la Fiera Letteraria - XV - n. 29 - 17 luglio 1960

Domenica 17 luglio 1960 B~ FIER~ LETTERARI~ SCRJlTTORJl JlN JPRJl~O PIANO --- Giuseppe B_onaviri: Ragazzi al fiume Le mie tre sorelline erano entrate nella stanza con dei fiori blu di malva e dei rametti di menta in mano. Odoravano di cam– pagna e. avvicinandosi al mio letto, mi dissero: e Bruci ancora? > La feb– bre dovevo averla ancors. alta. perché sentivo uno sciacquio fitto nelle orec– chie e un brulichio vermi- · naso per la persona. - Credo che brucio - risposi. - Sarà il sole che tra– monta - disse Ida. che era la più piccola. - Non vedi com'è rosso? - Che c;entra il sole? - precisai. - E' !a febbre. Maria mi diede un ra– metto di menta, e mi dis– se: e Odora. Ti fa bene>. La finestra, dalle impo– ste rossicce che si crepa– vano, era aperta sulla trazzera, e vedevo chiaro il colle che era dì fronte a me e il e millicucco >, coi suoi rami ad ombrello, da cui veniva una luce co– lor sangue. Vincenza, la più grande, mi bisbibliò quasi, facendosi vicina a me: e Forse verrà donna Lucia per farti le frizioni ai polsi. Dice che hai la gola malata >. - Non voglio frizioni ai polsi, - risposi ad alta voce. - E' il sole - insisbette Ida, che aveva quattro an– ni. - Vedrai che appena scompare, non bruci più. Fa bruciare me, certe vol– te. Non vedi che occhi sanguigni che ha? Intanto annottava, tutto si faceva grigio, come buttassero la cenere per l'aria, e mio padre e mia madre non tornavano. Le mie sorelle, dopo aver di– sposto sul parapetto deUa finestra la menta e la mal– va, s'cran sedute lungo il muro della stanza e, par– lando sottovoce, s'erano addonnentate. Solo Vin– cenza non prendeva sonno ed ogni tanto, con voce indispettita, diceva: e Che modi! Non dovevamo gio– care, sinché tprnavano Turi, papà e la mamma? Che modi!> Dopo, non sentii niente. e nel sonno, vedevo tanti strani piani cubiformi, mo– bili e lisci lisci, come vi avessero sparso dell'olio. Mi giravo e, da una parte sentivo molto caldo, per-– ché accanto mi dormiva mio fratello, ma mi pareva che quei piani mi afferras– sero in una tromba di mo– vimenti che non finivano e mi facevano smaniare. I giorni seguenti restai ancora a letto con la feb– bre, e le lenzuola erano acri per il sudore ed avevo voglia di dire a Vincenza, Maria ed Ida: e Portatemi la menta. Almeno mi pare di giocare con Peppi Ama– rù e Turi e non sento il sudore>. Ma le mie sorelJe da sotto la finestra, nella trazzera ai cui Jati nasce– vano in cespugli l'erba bianca e i fichidindia. mi gridavano: e Aspetta, Ema– nuele, non senti che gio– chiamo? Pensa a dormire. Te la porteremo dopo la menta>. lo, <loPo una settimana cir– ca. ero pallido e non sa– pevo manco reggermi al– l'impiedi, tanto che. ap– pena davanti la radura della casa, per il forte odore di menta che c'era, stavo per svenire e dissi: e Fatemi sedere > - Oh, lo stupido, - disse Ida. - Non sai manco cammi– nare? L"h'a.i 'già ·dimenti– cato?> Ripresi presto la vita di prima. ed ogni mattina. sull'alba, assieme a mio fratello e a Peppi Amarù ci recavamo al pae– se per andare a scuola. Il nonno di Peppi, massaro Angelo. era già alzato e guardava d'ogni parte l'orizzonte, bianco con tan– te $trisce d'argento, per sapere come sarebbe stata la giornata; e. vedendoci, Ci diceva, un po' burbero: e Eh, attenti, non perdete tempo e filate dritto per la scuola. In un'ora e mezzo di cammino fitto, ce la fate ad arrivare! > Il pri– mo tratto di strada, lo fa– cevamo correndo, e i pe– corai che ci incontravano nella discesa di Fiumecal– do. ci gridavano dietro: e Oh, diavoloni, dove an– date prima che spunti il sole. correndo a rotta di collo?