - può davvero essere equivocato e assurgere a filiazione di quel e realismo> autentico che in genere (pur prediligendo una o l'altra delle sue tante varianti) si continua ad auspicare. I gradevoli drammi, le compiacenti commedie di costume (o in costume), le soddisfatte inchieste, i ben modellati squarci ambientali che tanti distintissimi signori autori pongono in scena per il diletto e l'edificazione del colto pubblico e dell'inclita guarnigione, si raccolgono infatti, idealmente ed esplicitamente (attraverso un ben orchestrato gioco di e presentazioni>, patrocini! e lenocini!, sapienti Interviste e commosse dichiarazioni, ire a stento trattenute nei confronti dei poteri costituiti e fiduciosi omaggi agli stessi), sotto l'accogliente gonfalone, stinto ma sempre prestigioso, della e realtà >, unica dominatrice e dea. Non importa poi se, nella maggior parte dei casi, le banderuole che tremolano sotto la vacua spinta dell'alito di una piccola e claque > si intestano invece, secondo le mode, all'Irrealismo e all'irrazionalismo, allo spiritualismo e al qualunquismo, al progressismo e al populismo. Il lettore forse si attenderà, giunti a questo punto, che gli si fornisca un preciso elenco di titoli e di nomi, una meditata e approfondita analisi dei motivi in cui si identificano i pericoli citati, e delle relative attribuzioni di responsabilità che provocano le nostre apprensioni. Per il momento, non vorremmo invece indicargli tale elenco di titoli e di nomi. E non certo per un pavido atteggiamento di attesa o per un'esitazione ad esemplificare. Vogliamo viceversa sottoporre il lettore-spettatore a una piccola dose di e suspense > morale, insediare in lui il dubbio su ogni cosa (fatte le rarissime ed evidenti eccezioni) gli venga prospettata nel buio delle sale cinematografiche, consigliargli a esempio di insospettirsi - è un esempio, forse soltanto un gioco - ogni qualvolta il titolo di un film corrisponda a un termine astratto: che so, noia, corruzione, successo... E questo per un motivo semplicissimo: che oggi si attenta, volutamente o involontariamente, alla sua integrità (o alla sua integralità, il che è la stessa cosa) - sua, cioè dello spettatore, del cittadino, dell'uomo - e che vi si attenta muovendo appunto da termini astratti, da astratte innovazioni e nuove istituzioni, allo scopo di intaccare tutto quanto ancora sopravviva di concreto e di reale. Una cosa - tanto per chiudere questo sproloquio che a taluni potrà sembrare dettato unicamente da acrimonia giovanile o da Irruenza barricadiera - è infatti certa: la perdita di contatto fra il cinema Italiano degli anni sessanta (direttamente, in questi suoi prodotti altamente evasivi; Indirettamente, In altri che ne subiscono il processo disattivante, pur conservando qualità di giudizio e di espressione) e l'autentica - 13

