10 - Poteva essere cioè anche una discreta arma di pubblicità in un settore particolare. Ma se la collana di Renzi può far appello alla preziosità del « documento », per una rivista il discorso, io un tentativo così complesso e tutto sommato ibrido, si fa assai difficile. on si oltrepassa cioè l'orizzonte culturale di una rubrica televisiva, come la vecchia Cinelandia di Di Giammatteo e Cinema d'oggi di Pintus. on si capisce mai se si tratta di pubblicità culturalizzata o di serie in• tenzioni divulgative. Si avverte sempre che l'ANICA, l'associazione dei produttori. sta dietro la porta a guardare e impedire un discorso preciso, sul piano culturale. Dove c'è precisione di contorni, invece, è sul piano pubblicitario. La Fiera del cinema, così come le rubriche televisive, contribuiscono nettamente a rafforzare la popolarità di attori e registi con Io scopo di creare quella abitudine di una « distrazione non attiva e gregaria » a cui accennava il Mercillon. E allora ci si reo• de presto conto che la lotta è impari e il tentativo di giungere a un compromesso, se di tentativo si può parlare. risulta sterile. Il maggior risultato ottenibile in questa direzione sarà quello della rivista Ferrania, diretta da Guido Bezzola: ossia un'onesta accademia. Ma qui siamo di nuovo alla pubblicazione di prestigio, persino sfioriamo la grossa rivista aziendale; e la Fiat concede a Bezzola più carta bianca a Milano di quanto la Titaous a Roma ne abbia lasciata a Rossetti. Il quale, con gli ultimi numeri della Fiera, dopo il rovescio subito da Lombardo, ha assunto anche la veste di editore. Ma la struttura organizzativa che ha fatto nascere la pubblicazione è evidentemente rimasta intatta, perchè non si sono avvertiti cambiamenti di rilievo. Il discorso è sempre fatto a metà, con palesi svantaggi per una delle parli, e anche quando si affronta un tema abbastanza succoso come quello del divismo, non si sa andare oltre un fumetto vagamente culturalizzato. Sottolineata questa pesantezza di legami all'industria cinematografica da parte delJa pubblicistica dei rotocalchi, dei quotidiani e di pubblicazioni specializzate. il discorso sulle loro « linee culturali » si esaurisce automaticamente. Se si escludono poche eccezioni, questa critica non è nemmeno degna del nome. Emblematicamente è la critica che assegna il nastro d'argento a Gina Lollobrigida per la sua interpretazione io Venere imperiale. Non dimentichiamo tuttavia le eccezioni, anche tenendo conto dei forti limiti oggettivi in cui questi giornalisti sono CO• stretti ad operare. Non solo c'è un lavoro massacrante che trasforma il recensore di quotidiano in una specie di macchina a gettone, ma le pelJicole che è chiamato a giudicare sono il più delle volte assai lontane da una qualunque dimensione culturale. Da qui, anche per la asistematicità e la aculturalità del lavoro, il ripiegare su una critica di carattere informativo, con qualche ambizioncella ancor residua di divulgare il così detto <e buon cinema ». Alla resa dei conti, si fa di ogni erba un fascio e si pongono sullo stesso piano opere fondamentali, di rottura, con ope•
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