giovane critica - n. 1-2 - dic.-gen. 1963/64

di gareggiare con una macchina più grossa della sua, simJJe a quella del suo capo u!ficio. Due pantomime, due morti; e almeno un morto per ognuna lo troviamo anche nelle altre, a giustificazione del titolo, a darci la misura di tutto quello che è passato, Beckett e Kafka compresi, da Making a livlng ad oggi. Se il tema di Telesuicidio infatti, può ricordare in qualcosa la famosa sequenza di Charlot al nastro di montaggio in Modem times, non è difficile sentire quanto lo stesso problema assuma qw una dimensione allucinante, che lo apparenta piuttosto ai migliori esempi di « science-fiction ». Ogni pericolo di sovrastrutture intellettuali irrisolte e velleitarie è però tenuto lontano dal vivo senso comico di Frondlnl, senso comico che la particolare chiave, « cinema muto », favorisce al massimo. Non per nulla l'intuizione dell'ancora inalterata e stimolante validità di questa chiave è venuta a Frondini dall'osservazione del sempre rinnovantesi successo di pubblico dei film di Chaplin, e degli stessi Stan Laurei e Oliver Hardy, osservazione vissuta all'interno come primo e più entusiasta spettatore. E il successo di pubblico delle pantomime di Tirando a morire è stato infatti superiore a ogni più rosea previsione: ogni tipo di pubblico - dn quello snob del Festival di Spoleto a quello piccolo borghese di alcune cittadine di provincia, da quello nettamente proletario di una felice esperienza di « Teatro in fabbrica » a quello preparato e specializzato del Festival di Zagabria - ha accettato incondizionatamente le pantomime, pur con sfumature diverse per i vari temi. Principalissimi quelli del passaggio da un'ambientazione scenografica necessariamente astratta ad una non meno necessariamente reale - la possibilità di impiegare scenografie costruite in cinema fu scartata fin dall'inizio - e quello dell'impossibilità, per le stesse ragioni, in cinema dell'oggetto virtuale creato dal gesto. D'altronde un'ambientazione nettamente realistica avrebbe reso impossibili certe esasperazioni surreali, che formano uno degli aspetti peculiari delle pantomime in questione. Per esempio in Anatomia di un funerale le varie gags per fare entrare il morto nella bara, troppo piccola per la spilorceria dei parenti, diverrebbero impossibili, o quanto meno di pessimo gusto, in un normale interno borghese. Questo problema è stato, almeno teoricamente, risolto dalla intuizione della possibilità di impiegare ambienti, pur reali, ma non « in fase » con l'azione della pantomima. Il funerale di cui sopra riacquista la giusta dimensione umoristica in cw è possibile ogni esasperazione surreale, se lo si ambienta, ad esempio, in un sontuoso salone o all'aperto. E' chiaro che occorreranno grande sensibilità e senso della misura nella scelta dei vari « ambienti » per creare una tensione funzionale - e non puramente decorativa come in Marienbad - tra ambiente ed azione. L'altro problema è stato di meno difficile soluzione per il già rilevato impiego nelle stesse pantomime di accessori scenici, che rivelava come non essenziale questo elemento stilistico. Infatti, per tornare all'esempio citato, se in teatro la presenza reale della bara è superflua, nella trasposizione cinematografica le relative gags nulla perderebbero dalla sua effettiva presenza. Ora che la linea stilistica cinematografica è chiara sul piano teorico, Frondlnl e i suoi collaboratori stanno lavorando a dei provini fotografici che verifichino caso per caso, ambiente per ambiente, la vaJJdltà di questa Idea a contatto col problemi concreti, per poi passare alla realizzazione di un'intera pantomima a passo ridotto, preludio a un'eventuale produzione di un film normale nell'intero spettacolo. Se quest'Iniziativa va in porto felicemente sarà interessante constatare se la popolarità manifestata da queste inlzlatlve In teatro si conserverà intatta al cinema, senza il magico catalizzatore del contatto diretto col pubblico. Sergio Ragni - 83

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