> Se vedevamo scappar qualche uccellino da una macchia dt rovi, ci ferma– vamo, e mio fratello dice– va: e Ci deve essere il ni– do, là dentro. Cerchiamo>. P,eppi Amarù, dopo un po– co, sentenziava: e Mio non– no ci fa assaggiare il ba– stone se sa che cerchiamo nidi, anziché andare a scuola>. A Fiumeca1do. ci sedeva– mo quasi sempre lungo le pietre del torrente, ed io dicevo: e Tempo ne abbia– mo. Mangiamo il pane e lo zucchero che abbiamo portato>. Le lavandaie era– no già 1ì, curve su certi massi lisci e lavavano le lenzuola della gente. - Andarte a scuola. anziché restar lì a mangiare, - ci dicevano. - Non sapete che ora viene la salita, e manco i muli ve la fanno a salirvi? La zia di Peppl, che aveva Un grande goz– zo che le ballava sul col– lo. si staccava dalle lavan– daie, ché era lavandaia, e dava un po' di formaggio al nipote. - Tieni. mangia il pa– ne col formaggio! - di– ceva. - E' inutile che mi guardate di malocchio. - borbottava Peppi, - tanto formaggio non ve ne do. - E chi ti ho. chiesto il formaggio? - rispondevo, rabbioso. Nella salita ci si stan– cava davvero, e i muli che vi salivano avevano il dor– so che fumava di sudore e noi ogni tanto ci sedeva– mo fra i massi o sotto gli ulivi attorno a cui vola– vano le rondini in circoli neri, che si ingrandivano e si rimpicciolivano. - Oh, maledizione, que– sto paese non arrivç1. mai! Perché i nostri padri vo– gliono che andiamo a scuo– la? Chi avrà voglia di leg• gere o scrivere, quando sa– remo grandi? Ci dicevamo cosi a vi– cenda, sinché non vedeva– mo, da Santo Pòlito, Mineo sul cui tetti il sole pa- rcva fiammeggiasse con vampate rossastre. No:, sempre arrivavamo in orario, e il maestro, ve– dendoci entrare - dOPo la corsa fatta per l'atrio do– ve alcune acace dalle fo– glie verdi verdi se ne sta– va.no immerse nel silenzio che veniva loro dalla Chie– sa del Collegio - ci dice– va, con voce rabbiosa: e E che vi pare posso aspetta– re i vostri comodi? Sedete e state zitti. E un'altra vol– ta non vi farò entrare, se non sarete alle otto e mez– zo davanti la porta della vostra aula >. Mi acchiappava sonno usciti qualche minuto pri– ma, - ce ne scappavamo per Fuoriporta e poi per la trazzera di Camùti. - Sapete, perché gli ulivi hanno l'ombra tonda tonda e non inclinata? - chiedevo io, quando ci fer– mavamo, col fiato grosso per la coI'Sa fatta. - Tu vuoi fare il mae– stro, perché sei un anno avanti a noi, nella scuo– la, - diceva mio fratelJo. - Ma hai paura a salire sul cipresso di don Càr– mine a prendere i nidi. C'era solo qualche man– dorlo come albero da frut– ta in quella discesa sasso- - Mi pare di avere le mani di seta, - dicevo - o intrecciate di erba fine fine. Ma sapete dove va a finire tutta quest'acqua che scorre? - mi veniva da concludere. Mio fratello e Peppi Amarù erano intenti a sbucare i gamberi e non volevano saperne delle mie domande, tanto che stanco mi sedevo lungo il torrentello e strisciavo le dita sWl'erbetta, ch'era umida e dolce e mi faceva addormentare le mani. quasi. - Ci stareste sino a do– mani a giocare col fiume, Una Sicilia inedita * di ALBERTO BEVILACQUA me di una solitudine demoralizzante. Sappiamo come succede: bisogna vivere, dar da mangiare alla moglie e ai figli, non si ha più tempo per scrivere o co- 1mmque, se proprio si vuole insistere, ci si riduce a scrivere nelle ultime ore della giornata, quando si dovrebbe invece far riposare il cervello e distendere i nen1i. Nei nostri ambienti, ancora tanto ricchi di pregiudizi di comOdo, si continua a ripetere la solita sentenza: che se cioè uno è scrillore, lo dimostra anche nelle condizionr che abbiamo descritto. Sono storie. I tempi d'oggi non tollerano simi– li impennate o generosità roma11tiche,va– gheggiale soltanto da scrittori che, grazie al cinema o ai rotocalchi, possono per– metlersi il lusso di far scorrere la penna nelle più squillanti ore della giornata. Diciamo piullosto che sarebbe ora di al– ltmgare una mano (ma di allungarla dav– l'ero!) a tutti quei giovani che, pur es– sendo in grado di favorire sostanzial– mente la nostra anemica lelteratura, si trovano imbrigliati da troppi fallori estranei: ambientali, pratici, economici... Appartato o, meglio, isolato a Frosino– ne, Giuseppe Bonaviri sta conducendo, da qualche anno, un particolare tipo di latta che ben couosciamo e sappiamo es– sere nou soltanto suo, ma anche della maggior parte dei pii, giovani scrittori italiani. Intendiamo alludere a quel– l'• aver a che fare• giorno per giomo con la