1 HENRI MERCtLLO~, Cinema e monopoli, Boe.. ca, 1956, pag. 140. occidentale, col rischio di un livellamento e uno standard espressivo cui pericoli sono evidenti. Dal canto loro, gli « uffici stampa » delle maggiori case cinematografiche, finito lo spaesamento del primo decennio dopo la guerra, hanno cominciato a scimmiottare i colleghi americani e forse, in alcuni dettagli non proprio corretti, anche a sopravanzarli. E' significativo come una pagina del Mercillon scrilla nel '53 per individuare il ruolo della pubblicità nel cinema americano cominci ad adattarsi anche agli alluali indirizzi pubblicitari dell'industria italiana: « li ruolo principale della pubblicità sarà anzitullo quello di imporre il cinema quale sola e vera soddisfazione del bisogno di distrazione. Bisognerà negare gli altri bisogni che potrebbero cercare d'esprimersi: quelli in relazione con i problemi politici, morali e culturali. Si cerca dunque di agire fisicamente sugli spettatori per creare in essi un'abitudine: l'abitudine di una distrazione non attiua e gregaria. La pubblicità ha sovente l'incarico di risolvere il problema della soddisfazione di clientele molto diverse fra loro che, in linea generale, desidererebbero dei prodolli molto dif. ferenziati. Bisogna dare l'impressione ad ogni classe sociale che il film la concerne e corrisponde a ciò che essa s'allende dal film stesso. Ben inteso è importante eliminare rapidamente i non conformisti che cercano di trasformare iJ valore d'uso standard del prodollo ed a dargli altri valori d'uso, il che spiega la stretta sorveglianza esercitata sugli sceneggiatori (gli intellettuali della professione) da parte dei produttori e della censura. Al contrario la pubblicità rafforzerà ancora la popolarità degli attori e dei registi, il cui lavoro corrisponde esattamente allo standard dell'anierican tvay o/ li/e, realtà sicura diventata rapidamente mitica grazie al cinema » 1 • Può darsi che, grazie alla nostra organizzazione pubblicitaria, l'italian tvav o/ li/ e, l'Italia del miracolo economico, riesca a riflettersi nella popolarità di Fellini, della Cardinale, di Gassman e di Sordi. Intendiamoci, l'organizzazione degli uffici italiani non raggiungerà facilmente la perfezione quasi scientifica americana, che si serve con metodo delle inchieste Gallup, di serie indicazioni di mercato, di un perfetto apparato tecnico e specialistico. L'approssimazione della nostra industria del film, la mancanza di reali capitali, il gioco con le cambiali e col credito, si riflettono inevitabilmente in approssimazione pubblicitaria: quasi sempre i nostri « capi uffici stampa » sono dei giornalisti mancati, brillanti nella conver-- sazione, disponibili ed elastici, persino capaci di scrivere un articolo. Tuttavia nessuno di loro proviene da un qualsiasi istituto professionale di pubblicità che forse in Italia non esiste neppure. Sono, escluse poche eccezioni, dei « faciloni » del lancio divistico e del sondaggio d'opinione. La loro capacità direttiva è comunque minima e spesso priva di iniziativa: si limitano a mettere in pratica le istanze stt· -7
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