110rano il materiale grezzo, la natura, e ne offrono una interpretazione soggettivo, il cinema registra la natura, trasmette « il materiale grezzo senza definirlo ». Infatti il linguaggio fotografico, per K., come fa giustamente osservare A. Plebe (Filmcritica n. 131, 1963), opera « più sulla howness che non suUa whatness della realtà fisica » e in questa maniera i1 K. ribalta la « superficialità », che ancora secondo Plebe non è banalità ma diventa sinonimo di effettualità contro la realtà del profondo. 11 ritorno alla realtà fisica è la conseguenza della nostra condizione umana: il cinema diviene lo slrumento più idoneo ad approfondire e a chiarire il rapporto con questa terra che è iJ nostro habitat. ~1a l'attenzione che il K. concentra sulla realtà fisica, sullo frammentarietà, porta a una precisa welta,..clumung che è quella individuata dal Plebe nel cosidctto linguaggio pre• speech level e che Aristarco riallaccia alle posizioni del nouveau roman francese. Precisa Ari .. starco, nella prefazione, <e nel nouveau roman - la cui poetica deriva da Husserl filtrato in Francia attraverso ~1érleau-Ponty - il narratore si cancella affatto dalle sue opere e il suo compito si riduce a quello di registrare, con assoluta e Credda oggettività, gli avvenimenti esteriori cli cui i personaggi sono i protagonisti ». Il K. dice che ormai l'impero dello spirito sul fatto fisico è decaduto, cd è legi11i.mo che il cinema, sorto sulle « rovine delle antiche fedi», si debba limitare a mostrare la vita <e com'è». L'ideologia, come dice il Plebe, è una delle vittime e senz'altro la più cospicua di atteggiamenti quali quello del K. Il saggio di K. non vuole dimostrare altro che il mito cli Medusa, affermando che lo scher• mo cinematografico è lo scudo lucido cli Atena, che ci permette cli vedere la realtà riflessa e non in faccia. L'atteggiamento del K. è sintomatico di una particolare tendenza culturale del nostro secolo, l'husserlismo, che pretende di mettere tra parentesi l'ideologia per mostrarci una fantomatica realtà qual'è, visione che comporta l'abolizione dell'ideologia e un ritorno all'impressionismo e al frammeatarismo dei primi decenni drl nostro secolo. EoCAR MoRtN, L'indu,tria culturale, Bologna, Il Mulino, 1963, pp. 206, L. 1800. Edgar Morin è da tempo una delle figure più vive e interessanti della cultura francese contemporanea. Dapprima comunista, usci dal P.C.F. sotto l'imperversare dello stalinismo (e della narruione di quella vicenda ha fatto l'oggetto della sua biografia, pubblicata i.n Italia per i tipi de Il Mulino); fondatore e direttore della rivista Argument• - che purtroppo ha cli recente con• eluso la sua vita - si dedicò con fervore a studi e ricerche di carattere sociologico incentrate sui problemi delle comunicazioni di massa, del divismo, ecc. e che hanno fruttato una serie di volumi adesso tutti a disposizione del lettore italiano: Il cinema o dell'immaginario (Da Siiva, 1962), I divi (Mondadori, 1963) e questo di cui ci stiamo occupando. E' coautore, con Rouch, di uno dei film manifesto del cinemn•verité, quel Chronique d'un eté, ancora quasi del tutto ioeclito in Italia. In questo scritto, il p1u compatto e denso tra quelli suoi in materia, il Morin opera un ISOndaggio sull'auuale grado cli peaet.raziooe e cli invadenza dell'« industria culturale » nelle sue diverse manifestazioni e protuberanze, bandendo in partenza l'atteggiamento caro a certi « profeti di sciagure • - un Ortega y Gasset, il nostro benemerito Zolla - i quali clinoaozi al consumo culturale di massa gridano allo scandalo e preannunziano la catastrofe cli ogni valore. Rimpiangere un'età d'oro delle lettere e delle arti, paragonare Socrate a Jerry Lewis, dice llforin, è almeno stupido. Non bisogna dimenticare infatti che una delle componenti, purtroppo non la
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