2 Concordiamo pienamente con il quadro traccialo, in proposito, da A. Asor Rosa che parla di « una concezione culturale arcaica, arretrata, elaborata per un mondo agli albori del capitalismo », basata sui punti seguenti. Anzitutto, « lo sfrutta• mento di una tradizione nazionale volta a volta democratica, radicale o anche semplicemente moderata. trasferita in maniera pura e semplice nel patrimonio teorico e ideale della classe operaia, tal- ,·olta in (unzione addirittura sostitutiva,,. Poi la SO• stituzionc, a tutti i Uvclli della ricerca e della creazione, di « una problematica populista (mito del primith o, della natura contro la storia, del vitale, del sottoproletariato, del raga1.zo di vita)» alla problematica marxista. Da ultimo, « l'inserimento nel sistema culturale borghese attraverso una catena di alleanze. che possono arrivare fino al compromesso più sfocciato ». 24 - braccia e parli del sistema di produzione: come tali vanno affrontate, e non come ornamenti, completamenti da dopolavoro, settori staccali da coltivare in privato enlro coniini prefissati. Nei rudimenti della cultura massificata - proprio in quanto legata e conseguente al processo industriale moderno che porta sù le masse e le integra - si Lrovano i fondamenti di una cultura unitaria: ossia la decomposizione dei luoghi topici delle vecchie istituzioni culturali. Per la prim·-1 volta viene posto in discussione il sistema delle due culture: popolaresca e d'élite. E quindi enlra in crisi anche il sistema delle due morali e delle due religioni: quella degli intellettuali e dei ceti possidenti, e quella delle masse popolari. Proponendoci di operare quali crilici nel campo del cinema, come potremmo non collegare le indagini del mestiere a questa situazione complessiva? e in che modo potremmo, mentre vantiamo il nostro storicismo integrale, evitare di impegnare la competenza cinematografica nelle battaglie per l'organizzazione della cultura e per una politica culturale che si schieri contro la delega del potere a gruppi ristretti e conlro que!Ji che sono stati i due perni della politica culturale operaia: « la rinuncia alla prospettiva e il legarne puramente giustificatorio e immobilizzante con la cosidetta tradizione ». E dunque una concezione puramente slrurnentale dell'opera d'arte e dell'iniziativa artistica e culturale: la politica culturale intesa come strumento di repressione o di conciliazione, all'unico fine di procurare appoggi politici 2 • Quali conseguenze ne derivano nella sfera privata? L'impegno fondamentale per una critica militante non sta nella scelta e nella proposta di soggetti e argomenti « positivi », ma nel legame che si stabilisce tra i rapporti umani indotti dall'industria e il critico in quanto uomo, cittadino, produttore e consumatore: cioè, la dipendenza dall'industria culturale ( nelle case editrici, nelle case di produzione cinematografica, nell'impiego televisivo, nella stampa e nei quotidiani borghesi) e dall'organizzazione politica che introduca il giuoco diplomatico nel dibattito culturale ( da cui omissioni del giudizio, strizzatine d'occhio, ecc.). In altre parole, occorre imparare a pretendere che tra parole e azioni, tra mezzi e fini, il legarne sia di coerenza e non di conlraddizione. 2. - Da critico militante, che cerca di giudicare le opere secondo un particolare punto di vista ( tendenzioso, dunque), l'impegno maggiore mi pare che vada rivolto alla promozione di un cinema civile e popolare. Civile nel senso che aiuti a diventare consapevoli, a cambiare il mondo, a non delegare il potere. Oggi i « fatti » emergono sulle vecchie intelaiature dogmatiche, e devono essere registrati e interpretati: due funzioni insieme, non una tienza l'altra. Da qui il primato di un cinema che affondi le mani nella vita contemporanea, senza svicolare nelle celebrazioni o nelle consolazioni, che non stia sempre dietro ai fatti,
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