la Fiera Letteraria - XIII - n. 22 - 1 giugno 1958

Pag. l5 L~ FIERA LETTERARI~ Domenica 1. giugno 1958 1,.1 .'1,ICCHl.\'.1 DELl,.I l"ERIT.I' * Labarba delMos * Trent'anni fa, quando Strawinski e Pirandello era– no presi per pazzi dai buoni borghesi (e si parlava appena di Freud e la cultura negava l'ingresso all'arte cinematografica) qualcuno imbastì. strane teorie sull!l barba del Mosè di Michelangelo giurando di vedervi, come in un disegno enigmistico, la figura cli una be!l~ donnina. Co!tei, nel rraUempo, ha fatto dei proseht1: recentemente un medico ungherese, certo Plesch, as– serì d'aver scoperto nell'opera figurativa di Rem– brandt la costante esigenza d1 immagini laterali, in– serite in quella esplicitamente rappresentata: opere dentro le opere, insomma. Il Plesch porta vari esempi, fra i quali quello del Leone accovacciato del Louvre, dove sarebbero visibili tre o quattro volti umani con precise caratteristiche. Naturalmente non manca la spiegazione del fenomeno, peraltro smentito dai più. Rembradt, se vogliamo dar retta al Plesch, dipinse e disegnò queste apparizioni extra•razionali "'intenzio– nalmente, ma senza confessarlo mai a nessuno, fin dal– le prime opere giovanili, dove esse erano residui del bisogno di mistero proprio dell'in!anzia; ma continuò e maturò questo modo di Care negli anni seguenti, nei quali esso è frutto di un'eccitazione morbosa. spie– gabile di volta in volta con analisi di tipo freudiano•. Tali scoperte immaginarie, simili a quelle inaugu– rate per Leonardo dallo stesso Freud, non hanno niente a che vedere con l'indagine critica d'un'opera d'arte: è forse tacile cercare e trovare in D'Annunzio, in Proust, in Gide, in Kafka e nella maggior parte degli scrittori antichi e moderni, dei ..complessi• e delle espressioni di natura patologica interessanti la psichiatria; ma il metterli in evidenza, a che cosa può servire? Eppure, mai come oggi si cerca d'arrivare al fondo delle cose: non è vero che il nostro tempo sia dominato dalla superficialità, comune affermazione quotidianamente smentita dai fatti: è vero piuttosto il contrario, e cioè che l'intelligenza, con spietato en– tusiasmo scientifico, vuole indagare - per impadro– nirsene - su tutti i misteri dell'universo. Com'è lo– gico, si tratta di un'arma a doppio taglio: siamo forse più intelligenti, ma certo più infelici, delle genera– zioni che ci hanno preceduto e una maggiore cono– scenza ci crea nuovi problemi e nuove perplessità, va– le a dire un'incessante spinta alla menzogna. Il mec– canismo è quasi elementare, direbbe. ancora una volta il vecchio Sherlock Holmes: di fronte a una realtà troppo brutale ,per essere accettabile nasce il desiderio di idealizzare la vita d'ogni giorno: idealizzazione che, molto spesso, si risolve in un ipocrita sentimento d1 di!esa, fino al paradosso, fino all'esasperazione. Nel '953 il giornale satirico ucraino Perets pubblicò una singolarissima caricatura: vi si vedeva un orribi– le scimpanzè che, guardandosi aUo specchio, gr.idava spaventato: e E' una calunnia! Questo non esiste nella vita! >. Eppure, a parte la satira politica che voleva bollare l'idealizzazione della realtà socialista imposta agli artisti sovietici, tutti sanno che gli scimpanzè esi– stono sulla faccia della terra e che, generalmente, sono abbastanza brutti a vedersi. Ma ognuno di noi è un pÒ come il bestione della vignetta incriminata e ognuno di noi, guardandosi allo specchio, rischia ogni giorno di non riconoscersi: colpa, diremo, dell'intelli• genza che ormai sa troppe cose per starsene tranquilla e fiduciosa: d'ora in avanti saremo avvelenati dal so– spetto. Rifà capolino la barba del Mosè: in ogni uomo, in ogni idea, in ogni opera crediamo di vedere. oltre la immagine reale, altre immagini nascoste che della pri. ma siano il completamento: rifuggiamo dalle cose semplici ,per la semplicissima ragione che abbiamo preso gusto alla sovrastruttura, all'artificio. Quando non c'è, si crea: e. una ·volta creato, siamo pronti a giurare sulla sua concretezza. Questa mania, di dare corpo alle ombre e ai fantasmi, è ancora un indice di decadenza. ELIO TALARJCO

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