pagina da scrivere o da riscrivere, con la necessità di strapparla a poco a poco dagli impegni pratici, dalle preoc– cupazioni di ordine extra-letterario, dalle conseguenti amarezze e piccole rinunce. Bonaviri, insomma, riassume in sè, nel suo modo di vivere, una storia toccante che continua a suggerire motivi di medi– tazione e, non nascondiamolo, anche di preoccupazione: la storia, cioè, di quello scrittore che, dopo aver esordito con un libro ricco sia di promesse che di prove acquisite e riconosciute criticamente, si sente d'improvviso scivolare il terreno sotto i piedi, si sente d'improvviso por– tato lontano da fatt.ori contrari alle sue tendenze pii, naturali e irrelito nelle tra- Bonaviri, ne siamo certi, ci perdonerà il preambolo e ci perdonerà anche se vogliamo concludere dicendo che, per quell'aiuto che abbiamo detto, per far sì che si disunda quella mano tenuta trop– po al riparo della schiena, molte volte potrebbe bastare una maggiore attenzione da parte della stampa, da parte dei cri– tici. Ma ton,iamo al uostro autore, che ben volentieri abbiamo preso ad esempio nel ,zostro piccolo sfogo, per la sua se– rietà, per il suo valore, per la sua pas– sione nel continuare. Le pagine che qui presentiamo, sospese in un'aria lirica te– nuemellte dolente, fanno parte di un lungo racccmto aucora in fase di stesura. Chi lta seguito il precedente Ia,•oro di Bo– naviri, vi troverà nomi e riferimenti am– bientali già conosciuti in precedenza: le strade e le case di Mineo, il mondo chiuso dei massari isolani, le aperture paesaggi– stiche su di una Sicilia delicata, resa sensibile dal rimpianto, vista come una terra chiusa irrimediabil,nente entro i confini di un'età _eper· questo quasi ver– dma per sempre. ALBERTO BEVIl.ACQUA dopo quella lunga strada e le ginocchia ce le avevo indolenzite e per le brac– cia mi pareva aver tante file di formiche che mi pizzicavano, tanto che, a poco a poco, il borbottio del maestro mi pareva lo scorrere delle acque di Fiu– mecaldo e la sua faccia grossa e rubiconda mi pa– reva il sole che stava per spuntare verso Grammi– chele. Una gran vociata mi sve– gliava di soprassalto e mi vedevo davanti il maestro che gesticolava e gridava: e E che ti pare, Cç1.saçcio, che la scuola è fatta per dormire? Altro che lo stu– dente farai tu il prossimo anno! Zuccone! Solo gli zucconi dormono. anziché ascoltare il maestro!>. Quando uscivamo. - mio fratello e Peppi mi aspettavano, perché erano sa, per cui ci dovevamo accontentare di mangiare il pane e zucchero che ci era rimasto. Ma a Fiume– caldo ci fermavamo di nuovo e il sole di maggio ce lo avevamo dritto drit– to sulla nuca e a quell'ora non ci erano manco le la– vandaie che se ne stava– no a sonnecchiare più su, nella grotta, incorniciata da cespugli polverosi di capperi. - Cerchiamo i gambe– ri, - proponeva mio fra– tello. che già guardava nei buchi delle pietre. attorno a cui l'açqua ç,rrivçl\'a in un filo schiumoso. A me piaceva avvicinarmi alla roccia nuda. da dove usci– va un rivolo tiepido d'ac– qua, e stavo li con le ma– ni nel mezzo che lasciavo inerti, come fossero state delle piccole barche che scivolassero sul mare. - dicevano le prime la– vandaie che uscivano dal– la grotta per raccogliere la biancheria stesa sulle rocce, bianche, verdi, gial· le per tutto quel bucato. - Perché non tornate a casa? Ne avete del tempo per fare tutta la salita. prima di arrivare a Ca– mùti. I ragazzi d'oggi pen– sano solo a giocare! Via, lasci:ite i gamberi e le er· be. perché sono creature del Signore! Quando arrivammo (oh. il venticello del piano di Camùti!), massaro Angelo. per lo più, lavorava in mezzo al seminato. e pa– reva piccolo, piccolo, cur– vo. com·era, e le mie so– relle ci aspettavano sulla radura della casa. - Chissà come sarete stanchi! - ci diceva Vin– cenza. - A, E, I, O, U. - gr;- Mi arrabbiavo e mi mordevo le lenzuola, ma mia madre mi si avvici– nava e mi diceva: e Pensa a guarire, Emanuele. Non sai che quest'anno devi andare a Catania a stu– diare? Sta.sera faccio ve– nire donna Lucia. E' vec– chia e di medicina ne ca– pisce. Tuo padre vuole il medico. Ma come fa a ve– nire in qu~ta campagna?