realtà che ci circonda. Questa però sarebbe una constatazione abbastanza peregrina, e non troppo originale o clamorosa. V'è, tuttavia, dell'altro. Si sta cioè creando, pezzo per pezzo, elemento per elemento, battuta per battuta, una e realtà» fittizia, una pseudorealtà, che cerca di convincerci e di condizionarci ulteriormente. Nel decennio neorealista, anche le opere minori o devianti vivevano (e valevano, talora) nella capacità di descrivere ambienti e situazioni e figure che risultavano pur sempre rintracciabili, confrontabili con i termini effettivi, capaci di destare saporosi e legittimi echi. Erano magari soltanto questioni di resa ambientale, di sfondi e contorni, di legami con motivi sentimentali e populistici: ma chiunque e ovunque poteva riscontrarsi, riconoscersi, muovere alla ricerca di se stesso e degli altri. Oggi, dopo il cupo e inerte quinquennio della crisi esplicita, assistiamo al lustro dell'apparente e boom> (cioè, sùbito dopo un timido avvio, della crisi implicita). Il nostro cinema, adeguandosi alle frange e ai miraggi del e miracolo », si è allora creato un proprio mondo fittizio, ove si abita in attici, si viaggia in spider, si frequentano locali notturni, si esercitano professioni eminenti, si veste con estrema distinzione (o con estrema goffaggine), si amano almeno due donne per volta, si sperpera in continuità e non si costruisce mai nulla (a qualunque piano ci si voglia riferire). 'Questo - paiono sostenere molti film recenti - è il vero mondo, l'autentico modo di vivere la propria vita. I problemi sono quelli della noia, della corruzione (al misticismo) e del successo (quando manca o non si completa con sacrosanta indifferenza): e non sono i problemi di una e élite~. bensl di tutti voi, poiché oggi non si può concepire un modo di esistenza diverso da quello che noi vi prospettiamo. Se non ci siete ancora arrivati, adeguatevi: ma in fretta, ché oggi tutto cammina sul piano della corsa a chi giunge prima, e un ritardo di qualche giorno o di qualche bi14glietto da diecimila vi può costare la reputazione. Che tu sia operaio, o rappresentante di commercio, o impiegato, o maestro elementare, o intellettuale, o grande industriale, altro non esiste; tutto si conclude in un piccolo quadrilatero che vede ai propri estremi la corsa al denaro, al sesso, al divertimento, alla truffa. Lo schermo, o chi per esso - i vasti interessi che si annidano attraverso i vari, misteriosi e infiniti finanziamenti dell'attività produttiva cinematografica, - tende insomma a persuaderci che una sola accomodante prospettiva ci possa venir offerta nei nostri rapporti con la collettività: l'ingannare per non essere ingannati, il sorpassare per non essere sorpassati, il disprezzare per non essere disprezzati. E il male risiede proprio non nell'illustrarci vizi ed errori e nel lasciare al nostro libero arbitrio la possibilità di una scelta, di un accoglimento o di una ripulsa; bensì nell'aver inventato, ricoperto di una patina attraente e illusoria e presentato con larghezza di mezzi e di suggestioni quel mondo fittizio cui si accennava: per convincerci che esso costituisca l'unica alternativa, che soltanto a esso si possa ricorrere nella ricerca di un modello di vita, e che - ormai i bombardamenti sono finiti - arance e altre sostanze galleggianti non possano che identificarsi nello stesso flusso maleodorante. Lorenzo Pellizzari

: . \·· : .. . . ... .. . ~-- ~ ·.: . . . dibattito • SU1 ... . . problemi clella

Gli impegni da ritrovare 16 - Scelte «tendenziose» e riconquista della razionalità Uno degli aspetti più seri e inquietanti del dibattito critico preesistente a Venezia, ma sollecitato da alcuni film « controversi ii della Mostra, proseguito a Porretta l'autunno scorso, continuamente riproposto dalle chiusure e delusioni dell'ultimo cinema italiano - da Antonioni a De Sica, da Fellini a Visconti a Zavattini ai « giovani » e giovanissimi, a vari livelli e tolte alcune poche eccezioni, si intende - è costituito a mio avviso da quella che ho già avuto modo di chiamare ( in un intervento su Mondo Nuovo, n. 27, del 13 ottobre 1963) la crisi della « tendenziosità >l, la sfiducia, più o meno consapevole e dichiarata, nel significato attuale di una battaglia per il realismo, e non - ché, in questo caso, avrebbe tutte le giustificazioni e i consensi - per un realismo illustrativo, consolatorio, oracoleggiante e neppure per un meccanico ritorno, di cui mancano le condizioni oggettive e soggettive, alla nozione di realismo degli anni '45-'48 o '55-'56, ma per un realismo critico, impietosamente aperto sull'oggi, acutamente rivolto a scrutare nelle innumerevoli pieghe e nei molteplici risvolti del presente, non sorretto da schemi catechistici, ma soltanto dalla fiducia nella capacità e nell'impegno conoscitivo della ragione, il sassolino che il Galileo brechtiano stringeva in pugno o faceva roteare impavidamente dinanzi a scolastici e a preti, con la loro pretesa di castrare la storia e soffocare le fonti stesse della vita. La sfiducia tende a propagarsi, sempre più insidiosa e a suo modo sicura di sè, preme dalle pagine delle riviste e persino dei quotidiani, risuona nei convegni, serpeggia persino in certi tatticistici tentativi di « ricupero », sempre in omaggio a una buona << politica delle alleanze >l, più frequenti di quanto non si creda. A Porretta, un garibaldino della ventiquattresima ora, arrivò a dire, con un sorriso sulle labbra, in un cospicuo intervento di tre minuti, che le posizioni di Cinema Nuovo gli sembravano francamente paleolitiche, o giù di lì. Ma, scherzi a parte, la situazione è davvero confusa e preoccupante, investe, al di là del cinema e della critica cinematografica, un po' tutto e tutti. Tant'è vero che recentemente uno studioso acuto e autorevole come Argan, dopo aver

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==