2 LtNO M1cc1cHÈ, La crilica ilaliana, io Film Selezione o. 4/5, 1960. re di intrattenimento. D'accordo, c'è sempre un giudizio diverso: il film di rottura è giudicato bello, il film di intrattenimento è giudicato brutto; e tuttavia la tecnica della recensione, diciamo il bagaglio critico del giornalista, procede con la stessa prospettiva estetica. Sarebbe come se un critico musicale dedicasse lo stesso impegno nella recensione di un concerto e di una serata di canzonette; o un critico letterario si mettesse ad analizzare un'opera di Thomas Mano con lo stesso metro con cui giudica un libro di Liala. E tuttavia il critico cinematografico fa proprio questo, con imperturbabilità grande. Il motivo di tale confusione di piani non è di origine culturale, come sembra credere Lino Miccichè, quando scrive: « E' stra• no, se si vuole, che su autori in senso proprio come Chaplin, Eisenstein, Stroheim, Dreyer, Mizoguchi e pochi altri ci sia ancora tulio o quasi tulio da dire, mentre serie infinite di articoli e saggi illustrino da ogni possibile punto di vista la tematica e la problematica di cineasti meno che medi. E' strano dicevamo, ma lo è solo fino a un certo punto: la necessità di salvarsi in ,, corner » ( .... ), non può portare a luogo che a questi risultati. Critica e giornalismo sono certamente due cose del tulio diverse, egualmente importanti per certo, ma tuttavia diverse. La confusione che ancora tra esse regna è certamente frutto della confusione men maggiore in cui vive il cinema stesso, dove la comune caratteristica industriale, porta a met• !ere sullo stesso piano il « si gira » di FelJini e quello di Amendola, ambedue punti di partenza per arrivare a un << prodotto » che, per lo meno in teoria. si rivolge ad uno stesso pubblico, e fatto con gli stessi mezzi, costa, magari, un uguale numero di milioni. Per il produttore, in altri termini, esclusione fatta per l'eventuale discorso sui milioni in più che un regista può fruttargli rispetto ad un altro, la realtà non muta: prodotto è l'uno e prodotto è l'altro, ma il produttore ha certamente una sua giustificazione professionale: non crediamo, d'altro canto, che l'editore faccia differenza da un punto di vista strettamente editoriale, tra la collana di « gialli » popolari e quella di classici. Sta al critico di distinguere, dividere i campi, separare i « prodotti» dalle « opere ii. Così continuando sulla strada della confusione, il critico giornalista ( quello, per intenderci, sempre delle rubriche) si riduce ad essere non un esperto di cinema, cioè di un fatto obiettivo, ma un semplice esperto della scrittura sul cinema; non uno che sa giudicare il cinema, ma uno che sa scrivere su di esso ii 2 • Benissimo, condividiamo pienamente. Solo che bisogna sottolineare che la giustificazione professionale del produttore pesa, sia pure in modo indiretto, sul metro critico del giornaHsta; influenza cioè anche le firme migliori a considerare con la stessa prospettiva Luci di inverno di Bergman e Il sorpasso di Risi. Potremmo definire questo fenomeno un aspetto indiretto della pressione industriale nei confronti della pubblicistica itaHana. Se fosse una confusione di piani dovuta -11
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