> Hll'Jl'R.l§.TTJ[ PROJ8'E§§l[O~li.Ll[ * Solo quando venne don– na Lucia, le mie sorelle mi portarono dei fascetti di menta, ma li tenevano in man~. silenziose. per vede– re che facesse la vecchia. Questa mi aveva preso i polsi e, tenendoli fra il suo indice e il suo pollice, me li massaggiava con un ritmico movimento delle sue dita nodose. - Perché mi frazionate i polsi, se ho la gola ma– lata? - chiesi io. - Non vedi che la febbre ti con– suma? - rispose un po' amareggiata la donna, chi– nandosi di più sulla sedia. - Da dove vuoi che ti ve:iga la febbre. se non dai polsi? Non senti come battono? E poi l'arcano del mondo non puoi mai capirlo. Vincenza, Maria e Ida si tenevano per le mani e guardavano con certi oc– chi imbambolati. Soltanto Vincenza, dopo un poco. vedendomi diventare un po' più rosso in faccia, disse: e Siete sicura che non la portate voi la feb– bre a mio fratello?> - Zitta! - gridò mia madre tanto che tutte e tre sc~pparono fuori. Mio fratello e Peppi Amarù mi dovevano chiamare da giù, dal fico, e la loro voee mi arrivava fioca fioca. - Che fa.i, Giovanni. a Jetto? Alzati. Non senti il fresco che viene dalla e fossa>? Si può giocare, come ci pare e piace. ~r~ poco canteranno i gnlh. Ouando ,..,: ~17..,, l;d !et- Il g·iudice e l'architetto n numero uno della col– lana e Il Bersaglio • diret– ta da Giovanni Crazzini. per le edizioni Vallecchi, è dedicato al Magistrato, uscito contemporaneamente al numeTo cinque dedicato aWArchitetto. Bene è sta– to fatto a far uscire questi due e ritratti professionali– per i primi, perché anche se molte altre sono le pro– fessioni che verranno trat– tate in seguito, diflicilmen– te, come queste due, rap– presenteranno attivitd cosi incisive nella vita moderna e così connesse alla buona struttura dellci vita sociale. Il Magistrato è di Gigi Ghiro lii. l'Architetto di Franco Nasi. Questi volu– mi, come gli altTi che usci– ranno su. l'Attore, il Chimi– co, il Musicista, jl Vl:gile urbano. il Djplomatico ecc. sono redatti sotto forma di inchiesta giornalistica, co– sa che rende piuttosto vi– va la stei;ura .,. varin il mc-– do di presentare l'argomen– to. ma che, in certi casi, consente meno di appro– fondire: è certo però che, sotto questa forma. i. vo– lumi de e n Bersaglio • as– stLmono l'aspetto delle let– ture che possono raggiun– gere andie il gran pubbli– co, tenendo vivo l'inteTes– se del lettore ad argomen– ti che, in altro modo, po– trebbero esseTe avvicinati solo dai pià direttamente interessati. Comunque H volumetto cli GlJGLIEL1JIO PETR011 1 1 del Ghirotti, il Magistrato. riesce a toccare anche a.spetti della professione de! magistrato che per la loro violenza attuale, per la loro concomita.iua coi problemi pratici e morali del costume, aprono oriz– zonti piuttosto vasti ed in– quietanti, invitando a me– ditare su cose che sono di tutti. Ghirotti ad esempio, per iniziare il • ritratto • del magistrato deve, e lo fa co1i tatto, rievoca-re cento esempi che ancora so-no nella memoria d'o– gnuno, che hanno turbato l'opinione pubblica. le co– scienze degli individui, del– le masse, le intransigenze degli ambienti in cui si pretende che i casi umani siano risolti a priori da una presunta morale che è solo uno schema. Nell'entraTe nei segreti e nei problemi del giudice, nei suoi disagi di categoria, nei suoi possibili errori, nelle sue diflicoltd per man– tenere L'assoluta libertd di fronte ai poteri politici~ ai pregiudizi diffusi, alla cor– ruzione del denaro. l'auto– re ci fa un quadro della vita italiana che certamen– te è tra i più. signiji.oo.tivi e colmi di insegnamenti. IL coraggio e la passione di essere giusti richiede, in molti casi, ed in tempi co– me i nostri, una forza che solo una fede assoluta nel- la giusti.:ia può dare. Ghi– rota termina il suo libro con un episodio che esalta la missione del giudice e, se prima ne ha presentato anche i lati negativi. lo il– lumina come individuo e come categoria: e Piero Ca– lamandrei rievocò un gior– no, a