tiva. E' proprio questo motivo dialettico, della formazione del dirigente in un vivo e sovente aspro confronto con le istanze individuali e le esigenze collettive, che tende a convenzionalizzarsi, a schematizzarsi in molte opere del decennio. In Contropiano, diretto da Ermler e Jutkevich nel 1932, dove si affronta un grave conflitto fra tecnici e operai di diversa età e formazione, impegnati in una grande fabbrica di turbine nella realizzazione di un nuovo prototipo, la figura del commissario politico, con quella sua maschera fissa di raggiunto equilibrio e di condiscendente indulgenza, appare già come l'incarnazione di un paternalismo programmatico e insincero. E lo stesso può dirsi de L'ultima notte di Juri Rajzman, in cui l'indagine del diverso destino di due famiglie militanti in campi opposti si irrigidisce nella meccanica contrapposizione fra lo spontaneismo del giovane Pjotr e lo spirito di autocontrollo e di organizzazione politica del rivoluzionarlo Michajlov e la dialettica dell'individuale e del collettivo viene sommariamente liquidata a scapito dell'approfondimento dei personaggi e della natura delle loro scelte. Ciò che è da contestare e da respingere, in questo e in altri film dell'epoca staliniana, non è il passaggio dal realismo epico al e realismo socialista,, ma i modi e la natura d.i quel trapasso e il significato concreto che il secondo termine viene assumendo, nella pratica delle opere e nella battaglia delle idee che le sostiene e ne istituzionalizza gli orientamenti e i contenuti. L'istanza di un realismo più aderente ai nuovi problemi e conflitti della società sovietica, in una fase storica diversa da quella postrivoluzionaria, caratterizzata da difficoltà di altra natura, era infatti legittima, ma la direzione burocratica di quel processo, il soffocamento e la negazione della ricerca e dell'impegno conoscitivo con le retoriche e le poetiche astratte e prefabbricate, tali da consentire solo dei margini illustrativi più o meno ampi, strozzarono quell'evoluzione, deprimendone proprio la direzione problematica e critica a vantaggio di quella apologetica, sostanzialmente mistificatoria. Né vale invocare la giustificazione, assai pericolosa, delle due verità: quella di un cinema intransigente, d'arte e di tensione conoscitiva, e l'altra, di un cinema e pedagogico,, più comprensibile da parte di larghe masse, che bisognava legare sempre più saldamente alla causa del socialismo. Perchè, intanto, le vere vittime del burocratismo furono, come le storie insegnano, i grandi maestri del cinema rivoluzionario e poi, Il cinema di Elsenstein e di Pudovkln era la rivoluzione, nel contenuti e nello stile, in quella violenta e razionale fiducia, che comunicava e comunica allo spettatore, che sia dato all'uomo di trasfor- - 51
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