giovane critica - n. 1-2 - dic.-gen. 1963/64

46 - riflessioni sulla portata e sulle ragioni di quella e frattura>, e sulle sue ripercussioni attuali. Perché quello che ci ritornava, nelle immagini di Sciopero e de La madre, di Zvenigora e de Il sale della Svanezia, pur nelle contraddizioni e negli scompensi, era appunto un cinema della rivoluzione e per la rivoluzione, che non si limita dunque a rappresentare, spesso con stupefacente concentrazione e chiarezza di sintesi, vicende e personaggi di quegli anni, di un tempo nuovo il quale diviene sempre più consapevole di sè attraverso le difficoltà e gli ostacoli che incontra sul suo cammino, ma vuole secondare e rafforzare, nelle coscienze e nelle scelte, il processo di trasformazione in atto. Ciò che colpisce e comunica, a un tempo, un'emozione profonda e un lucido consenso razionale è la coincidenza - raggiunta in parte o in tutto a seconda delle opere e degli autori, ma raggiunta sempre attraverso un processo dialettico di fantasia e ragione - fra la tensione ideologica delle immagini, la scelta e l'impegno rivoluzionari, la fiducia nella possibilità di trasformare il mondo e le coscienze, nel destino storico dell'uomo, una fiducia che accalora ed esalta il realismo degli ambienti e dei volti. Quel che colpisce profondamente è insomma questo rapporto attivo, questo consenso dialettico, l'afflato ideologico e morale fra artista e rivoluzione, fra la massa, che della rivoluzione è protagonista, e l'avanguardia culturale che non si appaga di testimoniare, di illustrare, ma sceglie e inventa, partecipa e giudica. Altro che formalismo e degenerazione individualistica! Qui la ricerca di stile, sovente ardita e spericolata, non è avventura formale, virtuosismo tecnico, sperimentalismo fine a se stesso, ma processo conoscitivo e conquistata coscienza, retta da un asse ideologico che ha i suoi cardini nella passione rivoluzionaria e in una ragione che vuole e sa di poter modificare la realtà e gli uomini. Rilevando con quale libertà creativa si attuasse quel processo, la varietà delle tendenze e degli stili, dei tentativi e delle conquiste, si è indotti a valutare meglio la portata negativa e soffocatrice delle successive involuzioni burocratiche, col prevalere di una retorica mistificatrice dei problemi e delle vicende della società e del tempo, e di una precettistica oppressiva, negatrice della ricerca e della conoscenza artistica. Con questo non vogliamo dire che il cinema sovietico muto sia da accettare in blocco, senza limitazioni e riserve, che tutte le personalità impegnate in quegli anni a fare del cinema non solo uno strumento, ma soprattutto un momento della rivoluzione, fossero grandi artisti. Sarebbe questa una valutazione acritica e arbitraria. Vorremmo dire, però, che

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