Montecitorio, l'episo– dio di un pretore toscano che, nei giorni deU'occ-u– pazione nazista, aveva rice– vuto dal prefetto L'ordine di trarre in arresto i geni– tari dei giovan.i chiamati alle anni e renitenti di le· va. La lettera del prefetto diceva: e I miei ordini non si discutono. In pro– vincia il rappresentante del governo sono io ed ho pie– ni diritti. Considererò 'il vostro eventuale rifiut.D. co– me un atto di sabotaggio e pertanto prenderò provve– dimenti anche contro di voi qualora non eseguiste i miei ordini. Assicurate! - Il pretore rispose: - Sono dolente di non poter dare l'assicurazione richiesta. Il prestare le carceri giudi– ziarie per la detenzione di innocenti. è atto contrario alla legge ed al costume italiano. Dacché servo lo Stato neu•amminìstrazione della giusiizia non ho mai fatto nulla in contTario alla mia coscienza. Dio mi è testimonio che non ui è ;attan.za nelle mie paTole •. !../ Assemblea chiese che Calamandrei facesse il no– me di questo pretore e Ca– lamandrei rispose: e Era un giovane e ·non dico il suo nome. perché di que– sti giovani che in tempi di miliardi sporchi come so– no questi che viviamo. han– no scelto la dignitosa mi– seria per servire un ideale di giustizia >. L'altro volume di Franco Nasi rhnane in un ambito più tecnico nel darci H ri– tratto dell'architetto; tutti i problemi sono toccati; qui la tecnica della inchiesta è sfruttata più ampiame,ite e si lascia parlare- gli inte– ressati. Si desidererebbe forse che, assieme alla. si· tuazione di categoria, ad ai problemi di mestiere e quelli di arte dell'architet– to, spiccasse altrettanto chiaramente la posizione dell'architetto moderno di fronte al rinnovamento della societd; perché l'ar– chitetto ormai è sempre anche un urbanista, giac– ché non si può, e nei li· bro è detto, concepire oggi architettura che non tenga conto dello ambiente fisi– co e di quello morale in cui viene posta; avremmo insomma voluto trovarci qualche cosa di ciò che, Lewis Mumford, ha espres– so nella sua opera e che 110n è estraneo alla profes– sione e alla morale di ogni architetto che oggi sia de– gno di questo nome. CUGLIEL\10 PETRONI dava Ida. - Credete di essere mae3tri solo voi? - Qual'è il fiume più lungo del mondo? - chie– deva stizzito Peppi Amarù. - Vediamo se lo sai! - Non è Fiumecaldo, - rispondeva gioiosa Maria. - Non è Fiumecaldo. - Ma sapete che stasera arriverà nostro padre? Che aspettiamo ad andare sul ciglio delle terre di Don Santo? Di là. lo ve– dremo arrivare dalle Por– telle - diceva mio fra– tello. - Pensi soltanto al gioco! - interveniva Pep– pi Amarù. - I compiti, quando li facciamo? Ma noi tutti ce ne an– davamo già. e Peppi. fer– mo sulla radura su cui il sole ormai arrivava come una spada rossa. gridava: e Lo dico a vostra madre! Vi faccio vedere se non dovete pensare mai alla scuola!>. Ma dopo un po– co. quando già stavamo at– traversando l'aia. attorno a cui cresceva il frumento con le spighe immobili, ci sentimmo chiamare a gran voce da Peppi. - Oh. aspettate, ci ven– go anch'io! Non l'ho detto a vostra madre. Aspettate! Peppi portava nella ma– no un iris selvatico. che per Io più crescevano fra le balze rocciose del colle del Generale, e, appena si accodò a noi. restò silen– zioso. A quell'ora, anche il venticello non si sentiva più e noi sei camminava– mo in fila indiana per non pestare il grano, ed erava– mo tutti zitti. - Uh, si vedono le Por– telle e il carrubo sulla trazzera. - disse Maria, appena fummo arrivati sul limitare diruposo del po– dere di don Santo. - Fra poco dovrebbe spuntare nostro padre. - Io conosco il raglio di Rondello, l'asino vostro, - intervenne Peppi Amarù. - Il vento non c'è. non si può sentire, - senten– ziò mio fratello. - Ti dico che si sente. Vedrai. Intanto, le mie sorelle facevano ruzzolare dei sassi lungo la china e ri– devano quando sentivano il tonfo che facevano, lag– giù, fra i cespugli o contro l'albicocco. Ma, a poco a poco. si stancarono e si se– dettero suUe zolle. sospi– rando. - E quando arri\·a sta– sera nostro padre? - chie– se Vincenza. Peppi