giovane critica - n. 1-2 - dic.-gen. 1963/64

La grande illusione 1 1 Regia: Jean Renoir; soggello: Jean ReMir; sceneggiatura e dialoghi: ç. Spaak; operalore: Matraa e CL Renoir; interpreti: /. Cabin, P. Fre,nay, E. JI on Stroheim. Anche a voler considerare le ultime manifestazioni artistiche dj Renoir come sintomatiche di quel processo di decawmento e di involuzione che ha via via appannato le più vive figure del periodo d'oro del cinema francese (Duvivier, Carné), non si può tuttavia sottovalutarne l'opera, specie quella degli anni 1937-'39, e il debito di riconoscenza dal quale sono a lui legati i registi delle generazioni successive. Maturatosi attraverso le esperienze dell'avanguaria ( il vecchio filni d'art) e del naturalismo, Renoir giunge al massimo della potenza e insieme raffinatezza espressiva e deU'affinamento dei suoi mezzi narrativi in seguito al vivificante contatto con quel periodo ili ardore democratico che veniva culminando nell'opposizione al nazismo e nella guerra ili Spagna, e, in Francia, nel Fronte Popolare. Questa passione democratica e popolare che lo spinge a guardare sotto una nuova angolazione i fatti umani è la stessa che gli fa realizzare dei film di propaganda « su commissione » del Partito Comunista Francese, e del sindacato operaio. Questa carica ideologica che rese tanto caro Renoir ai cineasti e agli intellettuali democratici, anche italiani, andrebbe oggi ridiscussa suUa base dell'approfondimento che l'esperienza di trent'anni di storia ha fornito. Ma se Renoir cade come latore di « messaggi » politici, l'emozione di un contatto con la sua opera rimane. In effetti Renoir ottiene nel corso della sua maturazione originali risultati di forza espressiva, ma neUo stesso tempo di naturalezza, di fluidità wscorsiva, sul piano strettamen~e narrativo. Renoir ha daUa sua parte la forza della naturalezza. I personaggi, privi deUa rigidità dell'esemplificazione compiono le cose più naturali nella situazione « scenica >l in cui l'autore li ha posti ed in cui li lascia agire: da Boilweu che vede in von Rauffenstein un uomo del suo mondo, gli si accosta: ne è attirato elettivamente. Un avveduto critico francese, Rougeul, ha a questo proposito eletto: « Ecco una particolare forma di internazionalismo, quello delle classi dirigenti o queUo delle vecchie caste decadute che, credo, non era stato mai espresso così potentemente al cinema ». Maréchal, dal canto suo, si lega fatalmente a Rosenthal. Coerenza ideologica quasi ingenua, come si vede, non strabocchevole, ma sorretta da una impalcatura narrativa che in definitiva ne è la giustificazione espressiva ed artistica. Renoir è senz'altro nel senso miglfore un narratore, capace da un canto di presentare personaggi concreti, reali, ma in una semplicità di linguaggio che può, ad una prima lettura sembrare addirittura elementare. Questa capacità di discorso cinematografico ha fatto scuola e vi si ricollegano i più giovani autori: nella maestria e nella padronanza del mezzo filmico. anche se, e il discorso ci porterebbe lontano, con implicazioni e scelte diverse. Allievi di Renoir furono, venticinque anni fa, Luchino Visconti; pochi anni fà, nella Francia di De Gaulle, i giovani leoni della nouvelle vague. Il film, pur conservando il carattere di accusa alla guerra, ( la « grande iUusione » deUa pace e della comprensione non è più tale: la guarwa di frontiera si rifiuta di sparare sui fuggiaschi) realizza una organicità narrativa, daUa quale, e soltanto daUa quale, l'ideologia ricava la sua forza di azione suUa realtà. E in questo svolgimento il film si vale di personaggi già così fortemente caratterizzati che qualcuno di essi è rimasto legato, nel mito cinematografico e popolare, all'attore che lo incarnava. La coerenza psicologica dei personaggi è una risultante spontanea - 93

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