3 Da Come si guarda il film, a cura di G. Gambetti cd E. Sermasi, Calcati, 1958. • Da Cahicrs du ci11éma, n. 126, 1961. 5 FERNAtDO D1 CrAMMATTEO, Perchè la critica no. se tutto è in crisi?, in Bianco e Nero, n. l, 1962. 12 - ad una deficienza metodologica, allora non si spiegherebbe perchè i nostri cnt1c1, quando appunto vengono interrogali sul « metodo », hanno subito pronte risposte acute e rivelanti una preparazione storicistica almeno universitaria. Provate a sfogliare l'inchiesta del '58 sulla critica condotta da Gambetti-Sermasi, e troverete risposte abbastanza appropriate. Leggo alcuni brani teorici scritti da quelli che ritengo tra i migliori critici di quotidiani e settimanali: «Nel cercare la giusta chiave di interpretazione dell'opera cinematografica, il critico dovrebbe tenere più spesso presente l'antinomia arte-industria ». « Mi sforzo di giudicare ( .... ) perseguendo ( ....) la più assoluta obiettività e considerando l'opera cinematografica anche nella sua cc sistemazione » in una corrente, in un problema, in un costume ». « Se un rimprovero s'ha da muovere alla critica cinematografica come si pratica sulla stampa quotidiana in Italia è quello che troppo spesso i recensori usano il medesimo tono, il medesimo impegno (e a volte anche lo spazio) per giudicarn films molto diversi per importanza ». « La critica cinematografica. al pari delle altre attività razionali, deve servire a porsi con chiarezza e con metodo il problema conoscitivo. I principi da cui parte sono, in senso lato, quelli crociani: autonomia e sufficienza del fatto estetico. Naturalmente con aggiunti i succhi della cultura moderna, nostri e altrui » 3 , eccetera. A parole la coscienza culturale c'è. Basta confrontare questa inchiesta con un 'altra simile apparsa nei Cahiers du cinéma del '61, per rendersi conto dell'enorme impreparazione della critica francese e, di conseguenza, della preparazione della nostra ( sempre, insisto, nei casi migliori). on capiterà mai, in Italia, di leggere sciocchezze come queste: « L'unica cosa che so della critica cinematografica, è che non serve a niente. E' un gioco, un esercizio gentile, ora umile ora sfacciato. E' un mezzo d'espressione, non un mezzo di analisi, di osservazione, di riflessione. E' un alibi, una maschera una mimetizzazione ». Ancora: « V'è assurdità, nella critica: instabilità, oscurità. Pcrchè si è critici? Per giustificare l'arte, forse. Ma la critica s'è presto resa conto che l'arte si giustifica da sè, o che se ne infischia delle giustificazioni. Nulla nella critica e in ciò che attiene alla critica soddisfa » •. Va bene, allora: mentre i critici francesi mancano assolutamente di lezioni storicistiche - e provando quindi una giusta insoddisfazione per la critica impressionistica da loro esercitata passano più produttivamente alla regia -, i nostri esegeti si attaccano invece a sfilacciature crociane, restano critici tutta la vita, subendo, più o meno incosciamcnte, le agguerrite pressioni dell'industria. II fatto è che la crisi della critica cinematografica, proprio di quella avveduta, rientra nella più ampia crisi della cultura, come giustamente ha sottolineato Di Giammatteo 5 • E soprattutto, aggiungiamo, della cultura borghese. Gli strumenti di analisi del crocianesimo e del postcrocianesimo non sono sufficienti per « reggere » all'insidia,
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