e mio fratello di– scutevano vivacemente cir– ca gli iris selvatici da pian– tare sulla nostra terra e poi andarli a vendere. - Chi vuoi che se li compra? - ripete\·a mio fratello. - La vedremo. Anche i preti potrebbero comprar– Ji per le sante. Non senti come sono profumati? A me, dalla distesa del– le spighe che formavano come un muro profondis– simo, arrivava, da occi– dente, un fluire minutis– simo di bollicine di luce viola e rosa. - Non si sentono nem– meno i cani di massaro Turi Cappellano abbaiare. - disse Maria. - Almeno ci farebbero compagnia. Oh. questo nostro padre! - .t\.ndiamo a casa. - di– ceva di tanto in tanto Pep.. pi, meno entusiasmato del– \a discussione sugli iris. - Vostro padre stasera non verrà. Fra poco è buio! - Nostro padre verrà. Se vuoi andartene. vattene. - rimbeccò Turi. - Noi aspt?ttiamo. Intanto. i grilli cantava– no d'ogni dove. col loro stridio sottile che s'allar– gava per le campagne, che eran quasi scure. - Sono i grilli a portare il buio. - sentenziava Ida, aprendo e chiudendo gli occhi per il sonno. - La stupida che sei! Perchè non te ne re– stavi a casa a dormire? - gridò mio fratello. Le stel– le s'erano infittite e in– grandite, strade bianche si aprivano in ogni parte del cielo e mandavano come un pulviscolo appena lu– minoso sulla trazzera delle Portelle e sugli ulivi che s'alzavano sulla china. - Uh. che silenzio, io di~ cevo. - Almeno ci fosse il vento a farci compagnia. - Ci fosse il vento - fa– ceva Peppi. Vincenza e ì\laria. vicine vicine. si eran di certo addormen– tate e solo Ida parlava fra sé e sé e non capivo cosa dicesse. Il cielo pareva pe~ sasse su di noi ed io avevo paura a guardarlo, perché mi sentivo girar la testa e sentivo un brivido nel ve– der come si elevasse a cu– pola, ma in piani. distanti l'uno dall'altro, e sempre più profondi. - Oh, ve– nis5e il vento a farci com– pagnia. - ripetevamo or– mai, ad intervalJi, io, Pep– pi e Turi. Ma ci addormen~ tammo lassù, su quel ci– glio, e soltanto il chiama– re rauco ed altissimo di massaro Angelo ci svegliò. GIUSEPPE BONAVIRJ Pag. 5 FabrWo Clerlcl e Fossile dl pesce• VIA\ MlJ.RGUTT;J. E DIN"TORNI * Processo a Fabrizio Cleric * di R. lii. DE Ai~GELIS Conobbi Clerici, l'archi– tetto pittore, in casa di Carrieri, a Milano. al mio ritorno dal Brasile, e di lui mi ricordavo le mani lunghe e gli occhi a man– dorla, tagliati in modo straordinario, non solo per la loro grandezza. La pu– pilla di quegli occhi è ge– lida, raccapricciante, o me– glio rannuvolata da un pe– renne stato di allarme, in difesa del e personaggio Fabrizio> rimasto il ra– gazzo di un tempc, preda di ogni allucinazione. Quale meraviglia se le allucinazioni partorivano paure e mostri? Fabrizio se ne è nutrito per tutta un·infanzia intemerata; e quei fantasmi puntavano sempre sui suoi giochi un indice stranamente arti– gliato, o un occhio - un occhio solo - che folgora– va in mezzo a fronti ciclo– piche. roteando nella stes– sa orbita, come quelli di certi uccelli notturni (ra– paci. s'intende) ammu!fi– ti nella tenebra e nel si– lenzio delle evocazioni ma– giche. Il clima del processo do– mina le avventure e gli in– cubi di Fabrizio, e non e da escludere che certi pa– ramenti sacri - intravvi– sti in un sotterraneo di sa– crestia indosso a scheletri di monaci mezzo imbalsa– mati. sieno non solo in fun– zione di un m3cabro ri– tuale, quanto elementì me– lodrammatici di una sa– cra rappresentazione, o di un giudizio da santa inqui– sizione. Anche Fabrizio sa– rà giudicato, quando che sia. da un monaco glacia– le e barocco. calvo e tutta– via munito di una fant3- stica parrucca che regge in mano come la testa di una sybilla martirizzata? Peripezie familiari han– no portato Fabrizio sino al monte Circeo. ai luoghi della maga. allora selva– tici e davvero favolosi, al seguito di un padre pio– niere. bonificatore dello agro romano. Poi una tra– gedia deve essere accadu– ta. se ritroviamo quel pa– dre avventuroso in esilio in Brasile. e Fabrizio alla Università, intento più a ricopiare pezzi anatomici per i trattati di