8 D\.:\ILO DOLCI, Banditi a Partinico, Lateraa, 1955. uUa «colpa• cli essere nati a Partinico Dolci annota: « La medesima società che ha educato costoro comples.si,~amente con 296 anni scolastici (io 161; e quali scuole!), li ha poi 'educati' e li sta ~educando\ ancora (·ggi, con 714 anni e 10 megj cli carcere: oltre a due ergastoli, oltre le condanne che ancora sta impartendo, oltre 3 83 anni di confino, oltre a 43 anni di am.monizione, ollre le torture, le pallo11ole... E i bambini che stanno per andarci, in carcere?». la ogni «casa» di Partinico, rilevano Dolci e i suoi collaboratori, da sette a dieci a quattordici bambini, stipati in un"unica stanza; una donna che di figli ne ha avuti 12 - di cui 4 morta - ricorda che « a tempo di ~lussolini ci han• no dato un diploma con tulle le medagline »: la Patria è riconoscente, la miseria no, non si sazia mai. Ovunque malattie, « clibuli.zza », fame osc:e.,s.. siva e, sulJe pareti, 'immagiaj di santi, effigi di madonne, c;ioo a 63 in un'unica stanza: ogni santo una c.peranza. • MICIIELE PANTALEONE, op. cii., pag. 182. 1° C!r. il linalc che Rosi aveva in un primo tempo in mente (Tullio Kczich, op. cit., pag. 202). 11 {,a battaglia politica dei contadini del Sud nelle immagini del cinema italiano, dibattito sul film a/valore Giuliano eon interventi cli Pio Baldelli Pompeo Colajaoni e Francesco Rosi. io Mondo Ope'. raio n. 7, 1962; l'ioterveoto cli Baldelli è riportato nel suo recente volume, Sociolog·ia del cinema, Edi• lori Riuniti, 1963, pp. 61-75. 92 - Ortese - e di cui ci dà ampio ragguaglio, fra gli altri, Danilo Dolci: " Cà la guerra c'è sempre, dalla mattina alla sera », dice una donna di Partinico da lui intervistata•. Lo stesso dicasi per l'animatissima parte del processo, saturo di spunti e di rilievi critici: l'omertà pittoresca dei « picciotti »; l'albagia degli ufficiali chiamati come testimoni ma in realtà imputati; la fatica civile del magistrato - un eccellente Randone - destinata a logorarsi contro la barriera degli interessi costituiti, delle parentele politiche, delle complicità autorevoli ( nel gergo mafioso il magistrato che si affanna a cercare la verità viene chiamato " prisintusu »). A molte domande la sentenza non dà risposta; Pisciotta, che sa, viene messo a tacere: " Pare però - e si rileva anche dalla sentenza - che Pisciotta, a Viterbo, non avesse vuotalo interamente il sacco e che ben altre rivelazioni avesse ancora da fare in riferimento alle attività politiche della banda, ed ai numerosi sequestri di persona operati dalla banda per finanziare certe campagne elettorali. Sta di fatto che pochi giorni prima di morire avvelenato il bandito Pisciotta aveva chiesto al procuratore generale di Palermo un colloquio, precisando di voler rivelare tutta la verità sulla complicità di alcuni esponenti della mafia e della politica con la banda Giuliano. Il bandito è morto avvelenato proprio poche ore prima che i carabinieri si recassero a prelevarlo per accompagnarlo dal procuratore generale » •. E il film si chiude con l'immagine di un morto in una piazza siciliana, soVTimpressa una didascalia: 1960. La catena degli omicidi e delle vendette continua. il cancro - afferma eloquentemente Rosi - è ancora a ooi contemporaneo 10 • Se di limiti il film risente, non mi pare però che questi limiti si possano addebitare a una sua carenza sociologica, al non averci il regista informato su altre cause e ambienti, come pretende A. Bertini ( su Nuova generazione) quando rimprovera Rosi « di aver totalmente trascurato di indagare perchè il banditismo sia allignalo in quella zona e non altrove », il che significa, palesemente, chiedergli un film diverso da quello che ha fatto: voglio dire, non mi pare esatto rimproverare Rosi di aver omesso qualche « stazione » nel tracciare la via crucis dei contadini siciliani; questo limite del film, che c'è e che si traduce nella mancata storicizzazione di alcuni clementi ed episodi ( vedi la debole caratterizzazione della mafia) e nel raggelarsi, talora, di quella sensibilità così ricettiva e infiammata per i fatti crudi e febbricitanti, è piuttosto " dentro » l'opera, dentro la conformazione organica di essa, una caratteristica operante della vocazione creativa di Rosi. Ha scritto molto bene Baldelli: " L'incaglio non sta nel difetto di informazione, ma in una mancanza interna per la quale il regista partecipa fermamente a certe misure, per esempio quella della morte e quella dell'apertura verso gli oppressi e i miseri, e meno invece al momento dell'occupazione delle terre, al momento del legame con la mafia e con la classe dirigente democristiana, e, viceversa, al momento della presenza della 'giustizia' nell'opposizione politica e dei collegamenti storici ... A parte gli intenti civili, la mente e l'occhio di Rosi si accendono quando prende ad elaborare la materia delle impressioni vive, presenti, a portata di mano, nate con la scoperta, anche fisica, del mondo siciliano » 11 • Sono precisazioni non inutili in questi tempi di ripensamento e di verifica metodologica. Giampiero Mugbioi
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