Valdoni, che a disegnare ponti e città sulla carta. Si può di– re che l'anfiteatro archi– tettonico, per Clerici, si sia subito popolato di scheletri o di cadaveri, ma in modo talmente natura– le da sfiorare la malizia e l'artifizio: erano gli stes– si monaci del sotterraneo, o gli scheletri deUe caver– ne di monte Circeo, o le anatomie indurite dal gelo mortale, tante volte ripe– tute come per disegni ani– mati da una fantasia addi– rittura dottrinaria, a con– dizionare le e mummie> a quell'architettura, i loro gesti da idoli, le loro pie– ghe sontuose, e i loro mo· dulati ghigni sui volti con– tratti come maschere. Dun– que, questo e passato> non è che un presente favoleg– giato in modo scoperto e infantile, e non un rifu– gio, più o meno comodo, l'estrema Thule di un ar– tista ·decadente. n baroc– co non è un secolo, è una epoca, e Fabrizio, somati– camente almeno, è fratel– lo minore di Voltaire, con le sue astuzie, i suoi in– trighi, la sua letteratura. ln una villa che apparten– ne a un suo zio, Clerici ha trascorso inverosimili vacanze, scopz:endo il mon– do della pergamena tarla– ta, dei caratteri, delle al– luminature, delle lettere alte e magnifiche come torri guerriere o cattedra– li gotiche; e delle musi– che arrotolate come mes– saggi segreti da affidare. nel naufragio del tempo, alla bottiglia per i poste– ri. Tutto è, dunque, pro– cesso; ma il processo è quasi sempre rappresenta– zione e spettacolo, non sol– tanto inchiesta e giudizio. Il personaggio più impor– tante di questi processi, è. senza dubbio, l'uomo, ma il protagonista della storia non dovrebbe essere Dio? Clerici tenta di confessar-– si ai monaci mummificati, agli scheletri di roccia. al– le apparizioni emblemati– che dei sogni: così si Libe– ra dagli incubi. dai terro– ri dell'infanzia - che e la unica stagione della vita senza difesa ma senza in– nocenza. Ciò premesso, come ne– gare a Fabrizio Clerici una sua mi.steriosissima con– temporaneità? Il processo non si improvvisa: la col– pa in ognuno di noi, ha sedimenti remoti, interfe– renze originarie. Clerici ri– cerca nelle pieghe, nei ric– ci, nei ghirigori e negli spazi, nei drappeggi e nel– le sagome di slrumenti musicali senza corde il senso storico della colpa o dell'accadimento. A volte, questa ricerca sconfina nel narcisismo, con la contemplazione dt se stesso: sino allo sdop– piamento, sino allo stato sonnambulico, o alla am– biguità e alla perversione. Il e delizioso> Clerici (~ condo una annotazione di Julien Green) è maestro di raffinati inganni: è carne– fice, piuttosto che vittima, per quel complesso di ag– gressività che si annida nelle anime più timide e caste, per una ribellione sempre cpntenuta nella cornice di uno specchio o di un quadro, nei limiti esatti e geometrici di un campo di concentramento metafisico. Gli spazi di questo campo sono sem– pre. tuttavia, disseminati dì occhi distolti dalla fron– te e colti da un obietti– vo imparziale e geLido più di u:, microscopio. Occhi ingranditi. da inghiottire come tuorli d'uovo su cuc– chiai che levitano per in– comprensibile magia. Mozart Si allea alla li– turgia ecclesiastica dei pa– ramenti e delle mitrie; degli ori funebri e delle gemme stellari. gli osten– sori si trasformano in spec– chi (a volte ustori) per im sospetto di crudeli ere– sie: i confessionali stessi accolgono, dietro le loro grate gelose. dame e cor– tigiane che, per lavarsi lo animo. non rinunziano né alla nudità nC all'ermel– lino. Ragnatele e screpolatu– re di salnitI:o decorano queste vecchie mura di sacrestie barocche di un velario da settimana san– ta, dopa la quale tutto agonizzerà in un caos di assoluta disperazione; non c"è luce di speranza, né la confessione. qui, prepara aUa comunione con lo spi– rito. Clerici si arresta. non prende posizione; e forse è qui che si sente davvero in colpa, sperduto, travolto nel caos della polvere pa– gana invano ri,mpastata con lumi enciclopedici: aJ suo e tribunale della Mar– tiniccia > ad esempio i col– pevoli non sono condannati né nl rogo, ne all'inferno. Certo, non saranno assol– ti: ma un'assoluzione sa– rebbe del tutto inutile - anzi inumana. Concepiti quasi sempre come fondali, i quadri co– rali di Clerici rispettano le proporzioni e le regole d1 un gioco architettonico che non esclude mai lo spetta– colo - melodramma o balletto addirittura': la mu– sica ha un'enorme impor– tanza, poiché è sospeso nel clima come una pelliccia intrigata di stregonerie e sangue ed è essenziale alla recita. Clerici adora il teatro, i travestimenti e Mozart: i costumi e le scene di Fa– brizio sono altrettanti qua– dri che accolgono i perso– naggi in veste di testìmoni, giudici, e accusali. La mu– sica, maestra di raffinatis– simi supplizi, interverrà per riempire le pause, in~ cantare le vittime, scio– gliere le maschere a una temperatura subequatoria– le. Le nuvole stesse, sul capo dei personaggi, sono cariche di agguati e meta– morfosi. E tuttavia, allo spetta– colo sbadato tutto sembra cosi ordinato e tranquillo, cosi distante, addirittura remoto e fuori del tempo. E' un inganno formale, un trabocchetto. Non bisogne– rà mai dimenticare il dramma che noi abbiamo tentalo di proporre per trovare la chiave di una contemporaneità che non esclude né la favola, né il mito. Le teste gigantesche degli déi e delle statue, che Fabrizio inventa, han– no satanici ghigni, o spet– trali, allucinanti tristezze. L'uomo moderno non è di– verso del monaco sepolto con tutti i suoi ornamenti che testimoniano della sua carica e della sua dignità. Le mummie e gli schele– tri, in fondo. non esistono: o esistono come personaggi degli uomini che furono e che rappresentarono. DCL in una parola. anche se decadenti e imbalsamati dall'artifizio e dal tempo. Lo studio di Clerici, alla Lungarina (da non con– fondere con la Lungara o Lungaretta) guarda il Te– vere. di fronte all'isola omonima. e accanto alla casa di Nunez. Un po' so– miglia a un bazar. o a1 ri– dotto di un alchimista: poiché Fabrizio non dipin– ge alla maniera solita dei pittori. Adopera colori e tinte disciolte in cento e cento bottigliette. pennelli acutissimi e indiscreti. compone prima slÙ carto– ne - o sul Lucido - e poi contamina e arricchisce, avvalendosi di una scaltra e poetica regia. Letteratura e storia, musica e teatro. arte figurativa e sogno. Fa– brizio non trascura alcun elemento, sino a ricorrere al trucco e al fotomontag– gio: ma lo spettacolo si è ormai - e non da oggi - impadronito della luce e dei colori dei riflettori per creare. o fingere, le stagio– ni. i climi, e le ore cadu– che della realtà e della fantasia. Attaccato allo studio, Fabrizio ha l'appartamen– to. Bisogna visitarlo di sera sovraccarico ed essen– ziale com'è, stipato e spa– zioso, è l'immagine stessa dell'arte di Clerici che, ar– ·chitetto, adopera misure personali per dividere lo spazio necessario da quel– lo superfluo. Lui abita nel suo barocco appartamento come una cariatide abita nell'acqua di una conchi– glia: l'acqua della conchi– glia a volte non è che la aria che risuona natural~ mente. Anche Fabrizio e un personaggio - uno di quei monaci imbalsamati, uno di quegli scheletri ri– vestiti di broccato, - fat– to d'aria e di suono. Uno strumento senza corde in evidenza, che riecheggia le musiche del tempo anni– date o incrostate nei se• greti cerchi dello stesso spazio misurato dall'infal– libile clessidra dell'Arte. Tuttavia così umano e dolente, come un uomo d1 questi caotici tempi. Guar– datelo in un suo disegno: s"è sdoppiato, le sue quat– tro lunghissime mani suo– nano due enormi strumen– ti: violoncello ed arpa. Senza corde. Ma il suono si spande, combatte con lo spazio, guadagna il cie– lo. Intento a quella sua musica segreta, Fabrizio Clerici aspetta la discesa degli angeli o forse l'in– tervento di Dio. E' un bel concerto. An– che se enigmatico. O ap– punto per questo. R. M.. DE ANGELIS GIOH.NALl:l ARTISTICO– LETTERARIO oerca auovl poetl, 1orltt.art, mostclsU, plUort, e neo laareatt, &m– bosesal, per oollabaraalooe e 'f'alortnas.lone merll.evolL Scrivere: Approdo del Sud, Looco Teatro Nano ZB - Napoli.

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